torpore supremo

George Rouault, I tre giudici, 1936 circa
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da GIUSEPPE PAOLO CAVALCANTI*

La Corte Suprema si è attribuita un ruolo che non c’è, né è mai stato, in nessuna delle nostre Costituzioni dall’inizio della Repubblica

Comincio spiegando ai lettori non addetti ai lavori che tutto è iniziato il 16/03/2015, quando è stato approvato il nuovo codice di procedura civile. Come presidente della Commissione che lo elaborò, Luiz Fux - allora ministro dell'STJ e, oggi, della Corte Suprema. Uno dei punti più accolti nel nuovo Codice è stata proprio la maggiore estensione data all'art. 144 (nel precedente CPC, art. 134), capo VIII. Che parla di impedimenti e sospetti nei confronti di giudici, giudici e ministri del STJ e della Corte Suprema, nei casi “in cui egli si presenta come cliente dello studio legale del coniuge, partner o parente, consanguineo o affine, in modo diretto o linea collaterale, fino al terzo grado”.

Il Codice, quindi, esplicita una norma che, a rigore, non avrebbe nemmeno bisogno di essere trasformata in legge. Visto che, evidentemente, un ministro (prendo ad esempio una sola categoria per parte) non può giudicare un caso proposto alla corte dalla propria moglie. Sulla base di un elementare principio di decenza non occorre andare oltre.

Ma i tempi sono cambiati, signori. E oggi il Supremo si è dato un ruolo che non è, e non è mai stato, in nessuna delle nostre Costituzioni dall’inizio della Repubblica: quello di essere una sorta di Potere Moderatore del Paese. Riproducente quella esercitata, ai tempi dell'Impero, da Dom Pedro II. Un potere assoluto senza limiti: né nelle leggi ordinarie, né nella Costituzione, né nella coscienza dei cittadini. E lo confessano senza alcuna vergogna.

Le parole del ministro Luiz Fux: “Come Corte Suprema, siamo redattori di un intero Paese”. O, ancora più esplicito, con le parole del ministro Dias Toffoli: “Abbiamo già il semi-presidenzialismo, con il controllo del potere moderatore che attualmente è esercitato dalla Corte Suprema Federale”. Per questo motivo, da tempo non si rispetta più l'articolo 2 di questa Costituzione, il quale afferma che il potere legislativo, esecutivo e giudiziario devono essere “indipendenti e concordi”. E così, senza grandi preoccupazioni, giudica, legifera ed esegue (amministra il Paese).

Nel 2018, credetemi, l’Associazione dei magistrati brasiliani (AMB) ha chiesto che fosse dichiarata incostituzionale l’articolo VIII, quello che vieta ai ministri di giudicare i casi proposti dalle loro mogli. Su richiesta non si sa da chi. Sulla base del fatto che la norma «è adatta solo a dare fastidio ad alcuni magistrati». Per l'AMB, non accettare che i mariti giudichino i casi proposti dalle loro mogli sarebbe preoccupante per alcuni giudici. Audizioni, Camera dei Deputati, Senato, Avvocatura Generale dell'Unione, Procura Generale della Repubblica e Presidenza della Repubblica hanno detto l'ovvio. Non vedevano alcuna incostituzionalità nella norma. La nostra Rubrica fuori rete nazionale, in quel momento e come inchiodata a Santa Cruz, rimase prevedibilmente silenziosa. Il ministro Edson Fachin, relatore del caso, ha accompagnato la comprensione di tutti loro. Per lui, senza dubbio a ragione, la norma è stata creata “per garantire un processo giusto e imparziale”.

Si scopre che il ministro Gilmar Mendes si è ribellato e ha aperto un disaccordo, sostenendo che il suo ufficio “perde tempo nel verificare gli impedimenti, non assistendo nel giudizio dei casi”. Senza spiegare come questo fatto significhi alcuna violazione della Costituzione. L'economista Bruno Brandão, di Transparency International, ha chiesto la parola per contraddirlo, affermando che si tratta di un argomento “deplorevole”, perché “le società private effettuano da anni questo tipo di controllo dei legami societari, in modo automatizzato”.

Gilmar Mendes conclude dicendo che la norma può “macchiare la reputazione del giudice” e “diminuire non solo la persona del giudice, ma l'immagine della Magistratura”. Forse è il contrario, signori. I ministri che giudicano i casi proposti dalle loro mogli infangano la reputazione della magistratura.

Come se non bastasse, il coraggioso ministro della Camera, Cristiano Zanin, ha avuto il coraggio di giustificare il suo voto dicendo che la regola del fuorigioco “offende la libertà di iniziativa e il diritto al lavoro e alla sussistenza”. A parte la mancanza di rispetto per la lingua portoghese, ci credete? Il nuovo ministro non teme che sia chiaramente immorale che i mariti giudichino i casi proposti dalle loro mogli. Perché, secondo lui, questo “offende la libertà di iniziativa”. Sto solo ridendo.

Nella votazione della Plenaria virtuale, ai due si sono uniti Alexandre de Moraes, André Mendonça, Kassio Nunes Marques, Dias Toffoli e lo stesso Luiz Fux ‒ che, nel redigere il nuovo codice di procedura civile, ha considerato questa norma moralizzante. Mentre adesso ha votato contro. Basti ricordare Alexandre de Moraes, Gilmar Mendes, Dias Toffoli e Cristiano Zanin che hanno donne alla guida di cariche, tra le più costose del Paese, con cause alla Corte Suprema Federale.

L’ex ministro della STJ Eliana Calmon, senza mezzi termini, ha dichiarato: “La finestra è stata ora spalancata dalla Corte Suprema. I ministri guadagnano pochissimo. Gli avvocati dei grandi uffici guadagnano molto di più. E, naturalmente, c'è una divisione familiare. Cioè la donna ha il potere economico, negli uffici; e i ministri mantengono il potere politico all’interno della magistratura. In questo modo loro (marito e moglie) guadagnano molto e hanno il potere politico nelle loro mani. Un accoppiamento perfetto.” Alla fine lei stessa riassume: “Stanno causando la demoralizzazione della magistratura”. Il che è grave perché “senza Magistratura non abbiamo democrazia”.

Ritornando all'inizio del testo, come chi percorre un filo senza fine, riguardo a questa (l'ennesima) deliberazione della Corte Suprema, Balzac direbbe certamente che si tratta di “immoralità”. Non andrò così lontano, a causa dell'istruzione. Ma dico, con la coscienza pulita, che questo non è giusto.

*José Paolo Cavalcanti, giurista e scrittore, fu ministro della Giustizia nel governo di José Sarney. Occupa la cattedra 39 dell'Accademia Brasiliana di Lettere (ABL).


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