Tempi di cieli strani

Immagine: Lucas Pezeta
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da JOSÉ COSTA JUNIOR*

Osservando il cielo negli ultimi tempi vengono in mente alcune visioni della filosofa britannica Mary Midgley.

Viviamo in giorni di cieli strani. Diverse sfumature di colori, fumo denso che non si allontana, pesanti nuvole di polvere, soli arancioni e una sensazione di bruciore quando respiriamo sono caratteristiche comuni della nostra vita di questi tempi. La mancanza di piogge stagionali in gran parte del Paese contribuisce a creare una situazione probabilmente innaturale. Nei media compaiono notizie di incendi criminali, oltre alla notizia che il livello di umidità dell'aria è molto basso.

Ci sono prove che l’operosa azione umana abbia avuto un impatto decisivo sull’equilibrio climatico del pianeta negli ultimi secoli, ma in questo momento tutto sembra essersi intensificato. La coesistenza di eventi climatici estremi e forme di sfruttamento estremo della natura attira l’attenzione e sembra far parte dello stesso fenomeno. In questo contesto una passeggiata all'aria aperta è piuttosto impegnativa e non sappiamo bene cosa fare, soprattutto con i bambini.

In questo ambiente inospitale si diffondono le malattie respiratorie e noi cerchiamo, a seconda della nostra condizione, di affrontare la situazione. Poco dopo aver vissuto sotto la minaccia della pandemia di Covid-19, la vita qui presenta ancora una volta sfide nell’aria, ovviamente non così ampie come la crisi globale causata dal coronavirus, ma che ci lascia in una situazione molto difficile e che è interessante notare che coinvolge anche il compito naturale e spontaneo della respirazione.

Osservando il cielo negli ultimi tempi vengono in mente alcune riflessioni della filosofa britannica Mary Midgley (1919-2018), che ha prodotto analisi rilevanti su chi siamo e il nostro posto nel mondo. In dialogo con altri ambiti e riconoscendo i limiti della nostra stessa condizione, Midgley ha promosso riflessioni sul rischio di visioni frammentate della natura umana, della società e del nostro posto nel mondo vivente. In primo luogo, nel caso della natura umana, sostiene Mary Midgley nel libro Bestia e uomo: le radici della natura umana (1978) che le frammentazioni tra ragione ed emozione, sé e l’altro, mente e corpo, cultura e natura, umano e animale, tra gli altri, hanno prodotto uno strano ritratto dell’umanità, una forma di vita divisa tra guerre interne ed esterne.

Finiamo per allontanarci da noi stessi, dagli altri e dal mondo naturale, sulla base di una concezione discutibile di chi siamo e delle nostre esperienze. Gran parte del suo lavoro consisteva nel cercare di superare tali inquadramenti e frammentazioni dell’umanità, promuovendo un ritratto più ampio e coerente di chi siamo e di come viviamo.

Un semplice esempio riguarda il nostro rapporto con gli altri animali e con l’ambiente in generale: per secoli abbiamo considerato il mondo naturale come a nostra disposizione, in una visione limitata che implicava principalmente la credenza nella superiorità e nel dominio umano sul mondo. In questo contesto, sviluppiamo stili di vita basati sull’estrattivismo e sul consumo non regolamentato delle risorse naturali.

Tuttavia, ad un certo punto, questo sistema di pensiero e l’insieme di credenze che ne derivano sono diventati insostenibili, sia per le sue conseguenze che per le sue basi. Diventa urgente una revisione di questo quadro, riconsiderando il sistema di pensiero nel suo insieme e promuovendo riparazioni concettuali di base, che hanno un impatto decisivo sul contenuto delle nostre convinzioni.

Come sottolinea Mary Midgley in A cosa serve la filosofia? (2018), il suo ultimo libro prima della morte, questo è il compito principale della filosofia: rivedere e ristrutturare costantemente i nostri sistemi di pensiero in modo da poter comprendere meglio la realtà e noi stessi.

Un secondo punto criticato da Mary Midgley è quello che lei identifica come “individualismo atomistico”. Gran parte delle nostre società sono guidate da un modo di pensare che isola irrealisticamente gli individui, considerando le persone come unità distinte e autonome nel mondo, guidate solo dai loro interessi. Questa concezione è una delle basi dell'attuale sistema economico e anche della cosiddetta organizzazione politica democratica. Una “aggregazione di singole unità” che vivono di “strutture contrattuali” e ricercano il meglio per sé stesse.

Mary Midgley considera Il sé solitario: Darwin e il gene egoista (2010) che questa enfasi è (i) nella forma di un egoismo atomistico nel considerare la natura umana, (ii) nella formulazione contrattuale individualistica e (iii) nell'enfasi sulla libertà individuale. Sebbene politicamente utili, tali concezioni non ritraggono pienamente le circostanze umane e possono persino distorcere la nostra concezione di noi stessi e delle nostre relazioni con gli altri e con il mondo naturale.

Mary Midgley non mette in discussione né trascura i contributi significativi di tali concezioni all’autonomia individuale e alla politica. Essa evidenzia però che “noi non siamo palle da biliardo”, come possono concludere le concezioni isolazioniste estreme di questa visione del mondo, un tipo di forme di vita lontane che di tanto in tanto si scontrano, ma piuttosto animali sociali, in costante rapporto con gli altri e con il mondo mondo.

Il terzo aspetto della critica di Mary Midgley riguarda i rischi della nostra frammentazione in relazione al mondo naturale. Il presunto egoismo, isolamento e superiorità che sarebbe tipico della natura umana secondo una concezione comune, ci separa anche dal resto del mondo vivente e, peggio ancora, ci fa vivere in condizioni peggiori. Midgley sostiene che tali visioni atomistiche ed egoistiche del mondo tendono a dipingere una visione oscura e isolazionista, che ci fa interpretare male il nostro panorama sociale e naturale, promuovendo l’illusione che siamo molto meno connessi e interdipendenti di quanto lo siamo come animali sociali.

Pertanto, siamo descritti come forme di vita sconnesse in lotta per le risorse. In questo clima competitivo, abbiamo bisogno di una ragione forte ed egocentrica per “vincere nella vita”. E così, invece di riconoscere la nostra natura e i nostri legami intrinseci, ci isoliamo in forme di vita atomizzate, il che distorce la nostra visione morale sugli altri e sulla natura.

Un panorama alternativo a questo insieme di immagini frammentate, atomistiche ed egocentriche implica il riconoscimento della nostra naturale relazionalità, cioè il riconoscimento della vasta interdipendenza che esiste tra noi e il mondo. Per Mary Midgley, seguendo la concezione darwiniana – e non quella del darwinismo sociale, un “abuso delle idee di Darwin” – facciamo parte di reti di relazioni e dipendenze che ci modellano e ci espandono per tutta la vita. Abbiamo libertà e libero arbitrio nel mondo, dato il tipo di forma di vita che siamo, ma questo non ci isola né ci frammenta dal mondo vivente.

Possiamo pensare, ad esempio, a quanto un bambino sia dipendente per vivere, o a quanto noi dipendiamo dalla buona qualità dell’aria per respirare e vivere bene. Tuttavia, a causa delle fragili concezioni che strutturano il nostro modo di vivere, tali interdipendenze sono poco riconosciute, spesso oscurate da concezioni limitate di libertà, ragione, progresso e priorità, tra le altre. Ciò non significa che le nostre libertà si limitino a forme collettive, ma piuttosto che possiamo qualificare meglio le nostre visioni e scelte, considerando quanto siamo connessi rispetto al mondo.

Tali “fili di relazionalità” si estendono oltre gli esseri umani e gli animali e continuano in tutta la natura, o in quella che Mary Midgley spesso chiama “la biosfera”, nella quale siamo immersi, e dalla quale abbiamo un impatto e da cui siamo influenzati. In questo modo i nostri ambienti non sono entità aliene o meri aggregati di competizione in una “lotta per la vita”, ma piuttosto elementi con cui siamo direttamente correlati e in cui semplicemente viviamo.

Qui abbiamo una visione più integrata, che può farci ripensare le nostre concezioni morali e, di conseguenza, le nostre priorità. Una nota inquietante è che quando consideriamo queste visioni del mondo più globali e interdipendenti, insieme al nostro posto in esso, notiamo che questo sistema complesso non ha bisogno che noi umani lo seguiamo, il che è di per sé un contrappunto alla concezione della superiorità umana. e i suoi correlati.

In questo contesto, quando osserviamo i cieli strani e spaventosi di questi giorni, con la loro aria pesante e sgradevole e vediamo i nostri bambini avere difficoltà anche nella respirazione più elementare, possiamo renderci conto di quanto siamo colpiti dal mondo inospitale che ci ha limitato e opinioni discutibili sulla natura e su noi stessi hanno contribuito alla sua comparsa.

*José Costa Junior Docente di Filosofia e Scienze Sociali presso IFMG – Campus Ponte Nova.

Riferimenti


MIDGLEY, Maria, Bestia e uomo: le radici della natura umana. Itaca: Cornell University Press, 1978.

MIDGLEY, Maria. “Idraulica filosofica”. Supplementi del Royal Institute of Philosophy, volume 33, pag. 139-151, 1992.

MIDGLEY, Maria, Il sé solitario: Darwin e il gene egoista. Durham: Acume, 2010.


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