Teorema

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da TESSUTO MARIAROSARIA*

Analisi del film di Pier Paolo Pasolini

Fuori da una fabbrica, un giornalista sta conducendo un sondaggio filmato tra i lavoratori. Più che indagare sulla cessione da parte del proprietario della fabbrica agli operai, il cronista sembra voler strappare loro un consenso rispetto alla sua argomentazione: un capitalista, donando i suoi beni, sbaglia, perché priva il proletariato del possibilità di fare la rivoluzione, e portando tutta l'umanità a identificarsi con la borghesia, vanifica la lotta di classe. Con l'enunciazione di questo principio si comincia Teorema (1968), in cui Pier Paolo Pasolini sembra dedicarsi più a spiegare che la borghesia è intrinsecamente colpevole e deve pagare per le sue colpe, che a dimostrare l'ipotesi formulata.

L'idea di colpa da espiare comincia a insinuarsi nel film poco dopo questo preambolo, quando, sopra le immagini di un deserto montuoso, sfilano i titoli di coda e si sente una voce-ancora pronunciare una frase presa da Bibbia (Esodo, 13, 18), che fa da epigrafe all'opera: “Allora Dio fece girare il popolo per la via del deserto…”. La presenza del deserto, su cui aleggia la frase biblica, è già un primo indizio del progressivo ritorno a una temporalità metastorica (quella del mito) che Teorema alla fine proporrà, nonostante l'obiettività concreta che sembrava emanare dall'adozione del tono documentario da parte del primo sequel.

Optando per il mito, Pasolini prende le distanze dall'evidenza dei fatti per interrogarsi sulla veridicità delle proprie percezioni, delle proprie intuizioni, senza tradire la logica formale di un teorema, poiché ciò che in esso si cerca non è necessariamente la verità, ma la coerenza riguardo ai suoi postulati. Questa opzione ti permetterà anche di lavorare più con le figure che con i personaggi. Il Figlio, la Madre, la Figlia, la Serva e il Padre sono categorie, al punto che non sempre hanno un nome proprio o, quando lo hanno, hanno una denominazione ritardata: Pietro, Lucia, Odetta, Emilia (nome comune per le due cameriere, una sorta di omaggio alla terra emiliana, all'angolo contadino da cui provenivano) sono nomi che raramente si sentono nel film e solo più tardi si sa a chi corrispondono; il Padre non ha nome.

Il ritiro ai tempi biblici - che culminerà, nei piani finali di Teorema, nel clamore dell'uomo per la manifestazione divina – metterà in discussione la nozione di sacro cosmico, a cui la società contemporanea ha voltato le spalle, e quella di peccato primordiale, che permea l'intero film, facendo sentire inconsciamente in colpa ciascuno dei suddetti personaggi senza aver commesso alcun peccato.

Entrando nella trama stessa, Pasolini mostra come la vita di una tipica famiglia borghese a Milano – ma potrebbe essere in qualsiasi altra città industriale del Nord Italia – sia influenzata dall'arrivo di un Ospite. Di lui non si sa nulla: chi sia ("Un ragazzo”, dice Odetta), da dove viene. Appare in mezzo agli altri personaggi, dai quali nulla lo differenzia nel comportamento, così come la sua dolcezza verso gli altri fa dubitare che possa essere un elemento estraneo al gruppo venuto a distruggere un mondo, in apparenza, armonioso. Le trasformazioni conseguenti alla sua presenza fanno pensare molto di più a un caso di entropia, cioè di disordine all'interno di un sistema definito, chiuso in se stesso, idea rafforzata dalla ripetuta attenzione al muro e al cancello che proteggono la casa.

L'Ospite è una persona conosciuta e attesa, la cui presenza stimola la manifestazione di pulsioni latenti. Per la Fanciulla è l'arcangelo messaggero, che annuncia l'avvento di una nuova era (e non sarebbe difficile tracciare un parallelo tra il Messia e l'Emilia, che, tornata in patria, compie un miracolo, attira un piccolo moltitudine di umili esseri, ascende al cielo e, alla fine, si sacrifica per il bene dell'Umanità); per la famiglia borghese sarà l'angelo sterminatore, venuto a mettere a nudo le ferite morali di una società rivolta solo a se stessa. Vedere un angelo nell'Ospite non invalida l'ipotesi dell'entropia, poiché questi esseri spirituali possono simboleggiare aspirazioni umane sublimate.

Se l'abbraccio dell'Ospite con Emilia può essere interpretato come un modo per stabilire un legame tra le due forze presenti in quel recinto (quella del lavoro e quella del capitale), il rapporto che intrattiene con gli altri membri della casa non è altro che il modo per stabilire l'incesto all'interno della famiglia. Facendo sesso con l'Ospite, il Figlio è posseduto dal Padre; la Madre è posseduta dal Figlio; la Figlia è di proprietà del Padre; il Padre possiede il Figlio, perché questa volta è il Padre che esercita il principio attivo, prerogativa dell'Ospite negli altri rapporti sessuali. La relazione incestuosa, invece, avviene senza che gli interessati siano pienamente consapevoli di praticarla, poiché l'oggetto del desiderio è sempre un sostituto di un altro oggetto davanti al quale il desiderio non osa manifestarsi, il che non impedirà, allo stesso modo, il sentimento di colpa e di autopunizione.

Il vuoto lasciato dalla perdita dell'oggetto del desiderio porta Odetta (che ha notato, in giardino, un'assenza che nemmeno la foto dell'Ospite riesce a colmare) a ritirarsi nel suo mutismo; Pietro (dopo aver accettato il proprio fallimento come pittore, per non poter ritrarre l'Ospite se non per una macchia azzurra) a ritirarsi nella sua impotenza creatrice; Lucia (che getterà sugli abiti di un altro ragazzo lo stesso sguardo che aveva gettato sugli abiti dell'Ospite) rinchiusa in una chiesa; l'industriale (attratto dagli stessi occhi azzurri e dagli stessi modi selvaggi dell'Ospite che ritrova in un altro giovane) a rinchiudersi nel deserto.

Per la Figlia, il Figlio e la Madre si tratta di un'autopunizione dettata dall'introiezione di un'autorità esterna, coercitiva e castrante. Quanto al Padre (la tacita fonte sociale da cui emanano i divieti), egli può essere visto come il rappresentante di una condizione umana che, perso il riferimento al sacro – non in senso religioso, ma come impulso vitale, edenico mondo, perché incontaminato dalla logica borghese, secondo Pasolini –, è condannato a vagare nel deserto, per espiare le sue colpe. Nudo, perché solo liberandosi completamente dalla prigione dell'involucro (gli abiti, la maschera sociale, le imposizioni del corpo), l'uomo potrà tornare al suo stato primitivo e riscoprire la sua origine divina.

Ritornare all'origine divina significa riconoscere l'assenza del Padre come la perdita di un principio ordinatore trascendente. Pertanto, il padre di Teorema è colui che non ha nome, colui che ha detto: "Io sono quello che sono" (Esodo, 3, 14), non l'industriale. Questo è piuttosto un figlio, un altro Edipo nella filmografia pasoliniana, che deve sbarazzarsi dei suoi desideri e conflitti umani per raggiungere l'elevazione. In effetti, non è difficile tracciare un parallelo con il goffo eroe della tragedia greca, se si considera che Odetta può essere identificata con Antigone piuttosto che con Elettra nella sua fissazione per l'affetto paterno.

Come la figlia di Edipo, Odetta coltiva gli affetti familiari, al punto da non riuscire a spezzare i legami dell'infanzia, assistendo il padre nella sua malattia (in una sequenza dominata dal brano “Agnus Dei” dal Requiem, di Mozart: e l'agnello di Dio è Cristo Figlio). L'industriale, oltre alla malattia alle gambe, era stato anche “accecato”, anche se la luce che lo acceca – due volte, in scene consecutive, una delle quali intervallata da un'inquadratura del deserto – forse rimanda più al fulmine di Saulo su la via di Damasco, che, dopo la manifestazione luminosa, diventa Paolo. Paolo, nome non pronunciato nel film, ma attribuito al Padre nell'omonimo romanzo da cui è tratto Teorema, in cui Pasolini scrive che il nome di battesimo priva un padre della sua autorità, il profano, restituendolo alla sua condizione di figlio (capitolo 25).

E i figli, ribellandosi ai genitori all'interno della società capitalista, promuovono solo una guerra intestina, mai una rivoluzione, secondo il regista, timorosi dell'identificazione dell'umanità con la borghesia. Se si accetta questa premessa, si comprende meglio il preambolo di Teorema: senza la lotta di classe, la rivolta contro i padroni del potere si ridurrà a una disputa all'interno dello stesso gruppo, perdendo il suo senso libertario.

Nel 1970, in una dichiarazione pubblicata dalla rivista Nuovi Argomenti, ha detto il regista: “La libertà è, quindi, un attacco masochistico alla conservazione. La libertà non può manifestarsi in altro modo che attraverso il grande o piccolo martirio. E ogni martire martirizza se stesso attraverso il carnefice conservatore”. Ciò premesso, si comprende perché, per Pasolini, solo dopo un lungo e doloroso percorso di espiazione, l'essere umano, finalmente spogliato del proprio condizionamento borghese, possa risalire la montagna della teofania.

*Mariarosaria Fabris è professore in pensione presso il Dipartimento di Lettere Moderne della FFLCH-USP. Autore, tra gli altri libri, di Neorealismo cinematografico italiano: una lettura (Edusp).

Originariamente pubblicato sulla rivista Teorema – Critica Cinematografica. Porto Alegre, nº 1, agosto 2002.

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