Sul concetto di totalitarismo

Immagine: Anderson Antonangelo
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da J.CHASIN*

Classificare un'ideologia non è spiegarla, poiché identificarne la natura corrisponde necessariamente a riferirla alla totalità concreta in cui emerge.

Dalla rusticità alla raffinatezza, in ogni sua forma, il concetto di totalitarismo, in sostanza, traduce l'idea di potere monopolistico[I].

Semplicemente per seguire un autore già citato e di innegabile prestigio, elenchiamo quelli che F. Neumann considera i “cinque fattori essenziali della dittatura totalitaria”:

1) passaggio da stato di diritto a stato di polizia; 2) passaggio dal potere diffuso negli stati liberali alla concentrazione nel regime totalitario; 3) l'esistenza di uno Stato partito monopolista; 4) transizione dei controlli sociali dal pluralismo al totalitarismo; 5) la presenza decisiva del terrore come minaccia costante contro l'individuo[Ii].

"Queste sono, dice Neumann, le caratteristiche del sistema politico più repressivo".

Cosa ci dicono?

Fondamentalmente, il totalitarismo è un'opposizione radicale allo stato liberale.

Il contrasto può essere facilmente visto per i cinque fattori elencati. Abbiamo quindi rispettivamente: per la prima l'opposizione tra legge e forza; per il secondo, l'opposizione tra diffusione e concentrazione del potere; per il terzo, l'opposizione tra il pluralismo partitico e il suo contrario; per il quarto, l'opposizione tra stato e libertà; infine, l'opposizione tra violenza e ragione (consustanziata nell'individuo) per il quinto fattore.

In questo modo lo stato liberale diventa il sistema in cui lei, una Motivo e libertà, garantito da diffusione del potere e dalla struttura multipartitico. E lo stato totalitario è il sistema in cui prevale la violenza estrema — L'orrore — e il dominio ipertrofizzato dalla concentrazione del potere e alimentato dal monopolio politico del partito unico.

Uno, quindi, è il regime della libertà, regolato dalla legge, dalla ragione; l'altro, quello dell'oppressione comandata dalla violenza. Chi è il beneficiario della libertà, in un caso, e chi è la vittima dell'oppressione nell'altro?

La risposta, sempre nelle parole di Neumann, è che ciò che contraddistingue lo stato totalitario "è l'abbattimento del confine tra Stato e società, e la totale politicizzazione di quella società per mezzo del partito unico"[Iii]. In altre parole, dove prevale la società civile, abbiamo il regno della libertà; dove domina lo stato, regna il totalitarismo.

Oltre alla doverosa registrazione dell'estrema generalità che caratterizza tutte queste formulazioni, vale anche la pena di chiedersi: come è concepita, in ultima analisi, la società civile? Lo stesso autore ci spiega: “Il governo di diritto è una presunzione a favore del diritto del cittadino e contro il potere coercitivo dello Stato. Nello stato totalitario questa presunzione si capovolge.[Iv]. Si noti, allora, che i poli del dilemma sono, dunque, l'individuo e lo Stato[V].

Tutto gira, come abbiamo cercato di mostrare, all'interno dell'universo del liberalismo. E le determinazioni sul totalitarismo non sono altro che definizioni per negazione sui caratteri liberali. In definitiva, la nozione di totalitarismo non riflette altro che liberalismo di segno opposto.

Questa, tuttavia, non è una semplice coincidenza, né un mero prodotto di debolezza teorica. In caso contrario, vediamo.

L'analisi dei caratteri della dittatura totalitaria elencati da Neumann rivela queste implicazioni.

I cinque fattori dell'autore riguardano soprattutto il rapporto tra diritto e violenza, in cui il ragionamento è guidato da una disgiuntiva ingiustificata.

L'opposizione globale tra diritto e forza, nella prima caratteristica, è giustapposta all'opposizione tra ragione e violenza (5a caratteristica), diversa espressione della stessa affermazione. Da esse, cardine dell'intero schema, si distillano le altre “opposizioni”: il partito unico che costituisce lo strumento per il superamento dell'impero legale, e la concentrazione del potere ei controlli sociali monopolizzati che ne sono i necessari derivati.

Si configura, dunque, una concezione i cui presupposti necessari sono: un rapporto astratto escludente tra potere materiale e potere giuridico; e l'attribuzione anche in astratto di un valore positivo all'ambito giuridico, e di un valore negativo al potere materiale. Presupposti che implicano considerare lo Stato liberale come una sorta di fine della storia, dunque, razionalmente insormontabile, eterno come valore pratico e teorico.

La definizione di totalitarismo contrapposto a liberalismo non è dunque casuale, ma frutto di un confronto con un modello paradigmatico. Quindi abbiamo detto che la definizione del concetto è guidata da una disgiunzione ingiustificata. È ormai chiaro che l'accusa avviene, per imperativo del concreto reale, a livello dei presupposti dell'intera formula.

L'astratta opposizione stabilita tra il piano giuridico e quello della forza materiale riflette la classica convinzione che il potere legittimo «è il governo delle leggi, non degli uomini»[Vi], e che "tutti hanno diritto agli stessi diritti ai sensi della legge e che tutti hanno diritto alle libertà civili"[Vii], così che “lo scopo principale del governo è difendere la libertà, l'uguaglianza e la sicurezza di tutti i cittadini”[Viii].

Tutto questo perché “il merito morale, il valore assoluto e la dignità essenziale della personalità umana hanno costituito il postulato fondamentale del liberalismo. Pertanto, ogni individuo deve essere considerato come fine a se stesso, non come un mezzo per promuovere gli interessi degli altri”.[Ix].

L'opposizione si situa, dunque, come abbiamo già sottolineato, tra lo Stato e l'individuo. Non mediando, nell'analisi, tra le due, qualsiasi altra dimensione dell'esistenza sociale. L'individuo, nell'intangibilità della sua personalità umana, è ciò che fonda l'esistenza, i limiti e la finalità dello stato legittimo.[X].

La società, il popolo, sono concepiti, come si vede, semplicemente come una popolazione, una somma di unità uguali le cui uniche differenze sono le differenze individuali nelle capacità personali, nel giudizio morale e nella forza.[Xi].

Sicché per l'analisi liberale la questione dello Stato si riassume nel problema della legalità[Xii], dato che tutto si genera e si risolve nel gioco interindividuale[Xiii], ordinato da regole definite al di sopra del sociale, escludendo ogni considerazione relativa al problema delle classi e della loro egemonia. Di conseguenza, la critica liberale non può e non potrebbe logicamente e storicamente prendere[Xiv], il liberalismo come forma di egemonia di una certa classe, ma come espressione reale dell'uguaglianza tra gli individui[Xv].

Analiticamente, questo occultamento è della stessa natura di quello operato dal concetto di totalitarismo. Cioè, il gioco delle classi è nascosto dal gioco delle individualità; a causa dell'enfasi sul legale, l'accesso al reale è proibito[Xvi].

Proprio a questo conduce il concetto di totalitarismo: l'impossibilità di comprendere i fenomeni che esso crede appunto di determinare.

Ciò che conduce a questa alchimia è proprio il procedimento proprio dell'analisi liberale: l'uso degli universali astratti come unica risorsa del movimento dell'apprensione scientifica. Quindi, invece di riprodurre concettualmente il concreto, evidenziando in ogni caso la particolarità decisiva, siamo portati, da quell'analisi, a confrontarci con la ragione in generale, la libertà in generale, il cittadino in generale, lo Stato in generale, la violenza in generale, ecc., ecc.[Xvii].

Non si può non osservare che tali nozioni sono legate a un particolare rispecchiamento della loro base generatrice: l'economia di mercato, concepita come il luogo naturale dei rapporti di scambio in generale tra individui ugualmente considerati in generale, ovvero il sistema capitalistico di produzione e la sua ideologia.

È proprio l'universale astratto che permette alla critica liberale, dando la massima estensione al concetto di totalitarismo, di unire una molteplicità di fenomeni, distintamente situati, sotto la stessa etichetta, che li confonde con il pretesto di spiegarli. È in questa linea di procedura che si assiste alla trasformazione del “monopolio” del potere in un “monopolio” del potere in generale (diventato “monopolio”, cioè totalitario, proprio perché non diffuso, in quanto è destinato a verificarsi nello stato liberale), ovviando senza giustificazione al fatto che il potere implica sempre la questione dell'egemonia. Ogni ragionamento è chiaramente basato su una posizione ideologica, affermando, contro ogni evidenza, che nello stato liberale tutti hanno, o almeno tendono ad avere, un certo potere. In altre parole, quel potere è, lì, diffuso, disseminato in generale. Diffusione, inoltre, che viene assunta come unico antidoto al male che il potere è intrinsecamente, qualunque esso sia. Il potere, quindi, è un male in generale, che può essere contrastato solo dalla sua stessa frammentazione (diffusione). Pur essendo un male, dunque, la critica liberale non si pone la prospettiva del superamento dello Stato e del suo potere, raccomandando, per così dire, di estenderli contrattualmente. Il che rivela, nella misura in cui il contratto non è effettivamente concluso tra pari, che l'ideologia liberale si affida all'universale astratto per difendere un particolare privilegio concreto[Xviii].

Affinché i presupposti dell'analisi che il sistema offre come sua “spiegazione” di fatto guidino, ricorrendo a generalità[Xix], la sua giustificazione e continuità, facendo lo stesso nei riguardi del discorso “scientifico” che le corrisponde. Di qui, e nella misura in cui pretendiamo di aver dimostrato che la nozione di totalitarismo è un prodotto del punto di vista liberale, l'affermazione che la nozione di totalitarismo è solo l'espressione con cui questa prospettiva conia tutto ciò che, sul piano politico , contraddice l'archetipo che forgia del suo mondo e di se stessa. Va notato che ciò che contraddice l'archetipo, non necessariamente la sua realtà.

Con questa generalizzazione che è allo stesso tempo un riduzionismo, poiché circoscrive le questioni alla sfera politica, l'uso del concetto di totalitarismo permette di mescolare e confondere Hitler con Stalin, e, se non bastasse, anche fenomeni di Tipo Vargas o Peron.[Xx].

Confondendo le manifestazioni storiche concrete, e riducendole alla loro espressione politica, il concetto di totalitarismo opera semplicemente una sorta di tautologia “determinando” il fascismo, il nazionalsocialismo e tanti altri eventi che si lascia inglobare e che in qualche modo contraddicono il profilo liberale . Nient'altro per dire che tali fenomeni traducono la monopolizzazione del potere, l'uso della violenza e la repressione dell'individuo. Vale anzi la pena di dire che se il ragionamento in relazione ai menzionati fenomeni è tautologico, lo è anche, al limite, al potere in generale. Con ciò non si cerca di confondere o dissolvere le diverse forme di egemonia; al contrario, li vogliamo evidenziare, affermando che l'egemonia è sempre presente nel fenomeno del potere, contrariamente a quanto ipotizza l'analisi liberale.

Quindi, ed è questo che ci interessa particolarmente, affermare che il fascismo è totalitarismo è, nel migliore dei casi, un atto di classificazione formale, mai una spiegazione del fenomeno. In realtà è un mascheramento.

Abbiamo detto poco fa che l'ideologia liberale si affida all'universale astratto per difendere un particolare privilegio concreto. Vale la pena chiedersi, ora, quale privilegio difende utilizzando l'universale astratto del totalitarismo.

Trasformando il concetto di totalitarismo nella nozione chiave per la spiegazione del fascismo, il primo risultato è quello di collocare l'intero problema nella sfera del politico, cioè di caratterizzare male l'insieme storico che esso rappresenta a favore di una descrizione che lo rinchiude nella sfera del potere politico, preso in modo isolato e autosufficiente. È inoltrare la spiegazione del politico da parte del politico, del politico da parte sua. Pertanto, si assume che sia indipendente, autonomo dalla società civile. Di conseguenza, la spiegazione è fatta senza riferimento al modo di produzione in cui si manifesta; con disprezzo per la storicità del fenomeno; senza preoccuparsi di indagare le concrete relazioni infra-sovrastrutturali in cui emerge.

In breve, utilizzare il concetto di totalitarismo come strumento esplicativo significa “spiegare” particolari manifestazioni determinate da generici tratti sovrastrutturali. Significa “spiegare” il particolare concreto con l'universale astratto. È collocarsi nella prospettiva epistemologica liberale. Non si può qui, riconoscendo il chiaro carattere di condanna con cui la critica liberale investe tutta la sua analisi del nazifascismo, parlare anche, parafrasando Lukács, di “epistemologia di destra ed etica di sinistra”.[Xxi]?

L'altra conseguenza dell'uso della nozione di totalitarismo, come abbiamo già evidenziato, è l'identificazione di fenomeni distinti da apparenze simili.

Se si articolano, dunque, le due conseguenze dell'uso del concetto di totalitarismo, si ottiene che l'analisi che lo utilizza, a livello decisivo, si limita in ultima analisi ad essere un discorso in generale sul politico in astratto. Sicché il privilegio conferito al politico risulta essere proprio la sua dissoluzione, e la voluta universalità lo strumento di questa operazione.

Di conseguenza, è facile percepire i vantaggi ideologici che la nozione di totalitarismo fornisce al sistema che lo genera. Scollegando i fenomeni nazifascisti, cioè i “fenomeni politici” dalle strutture economiche, si dà luogo alla separazione tra capitalismo e nazifascismo, cercando nel contempo di rafforzare la voluta identità tra capitalismo e liberalismo, oltre a stabilire che i “regimi del terrore” sono proprio quelli che negano il liberalismo, cioè il capitalismo[Xxii].

Tuttavia, la questione non si limita ai vantaggi ideologici. Riteniamo che la nozione di totalitarismo non sia solo uno strumento ideologico, ma anche il limite teorico della prospettiva liberale per l'analisi delle vicende nazifasciste.

Con un tale concetto è possibile omettere il nesso causale tra capitalismo e fascismo, e questo è vitale per il riconoscimento del sistema. Altrimenti viene infranto il suo fondamento razionale, e di conseguenza il suo carattere di fine della storia: il capitalismo-liberalismo, la forma suprema a cui giunge l'evoluzione della società e del potere dello Stato.[Xxiii]. Una forma che da allora in poi ammette modifiche solo nel senso di un miglioramento delle componenti che la compongono, cioè modifiche che non ne ledano l'essenza, poiché si tratta solo di razionalizzare progressivamente tutte le aree e i settori del sistema, di incorporando, su scala mondiale, tutto ciò che è ancora ad un livello inferiore. Comprendendo, allora, che in base ad esso ogni cambiamento positivo non può che essere miglioramento (e ogni altro cambiamento, poiché nega il sistema, è necessariamente negativo), tutto si riduce a gradi di razionalizzazione, a rimodellamento intrasistemico, in una parola, a vittorie tecniche. Ecco dunque che il progresso si riduce a progresso tecnico, e la ragione liberale si mostra proprio come ragione limitata, come ragione tecnica, ragion per cui il positivismo ne è la naturale epistemologia.

Se non si trova un metodo che rompa il nesso causale tra il modo di produzione capitalistico ei fenomeni nazifascisti, come allora mantenere l'utopia liberale?

Se l'universale astratto rende possibile tale rottura, il concetto di totalitarismo la rafforza, poiché è nella condizione del suo contrario che si riafferma contemporaneamente, per quanto come ragione tecnica, la ragione liberale si mostri come ragione limitata; forse una debolezza minore e più sottile, poiché il progresso tecnico si rivela essere il modo di essere del conservatorismo borghese.

Andare oltre il concetto di totalitarismo significa, in definitiva, riconoscere la falsità dei concetti che sostengono la teoria del sistema. Se, come vuole la stessa analisi liberale, il fenomeno totalitario è la negazione dell'uguaglianza degli uomini, negare il concetto di totalitarismo non è confutare questa disuguaglianza di fatto, ma è riconoscerla come appartenente anche al sistema che genera quella prospettiva, che ovviamente annienta la prospettiva stessa, vale a dire che illegittima il sistema stesso.

Accettare i fenomeni nazifascisti come prodotti capitalisti è accettare che questo sistema neghi se stesso, quindi che non sia la forma compiuta della storia, che questa continui, e che la prima sia messa sotto scacco. Quindi, al contrario, il fenomeno fascista deve essere concepito come una negazione dei fondamenti stessi di quel modo di produzione. Questo è ciò che opera l'analisi liberale attraverso il concetto di totalitarismo. E nella misura in cui il comunismo è anche una negazione del capitalismo, li racchiude sotto lo stesso concetto; così facendo identifica una negazione reale con una negazione apparente.

È facile, allora, intuire che la nozione di totalitarismo è il limite teorico dell'analisi liberale. In altre parole, la prospettiva liberale non può dire altro sui fenomeni nazifascisti se non che si tratta di governi di potere monopolizzato in generale, pena la rottura con i propri presupposti, incarnati nella nozione di totalitarismo che si pensa sotto la validità di un rapporto escludente tra forza e ragione. Pertanto, il limite della critica liberale ai fenomeni fascisti è il sistema stesso che li genera.[Xxiv].

La totale insufficienza dell'analisi liberale del fascismo ha certamente la sua spiegazione in questo limite, e se può accontentarsi della sua “spiegazione” sul piano ideologico, d'altra parte sul piano scientifico non fa che rafforzare la tesi della causalità legame con il sistema che lo produce e che è anche geneticamente responsabile dei fenomeni fascisti.

Ne consegue certamente la tendenza al formalismo nella trattazione di tali problemi, e non solo, nel campo della teoria politica. In ogni caso, d'altra parte, sembra legittimo sospettare che questo sia anche il motivo per cui i fenomeni fascisti sono stati a lungo lasciati da parte come oggetto di analisi scientifica, e che la voluminosa bibliografia ad essi dedicata sia stata prevalentemente limitati a fornire dati e testimonianze, invece che spiegazioni, e che solo più di recente, quando sono stati “equiparati” ad altre forme di potere non liberali, hanno cominciato a meritare maggiore attenzione.

Abbiamo menzionato sopra una tendenza al formalismo. Senza fermarci, per più di un momento, vale la pena notare che lo schema sintetizzato dalla nozione di totalitarismo tende, ma non effettivamente, a un modello formale, cioè “vuoto in quanto riferito a qualsiasi oggetto”.[Xxv]. Poiché ovviamente non si riferisce ad alcun oggetto, ma a determinati oggetti politici, configura una nozione astratta, cioè uno “schema di significati (...) che non tiene conto di tutte le condizioni concrete della sua realizzazione”[Xxvi]. Pertanto, come ogni nozione astratta, opera uno svuotamento. Che tipo di svuotamento è questo, nel caso particolare che ci riguarda, e qual è il suo significato epistemologico, questa è la domanda. Intendiamo, ovviamente, il tuo orientamento verso la cancellazione di certi significati. Ci riferiamo proprio al suo modo di privilegiare o ignorare le dimensioni della realtà. Non essendo un concetto formale di tipo matematico, è importante sapere, per comprendere la sua particolare capacità svuotante, che tipo di astrazione è.

“Oggi la concezione positivistica del diritto naturale è attualmente considerata un dato scientifico, inteso come espressione di certe uniformità empiriche fenomeniche, che nulla dicono sulla realtà concreta sottostante a queste apparenze”[Xxvii]. In questa concezione, il punto di partenza dell'analisi è "qualsiasi concetto tipico o la descrizione dettagliata dell'aspetto per arrivare a un'invarianza"[Xxviii].

Il terreno metodologico del concetto di totalitarismo è proprio questo.

E tocca rendersi conto, nel caso specifico del concetto di cui si tratta, che si tratta al tempo stesso di un concetto tipico e di una nozione ottenuta per saturazione empirica. Si tratta cioè di una generalizzazione delle apparenze che “coincide” con un coagulo significativo non generato dal campo fenomenico posto in analisi. È questa “coincidenza” che ci sembra altamente significativa. È da notare che come concetto tipico, come coagulo significante, riassume quanto abbiamo precedentemente cercato di mostrare, cioè un concetto determinato da definizioni negative dei valori che compongono la concezione liberale del potere; e mentre la descrizione empirica è uno schema di invarianza risultante proprio dall'agglutinazione dei tratti fenomenici che illustrano il primo. Che evidentemente non è un caso, ma un rapporto di subordinazione. Data l'infinità di dati empirici, di apparenze che il fenomeno nazifascista offre all'osservatore, resta chiaro che la cattura operata dal concetto di totalitarismo è orientata fin dall'inizio. Il concetto di totalitarismo, quindi, è una generalizzazione delle apparenze, relative a diversi concreti da cui, per forza non empirica, sono state astratte senza giustificazione alcune caratteristiche, tra cui proprio quelle che renderebbero irrilevante la somiglianza fenomenica e impossibile la confusione dei due. fatti concreti, riducendo così radicalmente l'ambito della generalizzazione.

Non abbiamo scoperto nulla di nuovo nel mostrare che la cattura di dati empirici non è un'operazione innocente, né che questa mancanza di “purezza” è un privilegio del concetto di totalitarismo. Indicando la subordinazione che esiste tra le due fonti genetiche del concetto non stiamo semplicemente smascherando un'operazione viziata, ma evidenziando l'ambivalenza del concetto. Da un lato è una “spiegazione”, dall'altro un modello per catturare dati empirici; bifrontismo che è caratteristico dell'idea di modello.

Il concetto di totalitarismo è, quindi, un modello, e non una nozione formale, poiché non è uno schema vuoto, ma un quadro di contenuti privilegiati: una parte dell'apparenza del concreto, a cui è conferita la qualità dell'essenza.

Schema presunto essenziale, invarianza governata da leggi generali astratte, dà l'impressione di offrire una forma neutra di indagine, valida in ogni caso.

Non è infatti una forma che si apre alla diversità del reale, ma un'astrazione che si chiude proprio a questa diversità, imponendo al concreto un'omogeneizzazione che lo dissolve. È una "forma" che ha elasticità solo per contenere materiali dello stesso tipo di cui essa stessa è formata.

Dunque, la tendenza formalista della sua analisi si esprime in uno svuotamento di contenuti, sì, ma di determinati contenuti, proprio quelli che negherebbero, che metterebbero in discussione completamente le sue pretese analitiche. Costituisce proprio un'arbitrarietà di procedura che, non rispettando i livelli di astrazione, imputa a un minimo di comprensione un potere di massima determinazione.

In una parola, è una “forma” che si chiude al concreto, gli si impone e, sottoponendolo alla validità della nozione di ricorrenza che gli è intrinseca, condiziona le spiegazioni analogiche, e apre i pori della sua tessuto teorico alle soluzioni esplicative che enfatizzano i fenomeni mimetici.

Un ragionamento di quest'ordine è presupposto per identificare serenamente, con “pieno rigore”, l'integralismo con il fascismo.

Il ricorso classificatorio che cerca di affinare il concetto costituendo una tipologia del totalitarismo, riconoscendo rami principali e successivamente suddividendoli, sicché, nella parte che effettivamente ci interessa, si comincia a parlare di destra, sinistra, terza fascismo di partito, mondo, conservatore, rivoluzionario, rurale o molti altri cognati con espressioni equivalenti o simili[Xxix], questo ricorso classificatorio, lo ripetiamo, non solo non confuta nessuna delle obiezioni che presentiamo, ma, al contrario, ne mostra ancor più la pertinenza.

La profilazione di questa tipologia riafferma la caratterizzazione delle entità storico-sociali per la loro riduzione ad apparenze politiche, assumendo queste come il nodo significante essenziale al quale viene conferita la condizione di nord di un inseguimento che si compie a dispetto dei modi di produzione e gradi concreti il ​​loro sviluppo storico. In altre parole, le manifestazioni concrete di ciò che viene assunto come fascismo vengono colte semplicemente come fenomeni politici, che conferiscono acriticamente a questa sfera di realtà autonomia di esistenza e di funzionamento, quindi di spiegazione.

Tali classificazioni implicano che il fascismo possa esistere in diversi modi di produzione, in diverse formazioni storiche, avendo, quindi, un carattere universale assoluto, e non che sia un prodotto particolare di un modo di produzione in circostanze specifiche.

L'espediente classificatorio confonde ancora i modi d'essere del fascismo (manifestazioni concrete del fascismo in luoghi e tempi diversi) con particolari modi di configurazione del potere e dell'ideologia generalmente non conformi all'archetipo della democrazia liberale. Partono, quindi, da una “classificazione precedente” in cui le manifestazioni politiche sono divise tra liberali e antiliberali.

Insomma, l'uso di schemi classificatori semplici o complessi per i fascismi conferma i caratteri dell'analisi liberale, in quanto le modalità distillate in tali classificazioni non costituiscono altro che l'evidenza empirica dell'idea di totalitarismo, che nel migliore dei casi sarebbe una determinazione astratta .dei rapporti tra diritto e potere, ma che si assume come piena intellezione. Queste classificazioni, proprio perché intese come classificazioni di un dato fenomeno, sono l'elenco delle variazioni di quello stesso fenomeno, e non la distinzione di diversi concreti che hanno tratti fenomenici comuni per i quali non sono però soggetti a determinazione.

Quindi, classificare un'ideologia non è spiegarla, poiché identificarne la natura corrisponde necessariamente a riferirla alla totalità concreta in cui emerge. [Xxx]

*J. Inseguire (1936-1998), laureato in filosofia all'USP (1962), negli anni '1960 entra a far parte del gruppo guidato da Caio Prado Júnior attorno alla Revista Brasiliense. A metà degli anni Sessanta fonda la casa editrice Senzala e negli anni Settanta, insieme ad altri collaboratori, la rivista Temi di scienze umane. Negli anni '1980 ha curato la Rivista di saggi e creò l'omonima casa editrice, riunendo un gruppo di attivisti e ricercatori sotto il motto “movimento di idee, idee in movimento”, un progetto marxista che fu brevemente proseguito come Estudos e Edições Ad Hominem, alla fine degli anni '1990. del pensiero maturo di György Lukács in Brasile, così come quello di István Mészaros. La sua attività intellettuale si concentrò sulla “riscoperta di Marx” e sul recupero delle sue linee ontologiche, nonché sull'analisi della realtà brasiliana. È stato professore alla Scuola di Sociologia e Politica (1972-76) e poi all'Università Eduardo Mondlane, in Mozambico (1976-78); Al suo ritorno in Brasile, è entrato a far parte del Dipartimento di Filosofia dell'UFPB, trasferendosi nel 1986 al Dipartimento di Filosofia dell'UFMG, dove ha stabilito una linea di ricerca incentrata sugli studi marxiani (curatore: Diego Maia Baptista).

Originariamente pubblicato su Rivista Argomenti di Scienze Umane, NO. 1. Editoriale Grijalbo, San Paolo, 1977.

note:


[I] "Ciò che distingue politicamente il totalitarismo è (...) l'esistenza di un partito statale monopolistico". Francesco Neumann, Stato democratico e Stato autoritario, Zahar Editores, Rio, 1969, p. 269.

Hannah Arendt, a sua volta, fa riferimento a “mon analyse des éléments de la dominio totale”. H.Arendt, Il sistema totalitario, Seuil, Parigi, .1972, pag. 8.

[Ii]F.Neumann, Stato democratico e Stato autoritario, operazione. cit., pp. 268 a 270.

[Iii]ibid., pag. 270.

[Iv]ibid., pag. 268.

[V] “Il merito morale, il valore assoluto e la dignità essenziale della personalità umana hanno costituito il postulato fondamentale del liberalismo”. J.Salwyn Schapiro, Liberalismo, Editoriale Paidós, Buenos Aires, 1965, p. 12.

[Vi]ibid., pag. 14.

[Vii]ibid., pag. 13.

[Viii]ibid., pag. 13.

[Ix]ibid., pag. 12.

[X] "(...) un governo liberale, sia in forma monarchica che repubblicana, si basa sullo stato di diritto, che emana da un corpo legislativo liberamente eletto dal popolo." ibid., pagg. 13 e 14.

[Xi]ibid., pag. 13.

[Xii] “Quasi dai suoi inizi, lo vediamo (il liberalismo) lottare per opporsi all'autorità politica, per confinare l'attività di governo nel quadro dei principi costituzionali e, di conseguenza, per cercare un sistema adeguato di diritti fondamentali che lo Stato non ha il potere di conferire di invadere”. HJ Laski, liberalismo europeo, Fondo de Cultura Economica, Messico, 1969, p. 14.

[Xiii]Il liberalismo "ha guardato con sospetto ... ogni tentativo di impedire, attraverso l'autorità del governo, il libero svolgimento delle attività individuali". ibid., pag. 15.

[Xiv] “Perché ciò che ha prodotto il liberalismo è stata la comparsa di una nuova società economica alla fine del Medioevo. Per quanto riguarda la dottrina, essa è stata plasmata dalle esigenze di questa nuova società; e, come tutte le filosofie sociali, non poteva trascendere l'ambiente in cui era nata. ibid., pag. 16.

[Xv]Il liberalismo “non ha mai potuto capire – o non è mai stato in grado di ammetterlo pienamente – che la libertà contrattuale non è mai veramente libera fino a quando le parti contraenti non hanno uguale potere negoziale. E questa uguaglianza è necessariamente una funzione di condizioni materiali uguali. L'individuo che il liberalismo ha cercato di proteggere è colui che, all'interno del suo quadro sociale, è sempre libero di comprare la sua libertà; ma è sempre stata una minoranza dell'umanità che può permettersi di fare questo acquisto. ibid., pagg. 16 e 17.

[Xvi]Va aggiunto che tale procedura non produce, perché le sottolinea, migliori risultati nel campo della conoscenza individuale e giuridica. A nostro avviso, il suo privilegio è esattamente la manifestazione di un percorso che non giova alla scienza a nessun livello.

[Xvii] "... il liberalismo (...) ha sempre inteso insistere sul suo carattere universale..." HJ Laski, on. cit., P. 16.

[Xviii] “Si può dire, insomma, che l'idea di liberalismo è storicamente bloccata, e questo inevitabilmente, con la proprietà della proprietà. I fini che serve sono sempre i fini degli uomini che si trovano in questa posizione. Al di fuori di questa ristretta cerchia, l'individuo i cui diritti ha vegliato con tanto zelo non è che un'astrazione, alla quale i benefici previsti da questa dottrina non potrebbero mai, in realtà, essere pienamente conferiti. E poiché i loro scopi sono stati plasmati dai proprietari della proprietà, il margine tra i loro fini ambiziosi e la loro reale efficacia pratica è stato molto ampio. ibid., op. cit., pag. 17.

[Xix] “…è possibile confondere o liquidare tutte le differenze storiche formulando delle leggi umano universale”. Carlo Marx, Introduzione Générale à la Critique de L'Economie Politique, Nel LavoriI, Pléiade, Parigi, 1972, pp. 239 e 240.

[Xx]Evidentemente si tratta qui del significato e dell'uso predominante del concetto di totalitarismo. Non vogliamo diluire le sfumature, né mancare di riconoscere che certe differenze di senso si introducono in certi casi, in modo tale che si finisce per parlare di un totalitarismo nazifascista e di un totalitarismo comunista o bolscevico. Tuttavia, queste distinzioni sono profondamente correlate; anche in questi casi la costruzione del concetto obbedisce sostanzialmente allo schema che stiamo presentando. Vedi: Gregório R. de Yurre, Totalitarismo ed Egolatria, Aguilar, Madrid, 1962, pag. X; JL Talmon, Los Origines de la Democracia Totalitariaa, Aguilar, Messico, 1956, pp. da 6 a 8 e 271; Schapiro, on. cit., P. 1; citiamo anche Karl A. Wittfogel (dispotismo orientale, ed. Guadarrama, Madrid, 1956) che, occupandosi del società idraulica, si occupa anche del comunismo, ma non include il nazifascismo quando usa il concetto di totalitarismo. Tuttavia, non manca di rivelare le sue fonti ispiratrici identificando la nozione con l'idea di “schiavitù generale (di stato)” (p. 28, la parentesi è dall'originale), elencando anche in tutta l'opera (soprattutto i cap. 4 e 5) le caratteristiche del totalitarismo nello stile di quelle che troviamo in Neumann. Per indicare a cosa ci riferiamo quando citiamo Vargas e Peron, bastano le seguenti parole: “C'è però un'altra forma di estremismo di sinistra che, come l'estremismo di destra, viene spesso classificata sotto il titolo di fascismo. Quella forma, il peronismo, che è ampiamente rappresentata nei paesi più poveri e sottosviluppati…” Seymour Martin Lipset, L'uomo politico, Zahar, Rio, 1967, pp. 138 e 139.

[Xxi]G. Lukács, Teoria del romanticismo, ed. Presenza, Lisbona, p. 20.

[Xxii] “Il liberalismo ha dovuto lottare per la sua sopravvivenza nel corso della sua storia, cosa che non è meno vera oggi. La dittatura totalitaria, fascista e comunista, è stata il suo nemico dichiarato e intransigente ovunque sia stata». JS Schapiro, operazione. cit., pag. 7.

[Xxiii] “Non è una semplice questione di forza più o meno politica. La differenza è di qualità, non di quantità. Laddove il potere è principalmente esercitato da strumenti tradizionali di coercizione, come nella monarchia assoluta, il suo funzionamento è governato da alcune regole astratte e calcolabili, anche se a volte vengono applicate arbitrariamente. L'assolutismo contiene già, dunque, i grandi principi istituzionali del liberalismo moderno. La dittatura totalitaria, invece, è la negazione assoluta di questi principi perché i principali organi repressivi non sono i tribunali o le amministrazioni, ma la polizia segreta e il partito». F.Neumann, op. cit., pag. 270.

[Xxiv] “Poiché la concezione dei fenomeni, sotto forma di 'leggi naturali' della società, caratterizza, secondo Marx, sia il culmine che il 'limite insormontabile' del pensiero borghese”. G. Lukács, Storia e coscienza di classe, Grijalbo, Messico, 1969, pag. 193.

[Xxv]JA Giannotti, Appunti per un'analisi metodologica di “O Capital”, In Rivista Brasiliana, S. Paolo, n.º 29, 1960, p. 66.

[Xxvi]JA Giannotti, Appunti per un'analisi metodologica di “O Capital”, In Rivista Brasiliana, S. Paolo, n.º 29, 1960, p. 66.

[Xxvii]ibid., P. 61 (sottolineatura nostra).

[Xxviii]ibid., pag. 66.

[Xxix] “Nel linguaggio corrente, il termine 'fascismo' designa non solo la dottrina dell'Italia fascista, ma anche quella della Germania di Hitler e quella di tutti i regimi di ispirazione più o meno assimilabile (la Spagna di Franco, il Portogallo di Salazar, l'Argentina di Péron, ecc.). (...) Tuttavia, va notato che questo uso è molto discutibile (...). Da qualche anno il termine 'totalitarismo' è molto usato, soprattutto da Carl J. Friedrich negli Stati Uniti. Il termine è comodo, ma deriva anche da una discutibile assimilazione tra le 'dittature fasciste' e il regime sovietico. (…) Sebbene le istituzioni dei diversi paesi 'totalitari' siano, per molti aspetti, comparabili, per quanto riguarda le ideologie, le somiglianze sono ben lungi dall'essere così evidenti. L'uso della parola 'totalitarismo' porta al risultato - che forse per alcuni è l'obiettivo - di nascondere le differenze che derivano dall'essenza stessa del regime e di suggerire parallelismi non sempre convincenti”. Jean Touchard, Storia delle idee politiche, Tecnos, Madrid, 1970, pag. 608. Cfr. anche la nota 20 di quest'opera.

[Xxx] Questo testo fa parte di una serie di preoccupazioni incentrate sull'analisi dell'opera di Plínio Salgado, oggetto del nostro studio (L'integralismo di Plínio Salgado) di prossima pubblicazione [Integralismo di Plinio Salgado – forma di regressività del capitalismo iperlatero, LECH, San Paolo, 1978]. Lo scopo fondamentale dell'indagine svolta è stato quello di stabilire l'identità dell'ideologia pliniana, che ci ha portato alla distinzione tra fascismo e integralismo. L'analisi convenzionale dell'integralismo ha sempre confuso i due fenomeni, una tesi che è stata accademicamente sancita nell'opera di Hélgio Trindade, utilizzando, tra le altre risorse, il concetto di totalitarismo. Le osservazioni critiche, relative al concetto, qui contenute, sono quindi immediatamente legate alle esigenze del nostro lavoro specifico, riflettendo così i limiti in cui è stato composto. Tuttavia, senza alcuna maggiore pretesa sistematica o di approfondimento, le considerazioni valgono da sole e costituiscono un'apertura di dibattito che cerca di contestare il carattere esplicativo del concetto che molti acriticamente gli attribuiscono, e che ha motivato molti passi falsi teorici e pratici .

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