A proposito di “hine nationale”

Immagine: Selvin Esteban
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da LUIS FELIPE MIGUEL*

Di fronte alla sigillatura dell’identità, la sinistra cede sempre

Non sono un fan dell'inno nazionale. Non mi piace la musica, i testi e tanto meno l'idea dei simboli nazionali “sacri”, che rimanda al patriottismo ammuffito e conservatore.

A volte dico che, se è necessario avere un inno, dovrebbe essere “Carinhoso”, “Tico-tico no fubá” o “Penas do tiê”. Almeno ha mostrato il meglio che il Brasile era capace di produrre.

Ma il punto è: non credo affatto che la questione meriti nemmeno di essere sollevata.

Abbiamo molte altre priorità in agenda – o qualcuno ne dubita?

Ma il comizio di Boulos con Lula a San Paolo ha fatto cantare l'inno in un “linguaggio neutro”.

Sai: "figli" di questa terra, quel genere di cose. Non ho controllato se la “madre gentile” è diventata “una persona che si comporta con gentilezza”. Immagino di no, a causa della metrica.

Il risultato netto è stato quello di suscitare scalpore nelle reti di destra, mobilitando il loro attivismo contro la “profanazione” dell’inno.

La destra, come sappiamo, è pronta a sottomettere il Paese a interessi esterni, a consegnare le nostre ricchezze, a disonorare il popolo. Ma è “nazionalista” perché indossa la maglietta della CBF, mette una bandiera alla finestra e canta o finge di cantare correttamente l’inno.

(E anche perché non accetta la protezione dell’Amazzonia, ma questo è un altro discorso.)

La campagna di Boulos ha tolto il video e ha detto che non sapeva nulla, che era un'iniziativa dell'interprete. Se è così, dimostra dilettantismo.

In ogni caso il caso è illustrativo.

Sembra che la sinistra brasiliana sia pronta a tirarsi indietro davanti a tutto, per paura dello scontro. Nessun discorso anticapitalista, si parla a malapena di imperialismo, la lotta di classe è scomparsa, “imprenditorialità” e “innovazione” hanno preso il sopravvento nel vocabolario, il diritto all’aborto è un tabù, e così via.

L'unica eccezione: il sigillo dell'identità.

Di fronte alla sigillatura dell’identità, la sinistra cede sempre.

Vale la pena spiegarlo: per “identitarismo” non intendo le richieste di emancipazione dei gruppi dominati, ma un certo modo di esprimerle che si presta più alla gratificazione individuale che alla sfida alle strutture sociali di oppressione.

“Sigillando” la ricerca di questa soddisfazione autoindulgente, indifferente alle conseguenze.

Nelle università è una vergogna. Qual è lo scopo di un seminario dal titolo “Educare con il culo”, come all'UFBA? Oppure organizzare un ricevimento per le matricole con gli anziani completamente nudi, come a FURG?

La domanda è retorica. Serve, da un lato, ad alimentare il panico morale che alimenta l’agitazione di destra. Dall’altro, far sì che una manciata di attivisti si sentano molto “trasgressivi” e si divertano nella controversia che hanno creato.

Ma non resta all'università. In molte candidature di sinistra, sembra che la regola sia questa: al centro della campagna, Faria Lima. Ai margini, il centro accademico.

E la trasformazione del mondo? Ah, questo è per quando la “correlazione delle forze” migliora. Per miracolo, ovviamente, perché non viene fatto nulla per intaccarlo.

(Con le mie scuse a tutte le AC, in tutto il Brasile, che ancora resistono a tutto questo.)

* Luis Filippo Miguel È professore presso l'Istituto di Scienze Politiche dell'UnB. Autore, tra gli altri libri, di Democrazia nella periferia capitalista: impasse in Brasile (autentico). [https://amzn.to/45NRwS2]

Originariamente pubblicato sui social media dell'autore.


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