da WILLIAM DÍAZ*
Presentazione del libro recentemente uscito in Colombia, di Fabio Akcelrud Durão
1.
Non sorprende che alcuni lettori possano essere impazienti con questo libro, non sapendo su quale scaffale della loro biblioteca immaginaria posizionarlo. In una società che confonde usi e valori, la domanda sul genere dei frammenti raccolti da Fabio Akcelrud Durão – professore di Teoria della Letteratura all’Università di Campinas, in Brasile – è appena comprensibile. Dal punto di vista degli ambiti di attività intellettuale (filosofia, letteratura, storia, sociologia, scienze naturali...), questo volume sembra inclassificabile.
I frammenti costituiscono, si potrebbe supporre, un genere a metà strada tra filosofia e letteratura: a volte sono espositivi, altre volte sono narrativi, drammatici o lirici, o tutti allo stesso tempo. Manca quindi anche ad essi un posto fisso tra le forme del discorso: sono troppo lunghi per essere aforismi, massime o frasi, e troppo brevi per essere saggi. Peggio ancora, somigliano a entrambi: ricercano la concretezza e la precisione del linguaggio del primo, e seguono le ondulazioni del pensiero con il rigore del secondo.
L’unica cosa evidente nei frammenti come genere è che nulla in essi è evidente. Tuttavia, la passione di definire un genere è un impulso comprensibile, poiché rinvia implicitamente alla formulazione di un manuale di istruzioni: indica come va letto un dato testo, ed è rassicurante sapere questo genere di cose.
Per cominciare, vale la pena dire una cosa ovvia: la qualità fondamentale dei frammenti, in quanto genere, sta in ciò che il loro nome designa. Come i resti di statue antiche o i pilastri spogli e spezzati di un tempio distrutto, i frammenti sono pezzi di qualcos’altro. Un frammento rimanda a qualcosa che non è pienamente realizzato, o che magari si è realizzato una volta, ma che ci arriva solo come testimonianza mutila e incompleta.
“Ricordo la prima volta che ho avuto tra le mani un libro d’arte e la delusione provata da tutte quelle sculture in pezzi o senza pezzi”, scrive Fabio Durão, facendo eco (in modo del tutto involontario) all’angoscia del lettore impaziente davanti al proprio libro . “Che razza di monumento è questo che non ha braccia né testa? Come puoi mostrarmi ciò che non esiste?” Ogni frammento è come la rovina di un mondo assente. Articolati in un libro come questo, assomigliano a una serie di sculture organizzate in una sala museale in occasione di una mostra. Ogni pezzo ha il suo posto nell'impianto generale, ma ha bisogno degli altri per illuminare i significati latenti al suo interno.
E il significato complessivo, ampio, ricco e contraddittorio, si forma dal graduale accumulo di ciò che si ripete con lievi variazioni: la stessa disposizione di una mano, la forma simile di una testa, la rappresentazione ripetuta del busto indicano una totalità che non segue un piano sistematico, ma una sorta di orientamento generale. Nei termini di Fabio Durão, nei frammenti “la punteggiatura, i sinonimi, le inversioni di significato alla fine, gli elenchi” rispondono a una logica che “non è quella del sistema, né quella del delirio, ma quella della sedimentazione”.
Indirettamente, la somiglianza dei pezzi presenti nel museo spiega un altro aspetto cruciale dei frammenti che compongono questo volume: sono il prodotto di quella che potrebbe essere definita un'archeologia dell'esperienza banale. Tale archeologia è rigorosa non per la profondità delle esperienze o per la loro capacità di svelare gli oscuri misteri di un sé inconscio – come è il caso, ad esempio, dell'archeologia dell'esperienza di Proust o di Freud – ma per l'atteggiamento di chi le indaga . Le immagini banali del passato, che vanno dall'adolescente disilluso di fronte alle immagini di un libro a una struttura narrativa che si ripete nei film di Hollywood, vengono colte nell'aria e contemplate con stranezza dal soggetto che le ha vissute. Quando vengono così spostati, diventano sostanze catalitiche: non solo attirano nuovi riflessi, ma li trasformano anche quando entrano in contatto con essi.
L’immagine del libro d’arte con i pezzi mutilati, ad esempio, porta Fabio Durão a immaginare che tutti i difetti siano “le ferite che il tempo produce nel marmo, ed è proprio questa lotta con gli anni che indica qualcosa di diverso”. E questo, a sua volta, porta alla sua attuale passione accademica volta a demolire gli autori canonici perché si allineano con valori patriarcali, eurocentrici, razzisti o xenofobi. Questi valori, conclude, sono come le cicatrici lasciate dalle ferite della partecipazione delle opere passate alle forme di dominio ad esse contemporanee. In questo frammento, come in tanti altri del libro, inizio e fine sono legati da un motivo centrale, ma ciò che conta nell'esperienza di lettura è il percorso, con le sue divagazioni, deviazioni e paradossi, che, visti da lontano, sembrano disegna un cerchio chiuso.
Lo sfondo più diretto di questo libro è Senso unico di Walter Benjamin e Minima Moralità di Theodor Adorno. Adorno descrive i frammenti come “immagini del pensiero”: più che rappresentazioni mentali, le idee appaiono in essi come “cose in sé che possiamo contemplare, anche se spiritualmente”. In altre parole, i frammenti conferiscono oggettività a “esperienze che, da un punto di vista superficiale, sono considerate soggettive e contingenti”, mentre “il soggettivo è solo una manifestazione dell'oggettivo”.[I]
Questa descrizione può essere applicata anche all'intenzione generale di Fabio Durão. In un frammento, ad esempio, riflette sulle implicazioni di aver ricevuto in dono “un libro terribile da un simpatico collega”. Cosa farne? La resistenza che, comunque, prova di fronte alla possibilità di buttarlo semplicemente via “dà testimonianza del valore che ci ostiniamo ad associare all’idea del libro come veicolo di conoscenza e depositario del sapere; in breve, come qualcosa di più che carta e inchiostro”. Adorno dice che i frammenti di Benjamin – come quelli di Fabio Durão, va aggiunto – cercano di mettere in moto un pensiero che, nella sua espressione convenzionale, è diventato rigido, convenzionale e antiquato. "Ciò che non può essere testato nello stile consueto, e tuttavia sottomette, deve stimolare la spontaneità e l'energia del pensiero." Così, attraverso “cortocircuiti intellettuali”, i frammenti fanno “volare scintille che illuminano improvvisamente il familiare, quando non lo incendiano”.[Ii]
2.
Il libro è diviso in tre parti e un epilogo. Ciascuno di essi costituisce un insieme autonomo e indipendente; tuttavia, il suo impulso iniziale è arrivato durante la stesura della prima parte, quando Fabio Durão, allora dottorando brasiliano presso l'Università Duca, iniziò a scrivere quello che definì un “diario delle idee” mentre trascorreva un anno di scambio presso la Libera Università di Berlino. “Volevo scoprire cosa sarebbe successo se ogni giorno, o quasi ogni giorno, mi fossi costretto a scrivere qualcosa […], evitando di leggere ciò che era già stato scritto prima”. E quello che scoprì fu “ciò che già sapeva da sempre”: “che le idee possiedono noi e non noi loro; che la ripetizione non è un problema, perché sedimenta la struttura (che invecchia anche); quel delirio non è nostro nemico; che le cose sono degne; quel disordine può essere produttivo”.
Ciò ha aperto la porta a nuove note: scene anodine della vita accademica che illuminano vaste regioni di contraddizioni politiche, economiche e culturali, note sull’impero della teoria letteraria nel campo delle lettere o impressioni di un professore universitario in visita a Nuova Delhi. E il libro continua ad aumentare di dimensioni: tra l'ultima edizione brasiliana (2015) e l'attuale traduzione si contano diverse decine di nuovi frammenti. Il progetto, a lungo termine, è perpetuo lavori in corso – per usare l’espressione con cui James Joyce, uno degli autori preferiti di Fabio Durão, si riferiva al suo Finnegans Sveglia: i frammenti continueranno a crescere, perché così si costituisce l'esperienza intellettuale.
Le ossessioni dell'autore, come quelle di chiunque altro, si contano sulle dita di una mano: capitalismo, arte, politica e mondo accademico. Soprattutto quest’ultimo, visto che Durão è innanzitutto ricercatore e professore universitario. Ciò è evidente, da un lato, nei temi e nelle situazioni dei frammenti: l’esperienza empirica è dominata da congressi e conferenze, o da dialoghi tra professori – anche quando Durão visita una città come Nuova Delhi, lo fa accompagnato da colleghi e giovani ricercatori, raramente da soggetti esterni al mondo universitario.
Ma, cosa ancora più importante, il mondo accademico costituisce, in questo libro, un atteggiamento nei confronti dei materiali con cui l'autore ha a che fare. Un atteggiamento sanamente ironico – sano perché insegnanti e ricercatori, in generale, difficilmente vedono con ironia ciò che loro stessi fanno e pensano. Fabio Durão non si attiene ai protocolli standard e alle forme di esposizione accademica. Al contrario, nei suoi frammenti, la riflessione accademica si ripiega permanentemente su se stessa. C'è chi chiama questa procedura “dialettica”; Fabio Durão direbbe che la dialettica non si può definire, ma solo vedere nel suo movimento, o che il termine dialettica, come tanti altri, ha finito per irrigidirsi in un gergo accademico, e non manca la ragione.
Comunque sia, l'atteggiamento generale di questi frammenti è quello di un critico che nell'incontro con gli oggetti costruisce la propria teoria, ma questa teoria viene posta al microscopio della riflessione per essere esaminata da vicino, per vederne i limiti e mostrarne le potenzialità. paradossi inevitabili. Come afferma Marcos Siscar, “per essere coerente con il suo spirito critico, la più grande ambizione del libro è pensare in modo autonomo, nella singolarità della sua situazione”.[Iii] Il suo metodo è, quindi, “una dialettica che coinvolge le proprie ragioni di dubbio, che designa e addirittura rispetta l'irriducibilità degli oggetti, a tal punto e con tale intensità da poter udire il 'grido delle cose' lasciando che partecipino attivamente alla la costituzione della conoscenza e dare senso pieno alla nominazione, in prima persona, di un soggetto che non è anonimo, senza quindi essere individuale”.[Iv]
3.
Il libro costruisce anche una geografia intellettuale, sociale e culturale il cui supporto è biografico. La prima parte, infatti, lo chiarisce già nel titolo. Durham e Berlino sono la sineddoche di due modi di vivere diversi e più o meno omogenei. “Negli Stati Uniti…” e “in Germania…” sono espressioni che si ripetono frequentemente in tutto il libro e sono generalmente associate a un aneddoto, a una consuetudine peculiare, a un dettaglio architettonico o a una particolare pratica accademica. “Il mondo del rispetto della privacy è anche il mondo della freddezza e dell’indifferenza (in Germania), o del panico di fronte agli altri (negli Stati Uniti)”, scrive, ad esempio, Fabio Durão.
C’è qualcosa di apodittico in questi aspri e severi contrasti che, d’altro canto, induriscono anche due diverse realtà nazionali. Ma è da questo irrigidimento che deriva parte della forza del libro: la schematizzazione serve a fissare un aspetto dell'oggetto di riflessione, e costruire, attraverso il confronto tra volti diversi, una visione prismatica dello stesso fenomeno. Il rispetto della privacy non è un principio univoco e osservabile allo stesso modo in tutte le culture, ma dipende da precise variabili geografiche e culturali; in questo modo un fenomeno apparentemente naturale (o naturalizzato da certi costumi e forme di discorso) appare globalizzato in senso enfatico. La globalizzazione implica vasi comunicanti e una standardizzazione delle esperienze, ma allo stesso tempo presuppone differenze che devono essere riconosciute.
Se lo schema geografico che sorregge il libro è un arco immaginario tra Durham e Berlino, la punta della bussola è sempre fissa su Rio de Janeiro, città natale di Durão. Durham, dove ha sede la Duke University, appare solo nel titolo della prima parte, mentre Berlino è una presenza quasi spettrale, senza architettura, senza luoghi di rilievo, che serve solo da quadro generale per qualche storia o desiderio personale. Rio de Janeiro, invece, è sempre ben definita: le spiagge di Copacabana, il carattere dei Carioca, il Fluminense o il Teatro Municipale esistono come entità concrete, molto più ricche e differenziate dei bar di Berlino o dei campus di gli Stati Uniti. In questo modo, il libro ironizza sulla tradizionale geografia accademica.
Fabio Durão presenta spesso il Brasile come un paese periferico, condannato all’ignoranza, a una posizione subordinata nelle relazioni economiche e politiche globali e al consumo e all’applicazione di idee di seconda mano. Tuttavia, il centro di gravità del libro, che determina ciò che è importante e ciò che è secondario nelle riflessioni dell'autore, è il Brasile, con tutto ciò che contiene, tutto ciò che significa e tutto ciò che rappresenta nell'ambito del suo lavoro: il vostro affetto playboy e la sua letteratura modernista, la sua fame, la sua povertà e la sua educazione carente, i suoi intellettuali, i suoi insegnanti e i suoi critici letterari, la sua religiosità e il suo calcio, la sua classe media emergente e la sua eccezionalità immaginaria, in breve, con i suoi cariocas, i suoi paulistas e i suoi i suoi nordorientali.
Per il lettore colombiano e, in generale, per quello di lingua spagnola, il Brasile di Durão tende a diventare, quasi automaticamente, la sineddoche di tutta l'America Latina. Questa tendenza all'identificazione giustifica, infatti, la presente traduzione in spagnolo. In un frammento, Fabio Durão racconta di aver perso l'ombrello in un bar di Berlino, e della sua gioiosa sorpresa quando lo ha ritrovato il giorno dopo nello stesso posto, intatto. “Il mio attaccamento all’ombrello finì per diventare un sintomo del nostro sottosviluppo”, scrive, e il lettore latinoamericano non può fare a meno di pensare che, nella stessa situazione, avrebbe provato lo stesso attaccamento. E poi, indubbiamente sopraffatto dalla nostalgia, Durão descrive un'immagine che potrebbe essere collocata a Bogotá, Lima o Città del Messico: “Mi sono allora ricordato di Rio de Janeiro, di come i mendicanti si circondano di oggetti che non sono, passano dall'essere spazzatura al donarli. valore. Queste cose diventano i pilastri dei loro imperi immaginari, l’ultima traccia della dignità umana che permette ai mendicanti di dimenticare che appartengono alla stessa sostanza sociale della spazzatura a cui danno dignità”.
Ma non è solo grazie a queste esperienze simili che il lettore latinoamericano può, in qualche modo, appropriarsi del libro di Fabio Durão. Se si trattasse solo di condividere alcune qualità peculiari, il libro non sarebbe altro che una divertente raccolta di solite immagini cosparse di brillanti osservazioni. Del resto, è necessario riconoscerlo, ci sono anche frammenti che dovrebbero produrre una distanza necessaria, come quello in cui riflette sull’eccezionalismo brasiliano.
Al di là di tutto ciò, la grande preoccupazione dell'autore, quella che unisce come un lungo filo questa trapunta di frammenti, è la stessa che aleggia come idea fissa nel pensiero americano dalle sue origini fino a oggi: il bisogno di utopia. “Il messianismo è figlio della disperazione”, dice Durão, e con buona ragione. “Ma andateci e cercate di reprimere tutte le pulsioni utopistiche che permeano la nostra vita, tutte quelle rappresentazioni o lampeggia che ci sorprendono, i divagamenti nelle code, le fantasticherie diurne mentre camminiamo o mangiamo, o anche le passioni dolorose che ci tormentano promettendoci redenzione”.
Questi impulsi sono, infatti, la forza trainante del pensiero nel nostro continente, dall'immaginazione dei conquistatori all'opera di Antonio Candido o Roberto Schwarz, a cui Fabio Durão deve tanto. Nascono dall'esigenza di rompere con una realtà fatta “della pura sedimentazione del dolore, della sofferenza non solo scritta sulla pelle delle persone, ma radicata nelle cose, come se la sedia su cui sediamo ricordasse il gemito che emise quando era albero" .
*William Diaz è professore presso il Dipartimento di Letteratura dell'Università Nazionale della Colombia.
Traduzione: Fernando Lima das Neves.
Riferimento

Fabio Akcelrud Durao. Teoria in frammenti. Istantanee di vita accademica. Bogotá, Editora Tierra Firme, 2024, 238 pagine. [https://abrir.link/dfvKm]
note:
[I] Adorno, TW “Benjamins strada a senso unico”. In: Noten zur Letteratura, 680-85. Francoforte: Suhrkamp, 1981, pag. 681.
[Ii] ibid. P. 681.
[Iii] Siscar, Marcos. “Presentazione: Il rumore che non si ferma”. In: Frammenti assemblati, di Fabio Akcelrud Durão. San Paolo: Nankin, 2015. p. 10.
[Iv] Ibib. P. 11.
la terra è rotonda c'è grazie ai nostri lettori e sostenitori.
Aiutaci a portare avanti questa idea.
CONTRIBUIRE