da DOMENICO LOSURDO*
Risposta alla recensione di Jean-Jacques Marie
Non si potrà mai valutare in modo soddisfacente la saggezza della frase attribuita a Georges Clemenceau: la guerra è una cosa troppo seria per essere lasciata ai generali!
In effetti, nel suo ardente sciovinismo e anticomunismo, il premier francese ha avuto le idee chiare sul fatto che gli esperti (in questo caso esperti di guerra) riescono spesso a vedere gli alberi ma non la foresta, si lasciano vedere lasciarsi assorbire dai dettagli, perdendo di vista il globale; in questo caso sanno tutto tranne l'essenziale.
L'affermazione di Clemenceau viene subito in mente leggendo la critica intransigente che Jean-Jacques Marie ha voluto rivolgere al mio libro su Stalin [https://dpp.cce.myftpupload.com/stalin-historia-critica-de-uma -black- leggenda/]. A quanto pare, l'autore è uno dei più grandi esperti di "logia del trotskismo" e si propone di dimostrarlo in ogni circostanza.
Stalin liquidato dal Rapporto Segreto, il Rapporto Segreto liquidato dagli storici
Comincia immediatamente a contestare la mia affermazione secondo cui Krusciov "sembra sconfiggere Stalin sotto ogni aspetto". Eppure è il grande intellettuale trotskista Isaac Deutscher a sottolineare che il Rapporto Segreto menziona Stalin come un "enorme, oscuro, fiammeggiante, degenerato mostro umano". Tuttavia, questo ritratto non è abbastanza mostruoso agli occhi di Marie! Il mio libro continua così: nell'argomentazione pronunciata da Krusciov, “poiché era responsabile di crimini orrendi, era un individuo spregevole, sia sul piano morale che su quello intellettuale”.
“Oltre che disumano, il dittatore era anche ridicolo”. Basti pensare al dettaglio su cui Kruscev si sofferma: “occorre tener presente che Stalin preparava i suoi piani sopra un mappamondo. Sì, compagni, ha segnato la prima linea di battaglia sulla mappa del mondo” (p. 27-29 dell'edizione francese). L'immagine qui disegnata su Stalin è chiaramente caricaturale: come è riuscita l'URSS a sconfiggere Hitler, che era guidato da un leader criminale e un imbecille allo stesso tempo? E come è arrivato questo leader criminale e imbecille a governare una battaglia epica come quella di Stalingrado sulla “mappa del mondo”, combattuta di quartiere in quartiere, di strada in strada, di terreno in terreno, di porta in porta?
Invece di rispondere a queste contestazioni, Marie si preoccupa di dimostrare che – in quanto massima specialista di “logia-trotskismo” – conosce anche a memoria il Rapporto Krusciov e comincia a citarlo ovunque, in aspetti che non c'entrano nulla. con il problema in discussione!
A dimostrazione del fatto che questo totale annientamento di Stalin (sul piano intellettuale oltre che morale) non regge all'indagine storica, richiamo l'attenzione su due punti: eminenti storici (nessuno dei quali può essere sospettato di essere filo -stalinisti) parlano di Stalin come del "più grande capo militare del 20° secolo". E vanno ancora oltre: gli attribuiscono un “eccezionale talento politico” e lo considerano un politico “supercompetente” che salva la nazione russa dalla decimazione e dall'asservimento a cui è destinata dal 3° Reich, grazie non solo alla sua astuzia strategia militare, ma anche ai “magistrali” discorsi di guerra, a volte veri e propri “atti di coraggio” che, in momenti tragici e decisivi, arrivano a stimolare la resistenza nazionale. E non solo: gli storici ardentemente antistalinisti riconoscono l'“acume” con cui tratta la questione nazionale nel suo scritto del 1913 e l'“effetto positivo” del suo “contributo” alla linguistica (p. 409).
In secondo luogo, noto che già nel 1966 Deutscher manifestava seri dubbi sulla credibilità del Rapporto Segreto: “Non lo ritengo sul punto di accettare senza riserve le cosiddette 'rivelazioni di Krusciov', in particolare la sua affermazione che in nella 2a guerra mondiale (e nella vittoria sul 3° Reich) Stalin giocò solo un ruolo praticamente insignificante” (p. 407). Oggi, alla luce del nuovo materiale disponibile, non pochi studiosi accusano Krusciov di aver fatto ricorso alla menzogna. E quindi: se Kruscev compie l'annientamento totale di Stalin, la storiografia più recente vanifica la credibilità del cosiddetto Rapporto Segreto.
Come risponde Marie a tutto questo? Riassume non solo il mio punto di vista ma anche quello degli autori da me citati (compreso il trotskista Deuscher) con il luogo comune: “Vai retro, Krusciov!”. In altre parole, il grande specialista della “logia-trotskismo” crede di poter esorcizzare le difficoltà insormontabili che deve affrontare pronunciando due parole in latino (ecclesiastico)!
Diamo un'occhiata a un secondo esempio. All'inizio del secondo capitolo ("I bolscevichi: dal conflitto ideologico alla guerra civile"), analizzo il conflitto che si sviluppa in occasione della pace di Brest-Litowsky. Bucharin denuncia il “declino contadino del nostro partito e del potere sovietico”; altri bolscevichi lasciano il partito; altri addirittura dichiarano che il potere sovietico stesso è privo di valore. In senso opposto, Lenin esprime la sua indignazione per queste “parole sfuggenti e mostruose”. Già nei suoi primi mesi di vita, la Russia sovietica vede svilupparsi un conflitto ideologico di estrema asprezza e sul punto di trasformarsi in guerra civile.
E tanto più facilmente si trasformerà in guerra civile – osservo nel mio libro – poiché, con la morte di Lenin, “scompare un'autorità indiscutibile”. Prima – aggiungo –, secondo un illustre storico borghese (Conquest), già allora Bukharin aveva accarezzato l'idea di un colpo di stato (p. 71). Come risponde Marie a tutto questo? Ancora una volta, mostra tutta la sua erudizione di grande, e forse il più grande, specialista di "logia-trotskismo", ma non si sforza di rispondere alle domande che si pongono: se il conflitto mortale che affligge successivamente il gruppo dirigente bolscevico sia solo da biasimare di Stalin (il pensiero primitivo non può fare a meno del capro espiatorio), come spiegare il duro scambio di accuse che Lenin condanna come “mostruose”, le frasi pronunciate da chi incoraggia la “degenerazione” del Partito Comunista e del potere sovietico? E come spiegare il fatto che Robert Conquest – che ha dedicato tutta la sua esistenza a dimostrare la sordidezza di Stalin e dei processi di Mosca – abbia parlato di un progetto di colpo di stato contro Lenin, coltivato o accarezzato da Bukharin?
Non sapendo come rispondere, Marie mi accusa di essere un manipolatore e scrive addirittura che - per quanto riguarda l'idea di un colpo di stato di Bukharin - cito solo me stesso. Non ho tempo da perdere in insulti. Mi limito a segnalare che a pagina 71, nota 137, cito uno storico (Conquest) che non è inferiore a Marie né per erudizione né per zelo antistalinista.
2- Come i trotskisti per Marie insultano Trotsky
Con la morte di Lenin e il consolidamento del potere di Stalin, il conflitto ideologico diventa sempre più una guerra civile: la dialettica saturniana che, in un modo o nell'altro, si manifesta in tutte le grandi rivoluzioni, purtroppo non risparmia neppure i bolscevichi. Sviluppo questa tesi nella seconda parte del secondo capitolo, citando una serie di personalità tra le tante (che rivelano l'esistenza di un apparato clandestino e militare creato dall'opposizione) e citando soprattutto Trotsky. Sì, lo stesso Trotsky dichiara che la lotta contro l'“oligarchia burocratica” stalinista “non consente una soluzione pacifica”. È sempre lui a dichiarare che «il Paese va notoriamente verso la rivoluzione», verso una guerra civile, e che, «nel quadro di una guerra civile, l'assassinio di alcuni oppressori non è più questione di terrorismo individuale», ma è parte integrante della “lotta mortale” tra schieramenti opposti (p. 104). Come si vede, almeno in questo caso, lo stesso Trotsky sfida la mitologia del capro espiatorio.
L'imbarazzo del tutto privato di Marie è comprensibile. Poi? Conosciamo già l'ostentazione dell'erudizione come cortina fumogena. Andiamo alla sostanza. Tra le innumerevoli e diversissime personalità da me citate, Marie ne sceglie due: una (Malaparte) che considera un incompetente, l'altra (Feuchtwanger) che etichetta come agente mercenario al servizio del crimine e un imbecille che sta al Cremlino. E così il gioco è fatto: la guerra civile scompare e di nuovo il primitivismo capro espiatorio può celebrare i suoi successi. Ma rifiutarsi di tener conto degli argomenti usati da un grande intellettuale, come Feuchtwanger, per limitarsi a bollarlo come agente mercenario al servizio del nemico: non è forse questo il modo di procedere generalmente considerato “stalinista”? E, soprattutto: cosa pensare della testimonianza di Trotsky che parla di “guerra civile” e di “lotta mortale”? Non è un paradosso che il grande esperto e sommo sacerdote della “logia-trotskismo” costringa al silenzio la divinità che venera? Sì, ma non è l'unico paradosso e nemmeno il più clamoroso.
Vediamo: Trotsky non solo paragona Stalin a Nicola II (p. 104) ma va oltre: al Cremlino c'è un “provocatore al servizio di Hitler”, o “burattino di Hitler” (p. 126 e 401). E Trotsky, che si vantava di avere molti sostenitori in Unione Sovietica e che, secondo Broué (biografo e agiografo di Trotsky), era riuscito a infiltrare i suoi "fedeli" anche nel cuore della GPU, non aveva fatto nulla per distruggere il movimento controrivoluzionario potere del nuovo zar o dello schiavo del 3° Reich? Marie finisce per ritrarre Trotsky come un semplice chiacchierone che si limita a spacconate verbali da taverna, o come un rivoluzionario privo di coerenza e persino pauroso e vile. Il paradosso più clamoroso è che sono effettivamente costretto a difendere Trotsky contro alcuni dei suoi apologeti!
Dico "alcuni dei suoi apologeti" perché non tutti sono impreparati come Marie. A proposito della spietata “guerra civile” che si sviluppa tra i bolscevichi, il mio libro osserva: “Siamo di fronte a una categoria che costituisce il filo conduttore della ricerca di uno storico russo (Rogovin), di ferma e dichiarata fede trotskista, autore di un'opera in più volumi, dedicata a registrare la minuziosa ricostruzione di quella guerra civile. Si parla, nei confronti della Russia sovietica, di "una guerra civile preventiva" scatenata da Stalin contro coloro che si stanno organizzando per sconfiggerlo. Anche a quelli fuori dall'Urss questa guerra civile si manifesta e in parte scoppia sul fronte dei combattimenti contro Franco; e, infatti, in riferimento alla Spagna del 1936-39, non si parla di una, ma di «due guerre civili». Con grande onestà intellettuale e avvalendosi del nuovo ricco materiale documentario disponibile, grazie all'apertura degli archivi russi, l'autore qui citato giunge alla conclusione: "I processi di Mosca non furono un delitto a sangue freddo e senza ragione, ma la reazione di Stalin in il corso di un'aspra lotta politica'”.
Discutendo con Alexander Solzhenitsyn, che cita le vittime delle purghe come un branco di “conigli”, lo storico trotskista russo cita un piccolo opuscolo che negli anni '1930 chiamava la spazzata del Cremlino “il dittatore fascista e la sua cricca”. Poi commenta: “Anche dal punto di vista della legislazione russa attualmente in vigore, questo volantino va analizzato come un appello a un rovesciamento violento del potere (più precisamente dello strato superiore dominante)”. In conclusione, lungi dall'essere espressione di “un attacco di violenza irrazionale e insensata”, il terrore sanguinario scatenato da Stalin è, in realtà, l'unico modo in cui riesce ad abbattere la “resistenza delle vere forze comuniste” ( pag. 117).-118).
Così si esprime lo storico trotskista russo. Ma Marie – per non rinunciare al suo primitivismo e alla ricerca di un capro espiatorio (Stalin) su cui concentrare tutte le colpe del Terrore e dell'Unione Sovietica nel suo insieme – preferisce seguire le orme di Solzhenitsyn e presentare Trotsky come un “coniglio”.
3- Tradimento o contraddizione oggettiva? La lezione di Hegel
Nel quadro da me delineato, i meriti di Stalin restano fermi: ha compreso una serie di punti essenziali: la nuova fase storica che si è aperta con il fallimento della rivoluzione in Occidente; il periodo della colonizzazione degli schiavi che minacciava la Russia sovietica; l'urgenza di mettersi al passo con l'Occidente; la necessità di conquistare la scienza e la tecnologia più avanzate e la consapevolezza che la lotta per tale conquista può essere, in determinate circostanze, un aspetto essenziale e persino decisivo della lotta di classe; la necessità di coordinare patriottismo e internazionalismo e la comprensione del fatto che una vittoriosa resistenza nazionale e una lotta di liberazione (come la Grande Guerra Patriottica) costituivano allo stesso tempo un contributo di prim'ordine alla causa internazionalista della lotta contro l'imperialismo e capitalismo.
Stalingrado ha stabilito i requisiti per la crisi del sistema coloniale su scala planetaria. Il mondo di oggi è caratterizzato dalle difficoltà crescenti dello stesso neocolonialismo; dalla prosperità di paesi come la Cina e l'India e, più in generale, di civiltà allo stesso tempo soggiogate o umiliate dall'Occidente; dalla crisi della Dottrina Monroe e dallo sforzo di alcuni paesi latinoamericani di unire la lotta all'imperialismo con la costruzione di una società post-capitalista. Ebbene, questo mondo non è presumibile senza Stalingrado.
Eppure, detto questo, è possibile comprendere la tragedia di Trotsky. Dopo aver riconosciuto il grande ruolo da lui svolto nel corso della Rivoluzione d'Ottobre, il mio libro descrive così il conflitto che venne a formarsi con la morte di Lenin: , geniale organizzatore dell'Armata Rossa e brillante oratore e prosatore che intendeva incarnare le speranze di trionfo della rivoluzione mondiale e che, a tal fine, avanzò la legittimità della sua aspirazione a governare il partito e lo Stato.
Stalin, però, era l'incarnazione del potere legale-tradizionale che stava faticosamente prendendo forma: a differenza di Trotsky – ultimamente legato al bolscevismo – egli rappresentava la continuità storica del partito che fu protagonista della rivoluzione e, successivamente, detentore di un nuova legalità; Inoltre, affermando la fattibilità del socialismo anche in un unico (grande) Paese, Stalin ha infuso una nuova dignità e identità alla nazione russa, che ha così superato la spaventosa crisi – fittizia più che concreta – scoppiata dalla sconfitta e dal caos. prima guerra mondiale, ritrovandone la continuità storica.
Ma proprio per questo gli oppositori gridavano “tradimento”, mentre emergevano tutti traditori agli occhi di Stalin e dei suoi sostenitori, che con il loro avventurismo facilitavano l'intervento di potenze straniere, mettendo in pericolo, in ultima analisi, la sopravvivenza della nazione russa – che era nel Allo stesso tempo, il distaccamento d'avanguardia della causa rivoluzionaria. Lo scontro tra Stalin e Trotsky è un conflitto non solo tra due programmi politici, ma anche tra due principi di legittimazione” (p. 150).
A un certo punto, di fronte alla radicale novità della scena nazionale e internazionale, Trotsky si convinse (erroneamente) che a Mosca ci fosse una controrivoluzione e agì di conseguenza. Nel quadro disegnato da Marie, invece, Trotsky e i suoi sostenitori – pur essendo riusciti a infiltrarsi nella GPU e in altri settori vitali dell'apparato statale – senza combattere, si sono lasciati picchiare e massacrare dalla controrivoluzione criminale e idiota che era installato al Cremlino. Senza dubbio, questa è la lettura – per ridicolizzare particolarmente Trotsky, sminuendo e rendendo mediocri e irriconoscibili tutti i protagonisti della grande tragedia storica che si sviluppò sulla scia della Rivoluzione russa (come in tutte le grandi rivoluzioni).
Per comprendere adeguatamente questa tragedia, è necessario fare appello a una categoria di oggettiva contraddizione cara a Hegel (ea Marx). Purtroppo però – avverte il mio libro – Stalin e Trotsky condividono la stessa povertà filosofica: non possono andare oltre questo reciproco scambio di accuse di tradimento: “Da una parte e dall'altra, più che impegnarsi nella laboriosa analisi delle contraddizioni oggettive, e opponendosi alle opzioni e ai conflitti politici che su quella base si sviluppano, si preferisce ricorrere con leggerezza alla categoria del tradimento e, nella sua configurazione estrema, il traditore diventa agente cosciente e corrotto del nemico. Trotsky non si stanca mai di denunciare "la cospirazione della burocrazia stalinista contro la classe operaia", e la cospirazione è tanto più abietta per il fatto che la "burocrazia stalinista" non è altro che "un apparato di trasmissione dell'imperialismo". Si tratta solo di dire che Trotsky si è generosamente ripagato in natura. Si rammarica di essere stato bollato come 'agente di una potenza straniera', ma, a sua volta, bolla Stalin come 'agente provocatore al servizio di Hitler'” (p. 126).
Meno che mai, Marie – che si fa beffe della mia frequente citazione di Hegel – è stata disposta a problematizzare la categoria di “tradimento”. Nel dibattito attuale, chi è lo "stalinista"?
4- Il comparativismo come strumento per combattere le frodi dell'ideologia dominante
Finora abbiamo visto nel grande specialista della “logia-trotskismo” uno sforzo di erudizione fine a se stesso o usato come cortina fumogena. Eppure, in Marie bisogna riconoscere il ragionamento, o meglio un tentativo di ragionamento. Quando faccio un paragone tra i crimini di Stalin – o a lui attribuiti – e quelli commessi dall'occidente liberale e dai suoi alleati, Marie risponde: l'unità dei popoli, è normale che le stesse procedure siano utilizzate dai capi dei paesi capitalisti o da un oscurantista feudale e persino dallo zar Nicola II”. Esaminiamo questa confutazione. Lasciamo da parte anche imprecisioni, esagerazioni o veri e propri fraintendimenti. Da nessuna parte parlo dell'URSS o di qualsiasi altro paese come "la patria trionfante del socialismo"; nei miei libri ho scritto, invece, che il socialismo è un “processo di apprendimento” difficile e per nulla concluso.
Ma concentriamoci sull'essenziale. Dalla Rivoluzione d'Ottobre fino ai nostri giorni, l'ideologia dominante ha avuto una costante tendenza a demonizzare tutto ciò che ha qualche legame con la storia del comunismo. Come ho notato nel mio libro, da tempo Trotsky è stato accusato di essere (come Goebbels) colui che “forse nella sua coscienza il più alto numero di delitti che abbia mai gravato su un uomo” (p. 343); successivamente questo oscuro primato fu attribuito a Stalin e oggi a Mao Tsetung; Tito, Ho Chi Minh, Castro, ecc. stanno per essere ugualmente criminalizzati. Dovremmo sopportare questa "demonizzazione" che - come sostengo nell'ultimo capitolo del mio libro - è solo l'altra faccia dell'"agiografia" del capitalismo e dell'imperialismo?
Vediamo come reagisce Marx a questa manipolazione manichea. Quando la borghesia del suo tempo – accettando il movente dell'assassinio degli ostaggi e dell'incendio appiccato dai comunardi – denunciò la Comune di Parigi come sinonimo di infame barbarie, Marx replicò che le pratiche di presa (ed eventuali omicidi) di ostaggi e gli incendi sono stati inventati dalle classi dirigenti e che, comunque, per quanto riguarda gli incendi, bisognerebbe distinguere tra “vandalismo per difesa disperata” (quello dei comunardi) e “vandalismo per piacere” .
Marie mi fa un grande onore quando discute con me su questo punto: farebbe bene a fare lo stesso direttamente con Marx. O, se potessi, con Trotsky, che pure agisce nello stesso modo in cui sono stato censurato: nel libretto La tua morale e la nostra, Trotsky fa riferimento a Marx, da me già citato, e – per confutare l'accusa secondo cui i bolscevichi, e solo loro, si ispirano al principio secondo cui “il fine giustifica i mezzi” (violenti e brutali) – chiama in essa provoca non solo il comportamento della borghesia dell'Ottocento e del Novecento, ma anche (…) quello di Lutero, protagonista della guerra di sterminio contro Müntzer ei contadini.
Ma, attaccato com'è al culto dell'erudizione, Marie non riflette nemmeno sui testi degli autori che più stima. E, infatti, mi prende in giro dando al suo intervento il titolo “Il socialismo del Gulag!”. Naturalmente, con questa stessa ironia in giro, la Russia sovietica di Lenin (e di Trotsky) potrebbe essere presa in giro: “Il socialismo (o la rivoluzione socialista) di Ceka”, o “il socialismo (o la rivoluzione socialista) della presa di ostaggi” (continua in mente che, in La tua morale e la nostra, Trotsky è obbligato a difendersi anche dall'accusa di aver fatto ricorso a questa pratica). In realtà, con l'ironia cara a Marie, qualsiasi rivoluzione può essere liquidata. Poi abbiamo: “La Comune degli ostaggi fucilati”, “la libertà e l'uguaglianza della ghigliottina”, ecc. D'altra parte, non si tratta di esempi immaginari: è così che la tradizione di pensiero reazionaria ha liquidato la Rivoluzione francese (e, soprattutto, il giacobinismo), la Comune di Parigi, la Rivoluzione russa, ecc.
Marx ha riassunto la metodologia del materialismo storico nell'affermazione che "gli uomini fanno la loro storia per se stessi, ma non in circostanze scelte da loro". Invece di riprendere i gesti di queste lezioni per indagare sugli errori, i dilemmi morali, i delitti dei protagonisti di ogni grande crisi storica, Marie indica questa semplice alternativa: o i movimenti rivoluzionari sono sovranamente superiori – e, anzi, miracolosamente trascendenti rispetto al mondo storico, e alle contraddizioni e ai conflitti del mondo storico – nel contesto in cui si sviluppano, o che i movimenti rivoluzionari sono una completa rovina e un completo errore. E così la storia dei rivoluzionari nel suo insieme appare come la storia di un'unica, ininterrotta, miserabile rovina e inganno. E ancora una volta Marie si mette nel fosso della tradizione del pensiero reazionario.
5- Il socialismo come processo di apprendimento laborioso e incompleto
Ho detto che la costruzione del socialismo è un processo di apprendimento laborioso e incompleto. Ma proprio per questo è necessario impegnarsi a dare delle risposte: il socialismo e il comunismo comportano la totale eliminazione delle identità e anche delle lingue nazionali, oppure ha ragione Castro quando dice che la colpa è dei comunisti per aver sottovalutato il peso che continua la questione nazionale portare ad esercitare anche dopo la rivoluzione antimperialista e anticapitalista?
Nella società del prossimo futuro non ci sarà più spazio per nessun tipo di mercato o per il denaro, o dovremmo approfittare della lezione di Gramsci, secondo la quale è necessario tenere presente il carattere “determinato” del “ mercato"? A proposito del comunismo, Marx parla a volte di “estinzione dello Stato”, e altre volte di “estinzione dello Stato nel senso politico corrente”: sono due formule significativamente diverse; quale dei due può essere ispirato? Questi sono i problemi da provocare tra i bolscevichi, prima un aspro conflitto ideologico e poi la guerra civile; e questi problemi devono essere risolti se si vuole ridare credibilità al progetto rivoluzionario comunista, evitando le tragedie del passato. È con questo spirito che ho scritto per la prima volta Escape from History? La rivoluzione russa e la rivoluzione cinese oggi e dopo Stalin: una storia critica di una leggenda nera.
Senza affrontare tali problemi, non si può né comprendere il passato né proiettare il futuro. Senza affrontare tali problemi, imparare a memoria anche i più piccoli particolari della biografia (o agiografia) di questo o quel protagonista dell'ottobre 1917 servirà solo a confermare la profondità del motto caro a Clemenceau: come la guerra sia una cosa gravissima da consegnata a generali ed esperti di guerra, anche la storia della tragedia di Trotsky (per non parlare della grande e tragica storia del movimento comunista nel suo insieme) è una cosa troppo seria per essere consegnata a esperti e generali di trotskismo-logia.
*Domenico Losurdo (1941-2018) è stato professore di filosofia all'Università di Urbino (Italia). Autore, tra gli altri libri, di Liberalismo: tra civiltà e barbarie (Anita Garibaldi).
Traduzione: Lucilia Rui su site Rosso .
Riferimento
Domenico Losurdo. Stalin: storia critica di una leggenda nera. Rio de Janeiro, Revan, 2020.