da NABIL ARAÚJO*
Tre domande per Tales Ab'Sáber (e i suoi lettori)
Dopo aver letto e discusso, con lo stesso autore, Il soldato antropofagico: schiavitù e non pensiero in Brasile, libro impressionante sotto tanti aspetti e per tanti motivi, mi rivolgo qui a tre domande, estese ora ai nuovi lettori che il testo merita di avere, per riverberare ed esplorare ambivalenze che hanno catturato la mia attenzione fin dalla prima lettura del lavoro.
1.
Come professore e ricercatore nel campo degli studi letterari, è naturale che il mio interesse per il libro si concentri principalmente sul posto occupato e sulla funzione svolta dalla letteratura nell'archeologia, o nella genealogia, per usare due termini foucaultiani, assunti da Tales Ab' Sáber nel libro.
Archeologia o genealogia, certo, del “non pensiero”, della struttura schiava del “non pensiero” in Brasile, ma che si rivelerebbe anche, in un senso importante, un’archeologia o genealogia delle condizioni di possibilità della letteratura in Brasile.
Evocando, quindi, un'accezione più foucaultiana che kantiana dell'idea di “condizioni di possibilità”, ci si potrebbe chiedere, con Racconti Ab'Sáber: Quando (e perché) Machado de Assis o Joaquim Nabuco?
In questo senso, Tales Ab'Sáber è molto vicino alla tradizione di studi letterari che risale ad Antonio Candido e, soprattutto, a Roberto Schwarz, al quale, infatti, si ascrive esplicitamente, e in linea con la quale la “forma letteraria ” è pensato, di regola, in omologia con il “processo sociale”.
Non sorprende, quindi, che, nel racconto che si intreccia nel libro, l’opera letteraria appaia molto meno come oggetto e molto più come indice – talvolta, addirittura, come sintomo – di una certa struttura sociale, o una certa struttura di pensiero; ma a volte questo non è ciò che accade.
E vorrei attirare l'attenzione sui momenti in cui Tales Ab'Sáber sembra, infatti, complessificare la sua idea di letteratura, di discorso letterario e la funzione che questo avrebbe sia nella storia che vuole raccontare sia nella l'economia del proprio discorso.
Mi sembra che ciò sia esplicitato, ad esempio, nel prologo del libro, intitolato “Siamo contemporanei della nostra schiavitù”, in cui, a un certo punto, si parla di “sei modi principali di concepire la nostra schiavitù”. (AB'SÁBER , 2022, p. 28) – modi, ovviamente, oltre al “discorso abolizionista via via accentuato dopo il 1860” (Ibid., p. 28), tra cui quello relativo al “soldato antropofagico” in spicca il titolo del libro: il tedesco Carl Schlichthorst.
Accanto ad esso, altri tre modi, su quattro in totale, prendono quindi il nome da scrittori – Gonzaga, Gonçalves Dias, Alencar –, tutti anteriori al “momento decisivo” (per usare l'espressione di Antonio Candido) machadiano, nella svolta che serve addirittura come guida per Tales per valutare il valore dell'opera del suo protagonista, il cosiddetto “soldato antropofagico” tedesco.
Thales Ab'Sáber ci parla quindi, in relazione a tali scrittori, di “modi di concepire la nostra schiavitù”. Richiamo l'attenzione sul verbo ormai associato alla produzione letteraria a cui mira l'autore, che non è “rappresentare”, o “documentare”, o “fotografare”, bensì “concepire”.
Ebbene, il verbo indica una possibilità di qualcosa, si direbbe una potenza del discorso letterario, che non sarebbe quella di una mera riproduzione, ma quella di una vera e propria produzione della “nostra schiavitù”, intesa qui, quindi, come concezione di discorso poetico o narrativo, o, per meglio dire, di concezioni, a seconda del “modo di concepire” in atto in questa o quell’opera letteraria presa in esame.
C'è, quindi, una lacuna nel libro per pensare alla letteratura che produce qualcosa che non sarebbe semplicemente previsto dalla struttura sociale, ma piuttosto modellato da uno dei suddetti "modi di concepire", o, poiché si tratta di modalità di discorso, “modi di dire”, specifica Racconti Ab'Sáber: “modi di dire la nostra vita popolare che ha avuto contatto con i lavoratori, gli schiavi e i neri, gli africani diventati brasiliani con la forza” (Ibid., p. 28).
Rivolgendoci, con l'autore, a questi diversi “modi di dire” la schiavitù in Brasile, possiamo pensare, in termini di studi letterari, da una prospettiva che approccia il discorso narrativo e/o poetico piuttosto come produzione di immagini, quindi come una certa performance immaginativa, piuttosto che come mera osservazione, o come riflessione, o come indice, o come sintomo.
Così, secondo Tales Ab'Sáber: (i) la “modalità del silenzio, o potere come atto e rifiuto simbolico”, il modo principale per le élite “di gestire la cultura della schiavitù, almeno fino alla fine degli anni '1850 dell'Ottocento in Brasile” (Ibid., p. 29); (ii) la “via Vilhena, ovvero il potere contro l’erotismo”, guidata dal “rifiuto affermativo del valore della vita popolare e della cultura che da essa emana, uno stretto controllo poliziesco sulla vita dei poveri, un esplicito controllo politico poliziesco delle spazi pubblici nelle città” (Ibd., p. 30).
(iii) La “via di Gonçalves Dias, o la denuncia del non detto”, che si sarebbe configurata in alcune poesie, ma soprattutto nel dialogo “Meditação” (1846), testo che il poeta non pubblicherà in nessuna delle sue lavori. Canti, e che anticipa apertamente, osserva Tales (Ibid., p. 31), “il discorso abolizionista, Joaquim Nabuco e perfino Caio Prado Júnior”; (iv) la “modalità Schlichthorst, ovvero godimento, erotismo e cultura”, caratterizzata dall’“ambivalenza di uno sguardo che vede l’eccezione brasiliana, dal punto di vista dell’onnipresenza della violenza, godere di qualcosa del suo razzismo e del possesso di corpi, ma anche la necessità della vita sociale di vivere e creare modi di esistenza, materiali e simbolici” (Ibid., p. 31).
(v) La “via Gonzaga, riconoscimento a distanza”, qualcosa come una “contemplazione sospesa” della cultura popolare da un punto di vista “ironico e negativo, satirico, dall’alto”, da cui “la cultura popolare, di origine africana, potrebbero circolare attraverso i circuiti ibridi delle élite e del potere, a patto che i poveri e i neri rimangano sempre ben collocati nel loro posto originario finale” (Ibid., p. 32-33); (vi) la “via Alencariana, conservatorismo patriarcale e arretratezza”, che si confonde con “l’emergere della voce reattiva e del suo progetto” di fronte all’ascesa dell’abolizionismo forte alla fine del XIX secolo (Ibid., p. 33).
La mia prima domanda, quindi, ha a che fare con questa dimensione, questi modi di dire, di concepire, come potere performativo del discorso narrativo o del discorso poetico non semplicemente per reagire, o riprodurre, o somatizzare, ma per produrre qualcosa più attivamente.
Se non sbaglio, in tutti i modi di dire sopra menzionati si nota una bivalenza: da un lato c'è qualcosa che potremmo chiamare un “evento”, nel senso di un “evento storico”: questo è stato possibile in questo momento con Gonçalves Dias; quello, in altro tempo, col Gonzaga, ecc., ecc.; d’altro canto, Tales sembra suggerire quello che potremmo chiamare un “effetto struttura”, cioè qualcosa che rimarrebbe attivo, contemporaneamente, come linea di forza del (non)pensiero in Brasile: in una certa linea, da Gonçalves Dias a Nabuco, a Caio Prado Jr e oltre; in una seconda linea, in netta tensione con la prima, da Alencar al bolsonarismo; in un terzo, da Gonzaga alla “nostra borghesia colta ed elitaria” quando vanno “al carnevale e a Bahia” e poi “ritornano nelle nostre sale culturali, dove poveri e neri continuano a servirci” (Ibid., p. 33 ); in una quarta, che a Tales sembrerebbe soprattutto una linea di fuga, dal “soldato antropofagico” tedesco alla moderna antropofagia brasiliana.
Possiamo quindi, in sintesi, chiederci fino a che punto i modi di dire cultura popolare individuati diacronicamente da Tales Ab'Sáber non si lascerebbero percepire sincronicamente come linee di forza (in un campo di forze) della produzione, della circolazione e la ricezione di discorsi conformi di alterità (e identità) nel Brasile contemporaneo.
2.
Concentriamoci ora sull'ambivalenza che riguarda il grande protagonista del libro, Carl Schlichthorst, il paradossale “soldato antropofagico” di Tales Ab'Sáber, presentato da Tiago Ferro in copertina del volume: “Moderno, aggiornato e aperto, libero dai patti di conciliazione silenzioso degli interessi schiavisti, Schlichthorst vede e vive (e decifra e divora!) la cultura urbana creata dagli schiavi che, secondo l'analisi di Talete, porterà, circa un centinaio di anni dopo, alla matrice meticcia di gran parte della nostra migliore produzione del Novecento, comprese le uscite ideologiche culturaliste che morirono con i tropicalisti guidati da Caetano Veloso. Le implicazioni dell’ipotesi sono numerose”.
Ciò evidenzia il lato, per così dire, più solare del soldato mercenario tedesco che viaggiò per Rio de Janeiro tra il 1824 e il 1826, dopo aver registrato le sue impressioni su ciò che vide e visse in un volume intitolato Rio de Janeiro così com'è, pubblicato nel 1829 in Germania e nel 1943 in Brasile, e che sarà oggetto di grande attenzione da parte di Tales nel suo libro, soprattutto per il racconto quasi onirico del soldato dell'impatto generato su di lui dall'apparizione casuale, su una spiaggia di Rio , di una giovane venditrice di caramelle di colore che poi canta e balla davanti a lui.
Ricordiamo però che, fin dall'inizio, trattando della “via Schlichthorst”, Tales attribuisce tale visione a: “L'origine della nostra ambivalenza erotico-culturale, positiva come luogo di riconoscimento dell'atto popolare, ma controllare i limiti dell’azione politica dei poveri in questo continente interessato all’erotismo-simbolico e, quindi, anche sessista, sessista e perverso in un altro grado di impegno. Campo culturale godibile, basato su forme estetiche legate al corpo, con il suo sottofondo di violenza e resistenza. O, in altre parole, rapporto sessuale culturale, produttivo, politicamente inquadrato, controllato e guidato” (Ibid., p. 32).
Questa forte ambivalenza rimarrà, di regola, nei riferimenti di Tales a Schlichthorst e al suo lavoro su Rio de Janeiro. In essi, a volte, sentiamo un po' pesare la mano nel tentativo di tracciare la figura del primo scrittore rilevante del XIX secolo brasiliano. Tuttavia, prevale l’ambivalenza: Tales Ab’Sáber non conclude il suo libro sostenendo un’immagine pacificatrice di questo presunto precursore ottocentesco dell’antropofagia e del tropicalismo; lontano da esso.
Verso la fine, Tales si chiede: “L’azione sessuale di padroni e schiavi nelle strade e nella vita cittadina ha attenuato il dolore violento della prigionia, come gesto utopico e micropolitico di incontro, guidato dal piacere che vuole purificare l’ordine del terrore… oppure..., è aumentato... come produzione di cultura del riconoscimento e della soggettivazione, solo da allora questo desiderio si è limitato, sublimando con la forza i terrori più generali fino a diventare un nuovo ordine di prigionia biopolitica?" (Ibid., p. 283-284).
E ancora: «Possiamo considerare il gioco degradato della seduzione nella società interamente deformata dalla schiavitù qualcosa che appartiene al diritto politico contemporaneo al corpo e all'affermazione erotica femminile – e nera –, oppure in esso infatti tutto è corrosione del carattere. , perversione, uso e abuso del corpo schiavo?” (Ibid, p. 286).
E ancora: “È possibile rispondere in modo definitivo a questo gioco sociale di paradossi, definito da una struttura di potere violenta, ma che evoca il potere creativo del sessuale, espresso nell’arte – una sublimazione che mantiene vivo l’arco del desiderio – come un fonte di possibilità, umane e sociali concrete, in modo sconosciuto e conflittuale, anche se sottile, della tradizionale formazione sessuale europea, nello stesso tempo in cui tutto intorno la aliena?” (Ibid., p. 287).
Di fronte a questa indissolubile ambivalenza, che posto occupa in definitiva il soldato tedesco nel racconto che Tales vuole raccontarci sulla schiavitù e sul “non pensiero” in Brasile, anche nella storia della letteratura brasiliana che si dipanerà a partire dall’inizio?
“Prospettiva straniera, libro 100% brasiliano”, dice l’autore (Ibid., p. 137).
Il rischio permanente qui non sarebbe nemmeno quello di una lettura che alla fine dissolva la scomoda ambivalenza del protagonista Il soldato antropofagico verso la feticizzazione del personaggio come una sorta di grande precursore di tutto e di tutti, cioè di una tradizione diversa di fronte alla schiavitù come “sogno ultimo dei nostri autoritari” (Ibid., p. 22)?
3.
Eccoci dunque di fronte al dilemma di come leggere Schlichthorst oggi.
Un dilemma che esorcizza, come si vede, dal luogo in cui l'autore in questione parla (chi dice cosa, e di cosa, e perché?) verso quello di un luogo in cui ascolta il discorso che pronuncia, e che poi noi affrontare criticamente due secoli dopo.
Il lettore di Tales Ab'Sáber sembra consapevole del dilemma. Ad un certo punto del suo libro emerge esplicitamente quello che potrebbe essere chiamato un “contratto di lettura”, in vista del quale, ovviamente, verrebbero stabilite le condizioni di possibilità per leggere Schlichthorst come fa allora, alla luce dell’inclusione della possibilità che l’autore tedesco verrà letto in modo diverso dal suo, cioè non necessariamente come un mirabile “soldato antropofagico”.
Eccolo, il contratto: “Lui [Schlichthorst] può parlare esplicitamente della barbarie perversa che è diventata la cultura dei maestri dell'attrazione sessuale sprigionata da giovanissime ragazze nere, senza prurito, che venivano loro offerte nelle fattorie di campagna, rivelando con chiarezza e attualità un aspetto sempre nascosto della civiltà degli schiavi e l'illimitatezza dei godimenti dei padroni, in un modo che, per parte dell'attuale coscienza critica, ne invalida praticamente l'operato. Elementi veramente spregevoli di una realtà in gran parte spregevole punteggiano, qua e là, e spesso, il suo lavoro. Quando si leggono le sue memorie brasiliane bisogna poter tollerare che lo stesso narratore che rivela e chiarisce aspetti abietti della prima vita nazionale li viva anche come privilegi accessibili a uomini come lui, e goda del Brasile che rivela, trova strano e quasi denuncia (Ibid., p. 140-141).
Queste sono le condizioni: malgrado una certa “parte dell'attuale coscienza critica” per la quale l'opera del tedesco suonerebbe automaticamente invalida, bisognerebbe “saper tollerare” l'ambivalenza costitutiva del modo di pensare-dire di Schlichthorst per poter essere in grado di valutare, nella sua interezza, ciò che il soldato, tra godimento e straniamento, “quasi denuncia”.
Passando, tenendo presente l'avvertimento di Tales Ab'Sáber, al testo di Carl Schlichthorst, più specificamente alla traduzione di Emmy Dodt e Gustavo Barroso che appare nell'edizione brasiliana di Rio de Janeiro così com'è citato in Il soldato antropofagico, bisognerebbe allora fermarsi a un passaggio come questo: “Dodici anni sono l’età privilegiata delle donne africane. Di tanto in tanto hanno un tale fascino che ne dimentichiamo il colore. Le ragazze nere sono generalmente forti e solide, con lineamenti che denotano piacevole amabilità, e tutti i movimenti pieni di grazia naturale, piedi e mani plasticamente belli. Labbra rosso scuro e denti bianchi e lucenti ti invitano a baciarti. Un fuoco così particolare si irradia dagli occhi e il petto si ansima con un desiderio così ardente che è difficile resistere a tali seduzioni. Anche il degno Clapperton condivideva spesso le stesse sensazioni che mi assalivano in quel momento, senza vergognarsene. Perché dovrei lasciarmi influenzare dall'orgoglio europeo e negare un sentimento che non ha origine nella bassa sensualità, ma nel puro piacere provocato da un capolavoro della Creazione? La ragazza di fronte a me era, a suo modo, uno di quei capolavori e, per lei, potrei usare le parole inglesi: “a beautiful black lady” (SCHLICHTHORST, 1943, p. 203-204).
È a passaggi come questo, si deduce, non infrequenti nelle memorie brasiliane di Schlichthorst, che fa riferimento Tales Ab'Sáber, quando ci esorta a “saper tollerare” l'abiezione al tempo stesso derisa e estraniata dal soldato tedesco, che quasi si lamenta . Ma l'edizione brasiliana di Rio de Janeiro così com'è ci dà più a cui pensare.
La traduzione lusofona del testo tedesco firmata, al centro della Getulista Novo Estado Novo, dall'integralista simpatizzante nazista Gustavo Barroso (e da sua moglie) è permeata di commenti dello stesso Barroso in nota. Gustavo Barroso è particolarmente interessato alla storia militare raccontata dal soldato tedesco, cioè al suo libro come documento della storia militare in Brasile.
Considerando i passaggi del libro che interessano maggiormente a Racconti Ab'Sáber, quelli in cui si parla della schiavitù in Brasile, delle ragazze nere, ecc., attirano l'attenzione i commenti di Gustavo Barroso.
Considerando, ad esempio, la difesa di Schlichthorst (Ibid., p. 80) secondo cui “è proprio la mescolanza del sangue la cosa più appropriata sotto il cielo tropicale”, Barroso (apud SCHLICHTHORST, 1943, pag. 80) commenta, in tono recriminante: “In questo e in altri punti del libro, l'autore, pur essendo tedesco, fa una continua professione di fede antirazzista”.
In un altro punto, in cui il soldato tedesco, riferendosi all’effetto del “cibo abbondante” e del “buon trattamento” dei “neri appena arrivati” in Brasile, osserva: “La pelle sembra rinnovarsi e acquista un nero lucido, i loro occhi si riempiono di vita e di splendore, e in tutti i loro gesti le giovani donne africane dimostrano una grazia naturale, che comunemente manca agli europei” (Ibid., p. 131), Barroso (apud SCHLICHTHORST, 1943, pag. 80) ribatte: “L’autore non perde tempo a lodare gli uomini e le donne di colore…”
Nel brano sull’“età fiorita delle donne africane” che ho citato sopra, Barroso (apud SCHLICHTHORST, 1943, pag. 204) insiste: “Sempre la seduzione delle donne nere…”
Si può così intravedere uno spettro, per così dire, ermeneutico attraverso il quale si distribuirebbero le diverse possibili letture delle memorie brasiliane di Schlichthorst.
Da un lato, la recriminazione schietta e apertamente razzista della “professione di fede antirazzista” (“nonostante sia tedesca”) dell'autore, che soffriva della “seduzione delle donne nere”, una recriminazione i cui echi integralisti-militaristi nel discorso dell’estrema destra brasiliana oggi farebbero pensare alla lunga durata di un probabile “modo Gustavo Barroso, o razzismo sessuale nazizzante”…
All'estremo opposto, la recriminazione, in definitiva la cancellazione, per così dire, dell'autore tedesco da parte di “parte dell'attuale coscienza critica” per la quale l'ipersessualizzazione razzializzata dei corpi delle donne nere invaliderebbe automaticamente il suo lavoro.
Da qualche parte nello spettro, tra un estremo e l’altro, una lettura coraggiosa come quella di Tales Ab’Sáber rischia di presentare l’ambiguità del “soldato antropofagico” e il suo modo di concepire-dire la schiavitù in Brasile, pensando e problematizzando la produttività e la risonanza della sua “quasi denuncia”.
E non sarebbe, del resto, sulla natura intervallare di questo “quasi”, tra godimento e straniamento, che occorrerebbe, poi, riflettere più lentamente, sotto il titolo di una pulsione ambivalente e controversa che attraversa il meglio, forse, è stato prodotto nella moderna cultura brasiliana?
*Nabil Araújo È professore di teoria letteraria all'UERJ. Autore, tra gli altri libri, di Sul perdono e sulla solidarietà dei vivi (Editora Alameda). [https://amzn.to/4cd4qft]
Riferimento
Racconti Ab'Saber. Il soldato antropofagico: schiavitù e non pensiero in Brasile. San Paolo, n-1; Hedra, 2022. [https://amzn.to/3VmQo4c]
Bibliografia
SCHLICHORST, Carl. Rio de Janeiro così com'è (1824-1826). Trans. di Emmy Dodt e Gustavo Barroso. Rio de Janeiro: Getúlio Costa, 1943.
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