da FRANCISCO PIEDE HARDMAN*
Commento al documentario, attualmente in programmazione nei cinema, diretto da Basel Adra & Yuval Abraham
Perché una cosa è certa: se non hai più terreno, aggrappati alla vita. Questa è la più grande lezione di umanità che ci insegnano le immagini di questo film quasi impossibile. Questo è un film sulla resistenza, girato in un vecchio gruppo di villaggi palestinesi (Masafer Yatta), annidati nel cuore della Cisgiordania, aggrappati solo alla vita in una terra bruciata, invasa quotidianamente dai carri armati e dai soldati israeliani al servizio del nazismo sio-israeliano, da coloni ebrei robotici e violenti come i vecchi e peggiori carnefici dell'Olocausto.
E, nel dolore più grande dell'espulsione, delle povere case e degli ovili rasi al suolo dalle ruspe al servizio del Male, dello sterminio di esseri umani e animali indistinguibili, della demolizione di una scuola elementare costruita come punto di riferimento civilizzatore di un popolo che non muore mai, restano ancora segni di vita più luminosi di qualsiasi raggio di bomba o proiettile: sono quei bei volti delle sue donne indistruttibili e i sorrisi dei suoi bambini sofferenti che restano con noi, che insistono per essere registrati come testimonianze che la Palestina vive e vivrà finché una pace giusta e il suo diritto a quella terra, già riconosciuto e dichiarato molto tempo fa, non saranno garantiti dal mondo intero.
Perché se i Terminator del presente – i sanguinari Benjamin Netanyahu e Donald Trump – vogliono uccidere ed espellere fino all’ultimo palestinese da Gaza, ci sarà sempre un villaggio a Masafer Yatta che risorgerà dalle ceneri e dal deserto di rocce e sabbie macchiate di sangue, sia in Cisgiordania che nella Gaza distrutta, che farà rivivere le voci, i corpi, l’arte e il linguaggio del popolo palestinese oltre le caverne dove si nascondono, oltre le fosse comuni dove quegli assassini li vogliono, per dire a tutti noi, qui, da questa parte dei confini dell’orrore, che ci saranno sempre vita, memoria e lotta nella rinascita di una comunità che nessuna violenza di stato potrà cancellare dalla mappa.
Anche se Google cambia cinicamente il nome della mappa. Nemmeno se i brutali sterminatori del Presente, armati con le armi più potenti ma impotenti di fronte al destino della Storia, volessero continuare il loro gioco di assassini a buon mercato travestiti da Sceriffi Malvagi, da Serpenti della Morte e da disgustosi piccoli studenti di Adolf Hitler.
Perché Nessuna terra Non è il solito film di guerra. Ciò che spicca nello straordinario sforzo profuso nella sua produzione è, soprattutto, l'amicizia che ha unito un giovane giornalista e regista israeliano insoddisfatto della feroce direzione del sio-nazismo nel suo Paese (Yuval Abraham) e un giovane attivista palestinese residente a Masafer Yatta (Basel Adra), che fin dall'infanzia ha imparato, da suo padre e da altre persone della comunità, che era necessario resistere alla brutalità genocida e neocoloniale degli invasori della Cisgiordania.
Ai due registi-protagonisti si sono uniti, in una brillante collaborazione, la giovane fotografa e regista israeliana Rachel Szor e il fotografo e regista palestinese Hamdan Ballal. Girato in quasi 5 anni, tra il 2019 e il 2023, e basato su vecchie immagini registrate da Basel Adra e dalla sua famiglia molto tempo fa, il film giunto fino a noi, girato e montato con grande difficoltà, è una meraviglia dell'arte cinematografica e della resistenza storica di un popolo.
Con il supporto della produzione norvegese, oltre ai contributi significativi del Sundance Festival, Niente più terra (la cui traduzione più letterale è: "Nessun'altra terra", ma il cui titolo di uscita in Brasile è: Nessun pavimento) è uno dei cinque finalisti dell'attuale Oscar nella categoria lungometraggi documentari. A giudicare dalle operazioni di boicottaggio contro la sua distribuzione in Europa, così come nei principali circuiti espositivi degli Stati Uniti, sembra che avrà poche possibilità nella premiazione dei media di questo fine settimana.
Tuttavia, le eccezionali qualità della sua produzione e del suo montaggio hanno già ottenuto un notevole successo e riconoscimento. È stato presentato nel 48°. Festival Internazionale del Cinema di San Paolo, nel 2024. E ha già raccolto decine di premi e menzioni degne di lode in festival indipendenti in tutto il mondo, tra cui riviste e giornalisti del settore. Tra i tanti riconoscimenti, ricordiamo il premio per il miglior documentario al Festival di Berlino, circa un anno fa.
In Brasile, speriamo che questo film venga visto, discusso e ricordato da molte persone. E a San Paolo, dove vive una numerosa comunità palestinese, ci sarà sicuramente spazio e interesse per la proiezione di Nessuna terra in diverse sedi, centri ed eventi, a partire dal nuovo e molto gradito Centro per gli Studi Palestinesi (CEPal) presso FFLCH-USP. Quando è stata inaugurata nell'ottobre 2024, abbiamo avuto la presenza, tra tante voci alleate per una causa che appartiene a tutta l'umanità, dell'ex Ministro della Cultura dell'Autorità Nazionale Palestinese, Atef Abu Saif, sopravvissuto al massacro di Gaza e autore di un avvincente rapporto, tradotto e pubblicato anche in Brasile, Voglio essere sveglio quando morirò (Ed. Elephant). Nel suo discorso ha sottolineato quanto segue: “La guerra scatenata contro la Palestina è una guerra contro la nostra memoria, la nostra cultura, la nostra narrazione di fatti ed eventi. Il ruolo del Ministro della Cultura è quello di preservare questa memoria e mantenere tali narrazioni. La cultura è la principale linea del fronte per difendere la causa nazionale, nel nostro caso."[I]
Le immagini e le narrazioni di Nessuna terra ci fanno pensare, oltre la valle di lacrime e polvere di Masafer Yatta, alle vite che da lì emergono, ancora più forti, ancora più belle, ancora più lucide. Perché se non avete ancora visto questo piccolo capolavoro di arte e resistenza, correte a guardarlo subito. E unisciti a questo popolo antico ed eterno. Questo non ci obbliga a usare alcuna arma. Solo la solidale consapevolezza che la loro umanità è la nostra, e che è così che la loro storia può essere raccontata, vissuta e condivisa da tutte le culture degne di abitare ancora questo pianeta.
*Francisco Piede Hardman è professore ordinario di Letteratura e altre produzioni culturali presso l'Unicamp. Autore, tra gli altri libri, di La mia Cina tropicale: Cronache di viaggio (Disp).
Riferimento

Nessuna terra [Nessun'altra terra]
Norvegia, 2024, documentario, 95 minuti.
Diretto da: Basel Adra & Yuval Abraham
Sceneggiatura: Rachel Szor
Cast: Basel Adra, Yuval Abraham, Hamdan Ballal, Rachel Szor.
Nota
[I] Riprodotto da un'intervista con Karolina Monte in: "'La guerra a Gaza è una guerra contro la memoria palestinese', afferma lo scrittore e sopravvissuto a Gaza Atef Abu Saif", Brasile di fatto, 20/10/2024.
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