da GENERE TARSUS*
Abbiamo due governi legittimi e diversi nel Rio Grande do Sul e in Brasile
La prima frase, punto o imprecazione, che apre un'opera di narrativa o un libro di storia, più o meno romanzato, o introduce un'autobiografia, dice molto di ciò che attende il lettore. Ma questo, che si recepisce nella mente di chi lo legge, non è necessariamente ciò che lo storico – il romanziere o lo scrittore di autobiografia – ha voluto dire nel contesto della sua opera.
Uno dei fondamenti inespugnabili delle libertà individuali è il diritto che abbiamo – come lettori – di trarre da un'opera solo ciò che soddisfa le nostre pulsioni o i predicati della nostra esistenza: appropriarci, quindi, di significati che aiutino a rivelare a noi stessi le nostre debolezze. e la nostra eventuale grandezza. Come soggetti – nell’ambito del mondo sociale che ogni giorno trasforma la nostra visione dei mutamenti dell’universo – produciamo volontariamente il nostro “sentimento del mondo”, come diceva Carlos Drummond de Andrade.
Per me è naturale, come attivista politico con alcuni (molti) anni di apprendimento, cercare nella mia memoria immediata qualcosa che mi colleghi al presente, in ogni libro che passa davanti ai miei occhi. È possibile che fin dal primo periodo – sia nel prologo dell'opera sia direttamente nel suo svolgimento – il lettore voglia che il testo spieghi alcune cose che mi preoccupano. È un egoismo del “lettore”, la cui soddisfazione durante la lettura salderà o spezzerà il legame che lo unisce allo scrittore, soprattutto in un momento tragico in cui tutti i segni della cultura rimandano al presente.
Vediamo alcuni esempi: “Gli uomini che aspettavano alla stazione sembravano annoiati”. (Oswaldo Soriano, Quartieri invernali). Qui vedo il fastidio di due uomini, in una remota città dell'Argentina durante la dittatura militare, in attesa di un “messaggero”, che certamente non porterà loro nulla oltre ciò che esiste nella loro mediocre vita quotidiana.
Si tratta di una “coppia” di barboni o scagnozzi, alla stazione ferroviaria sperduta nella pampa, né disperati né felici, ma semplicemente guidati dall'inerzia ripetitiva della vita ordinaria. Ha però una dimensione “politica”, perché sullo sfondo c’è la determinazione della ferocia dello Stato – pensavo iniziando a leggere Oswaldo Soriano – perché quello che c’era in quel fastidio non era l’inerzia di una catastrofe climatica o ambientale come il nostro.
Continuiamo: “Caro Zuckerman, in passato, come sai, i fatti non erano altro che appunti su un taccuino, il mio apprendistato nella narrativa…” (Phillip Roth, I fatti). Il romanziere qui si riferisce alla propria conoscenza del mondo e si riferisce a momenti importanti della sua vita, che sono stati riformattati durante la sua esperienza di scrittore, decisivi per il suo lavoro e rivalutati nel corso del tempo.
I fatti, quando vengono rivisti, modificano il passato e assumono altre dimensioni per il presente, per questo collego questa riflessione di Phillip Roth allo sforzo disperato che parte della stampa sta facendo, affinché non si guardi “alle spalle”. specchio”: non scopriamo le responsabilità nella nostra tragedia climatica. Qual è la ragione della cecità intenzionale? A “noi” (loro) piacciono molto coloro che hanno governato e sono rimasti in silenzio, in tutti i piani, durante i loro governi silenziosi. Ecco perché non dovremmo conoscere i responsabili e i loro interessi.
Continuo con esempi presenti in letteratura: “La mattina della morte di Bernie Pryde – o potrebbe essere stata la mattina dopo, dal momento che Bernie morì quando voleva…” (PD James, Lavoro inadatto per una donna). L'esordio del grande romanziere (Polizia) è inscritto nella visione del giovane György Lukács di teoria del romanticismo, per cui la centralità del romanzo moderno è l'ironia: Bernie è morto secondo la sua “convenienza”, quindi il pensiero sulla vita, il dramma dell'esperienza umana, i conflitti e le contraddizioni a tutti i livelli tra gli esseri umani — nelle loro differenze e somiglianze — si dissolvono nell'idea che l'autore/scrittore ha di sé.
Quando lo scrittore guarda il mondo in modo più o meno stilizzato, con manierismi brillanti, ma senza riportare le cause e gli effetti che hanno generato i suoi personaggi, lo scrittore può dichiarare una morte centrale nel suo racconto come un “fatto di natura”, ma che contraddittoriamente è un “sospetto” in un romanzo poliziesco: non sappiamo realmente il giorno in cui Bernie morì, ma sappiamo che affrontò la morte come una “convenienza”.
La morte, così, cessa di essere un dramma privato o epico, ma si presenta come un'ironia oggettivamente determinata e quindi “naturale”. Questa apertura mi ricorda il trattamento riservato da alcuni leader politici alla catastrofe del Rio Grande, come se fosse un risultato della “natura”, a cui è impossibile resistere, almeno in parte, nei suoi effetti.
“Due adolescenti, entrambi fragili, innocenti e convalescenti, aprono e chiudono la storia di una dinastia” (Simon S. Montefiore, I Romanov, 1613-1918). Qui lo storico stabilisce un arco di relazioni tra due bambini innocenti, la cui unicità rimanda ai grandi terremoti storici, nella formazione della Russia moderna fino alla rivoluzione bolscevica.
L'autore racconta di Michele Romanov, 16 anni, debole e malato nel 1613, che si svegliò una notte di marzo per essere portato a Mosca, per diventare zar, in un accordo interno tra le ricche famiglie che dominavano il potere in Russia. E parla di Alexei Romanov, figlio dello zar Nicola, emofiliaco, che all'età di 13 anni fu fucilato nel 1918 da un distaccamento bolscevico con tutta la sua famiglia, un omicidio che nessuna idea rivoluzionaria o filosofia morale può giustificare.
L’universalità della ricerca storica e delle grandi narrazioni epiche – tragiche o semplicemente drammatiche della storia russa – non sta qui, nell’influenza che i due bambini innocenti ebbero sul corso di quella modernizzazione, ma nel tributo che i più fragili, i più deboli e a pagare sono gli esseri umani più vulnerabili che non capiscono nemmeno dove si trovano, collocati in quei 200 anni di formazione della nazione. In una sequenza di guerre, ogni innocenza è perduta e loro, le guerre, plasmano gli adulti che governeranno e continueranno a combattere e uccidere.
Qui traccio un parallelo con questa narrazione storica, con la situazione del nostro Stato di fronte alla catastrofe, che oso chiamare un approccio alla politica basato sul “senso con principi”. Ciò significa comprendere che le differenze tra sinistra, destra non fascista, centrosinistra e centrosinistra non possono e non devono essere sciolte nella sfera quotidiana della lotta per la sopravvivenza, che fa parte di ogni società democratica. Ciò che conta è come queste differenze si manifesteranno nel medio-lungo termine, periodo in cui si troverà risposta ad almeno due domande.
Questa è la necessità di un progetto strategico che migliori la nostra situazione di irrilevanza davanti alla Federazione, da un lato, e che debba convergere per rispondere a un “impegno storico” che in pratica deve rispondere alla seguente domanda: in quale quadro si prenderanno luogo? le future controversie, tra classi e frazioni di classe – e tra i vari interessi aziendali che esistono in ogni società moderna – in modo che il Rio Grande possa emergere meglio dalla tragedia, al di là del sollievo immediato di cui sia lo Stato che l’Unione?
Abbiamo due governi legittimi e diversi nel Rio Grande do Sul e in Brasile. Abbiamo in Brasile un Presidente che è un leader mondiale ed è stato il capo del governo e dello Stato che ha avuto il coraggio epico di promuovere e trasporre il fiume São Francisco; e abbiamo un governatore pienamente legittimato dai sondaggi, che ha ricevuto il sostegno della stragrande maggioranza di coloro che hanno eletto il presidente, affinché il Rio Grande non tornasse ai secoli bui. E non è tornato, come sarebbe successo se oggi da Piratini ci fosse stato l'altro candidato.
Non dovrebbero entrambi dialogare ancora più da vicino, in modo che il Rio Grande possa assumere un altro ruolo nella Federazione ed emergere più forte, dopo la brutalità della crisi climatica? Tornerà e si potrà evitare nei suoi effetti più duri sulla popolazione dello Stato, come penso ai bambini più poveri e innocenti: scommettere che sì, che possano parlare più da vicino, è una virtù e ometterlo è solo più una mossa politica ciò presuppone che il futuro non parli al presente.
È stato un grave errore che importanti statisti, in altri tempi e in situazioni di tragedie naturali o politiche, hanno già commesso. Pensate a Chamberlain che credeva in Hitler e a Pétain che lo serviva. E pensiamo a tutti coloro che, da persone comuni, sostenevano che le tragedie climatiche fossero un’invenzione dell’”imperialismo” o dei “comunisti”. E finirono per guidare le persone a mettersi i cellulari in testa per parlare con gli ET che venivano dall’aldilà. L'esercito di riserva della barbarie era già stato richiamato.
* Tarso in legge è stato governatore dello stato del Rio Grande do Sul, sindaco di Porto Alegre, Ministro della Giustizia, Ministro dell'Istruzione e Ministro delle Relazioni Istituzionali in Brasile. Autore, tra gli altri libri, di possibile utopia (arti e mestieri). [https://amzn.to/3ReRb6I]
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