Theodor W. Adorno - Introduzione alla dialettica

Immagine: Jan van der Zee
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da ERICK CALHEIROS DE LIMA

Presentazione dell'edizione brasiliana appena lanciata del corso tenuto dal filosofo tedesco

“Nella sua peculiare determinatezza, la dialettica è piuttosto la natura propria e vera delle determinazioni-dell'intelletto-delle cose e del finito in quanto tale. La riflessione è anzitutto il superamento della determinatezza isolata e un riferimento di quest'ultima attraverso il quale viene messa in relazione – purché si conservi nel suo valore isolato. Così, la dialettica è, invece, questo superamento immanente, in cui l'unilateralità e la limitazione delle determinazioni-d'intelletto si rivelano come ciò che realmente sono, cioè: come loro negazione. Tutto finito è questo: sospendersi. La dialettica costituisce, dunque, l'anima propulsiva del progresso scientifico ed è l'unico principio mediante il quale connessione e necessità immanente si inseriscono nel contenuto della scienza, così come risiede in essa come tale la vera elevazione non esterna sul finito” ( Hegel, Bd. 8, p.171-2).

La presente traduzione di Introduzione alla dialettica mette a disposizione del pubblico di lingua portoghese il testo corrispondente al corso tenuto da Theodor W. Adorno sull'argomento nel semestre estivo del 1958, presso l'Università di Francoforte. Penso che sia gli studenti che i ricercatori potranno trarre beneficio dalle discussioni proposte da queste classi, tanto più perché si tratta di un testo che amplia il materiale bibliografico disponibile in portoghese sulla concezione della dialettica di Adorno - un tema fondamentale per una più fruttuosa comprensione del suo lavoro un contributo ampio, multiplo, stimolante e sempre presente al pensiero contemporaneo, in aree così diverse come la metafisica, la teoria letteraria, la sociologia, la psicologia, la filosofia pratica, la filosofia della storia, la filosofia della musica e l'estetica.

In quanto segue, vorrei proporre un'introduzione generale, per nulla esaustiva, al testo di questo Introduzione alla dialettica. Lo farò in tre passaggi. In primo luogo, ricorderò rapidamente il contesto biografico che segna il corso tenuto da Adorno. Successivamente, esaminerò molto rapidamente e superficialmente alcuni punti di riferimento dell'interpretazione di Adorno della dialettica hegeliana – qualcosa che costituisce lo sfondo per il corso proposto ulteriormente da Adorno. Cerco infine di anticipare sommariamente il nesso tematico inteso da Adorno nelle sue classi a Introduzione alla dialettica.

Spero di poter contribuire, con questa modesta introduzione generale, all'integrazione dei contenuti sviluppati da Adorno in questo corso con il materiale bibliografico già disponibile in portoghese – e che, appunto, dal punto di vista più specifico del suo riformulazione del paradigma della razionalità critica attraverso un'esposizione della dialettica hegeliana. È proprio integrandosi in questo panorama più ampio che i temi qui trattati da Theodor W. Adorno possono fornire il loro massimo sussidio informativo ed ermeneutico.

Il contesto biografico

Le classi che hanno dato origine a questo Introduzione alla dialettica sono state condotte in un momento intermedio della fase finale della produzione teorica di Adorno, interrotta dalla sua morte. Theodor W. Adorno fa parte di un ristretto gruppo di eminenti pensatori morti nella produzione schietta e, oserei dire, nel loro momento di maggiore maturità intellettuale.

Dopo più di 15 anni relativamente itineranti, un periodo segnato prevalentemente dal suo esilio nordamericano, provocato dall'ascesa del nazionalsocialismo, Theodor W. Adorno tornò più o meno definitivamente in Germania nell'ottobre 1949. motivi eminentemente professionali per la decisione di tornare specificamente a Francoforte erano legati all'obiettivo di riprendere la posizione di Dozzina privata, da cui fu esonerato nel 1933. Dopo una fase ancora segnata da una certa inquietudine ed esitazione, da viaggi accademici all'estero e da corsi universitari, Theodor W. Adorno ebbe, alla fine del 1953, il consolidamento della sua posizione professionale come “professore straordinario a tempo indeterminato”, diventando dipendente pubblico e insegnando, a partire dal semestre invernale, due corsi a semestre, con lezioni pomeridiane.

Molti dei corsi offerti da Theodor W. Adorno negli anni successivi gravitarono attorno a diverse aree della filosofia, anche se, grazie alla competenza dimostrato e perfezionato negli anni dell'esilio americano, nonché nella successiva collaborazione con la ricerca empirica negli Stati Uniti, Theodor W. Adorno seguì anche, per tutti gli anni Cinquanta e Sessanta, corsi ricorrenti di sociologia presso l'Università di Francoforte.

La polivalenza di Adorno nell'insegnamento, oltre che nella produzione teorica e nella ricerca, si acuì definitivamente quando, nel 1958, anno delle classi qui riunite, a causa del pensionamento anticipato di Horkheimer, Adorno assunse la direzione dell'Istituto per la Ricerca Sociale. Così, gli anni Cinquanta segnarono, dal punto di vista biografico, il consolidamento di Theodor W. Adorno come professore, agendo e producendo prodigiosamente in almeno due cattedre, filosofia e sociologia, mentre, da un punto di vista più ampio, negli anni Sessanta , si preparava il tratto definitivo della sua esibizione pubblica di intellettuale di spicco, ricorrentemente ascoltato, consultato, presente in trasmissioni radiofoniche e televisive e in articoli di giornale.

La traiettoria di Theodor W. Adorno negli anni '1950 spiega molto il suo stesso consolidamento come una sorta di quintessenza teorica, una sommatoria intellettuale vivente, di ciò che è stato più pertinente prodotto e discusso in filosofia e sociologia dal periodo "tra le due guerre", in Germania e all'estero.

Con ciò è un po' più facile capire, in un contesto biografico come questo, che dalla fine degli anni Cinquanta, già sotto il segno del consolidamento professionale, Theodor W. Adorno è entrato in una sorta di traiettoria di autoriflessione e “ metodologico” autodepurativo., che trova il suo apice proprio con l'apparire del suo magnum opus, una dialettica negativa, dal 1966. Il presente Introduzione alla dialettica va inteso, quindi, nella prospettiva di questo movimento che converte la nozione Adorniana di dialettica, già notevolmente distinguibile in Dialettica dell'Illuminismo, nell'oggetto stesso della sua riflessione filosofica, nel bersaglio stesso della decantazione investigativa.

È una traiettoria in cui le riflessioni contenute nei vari corsi sull'argomento [ad esempio, nel 1958, 1960/61, 1965/66, 1969], nonché in testi intermedi ad essi collegati, sono da ritenersi appaganti qualcosa del ruolo, per così dire, di laboratorio, tappe importantissime dell'itinerario attraverso il quale l'autore raggiungerà, negli anni Sessanta, sia il consolidamento del suo punto di vista teorico autonomo, fondato sulla propria concezione della dialettica, sia la feroce e consapevole difesa da questa prospettiva – come accade nel famoso positivismusstreit, scattata proprio quando Theodor W. Adorno fu, dopo essere stato eletto nel novembre 1963, direttore della German Sociological Society.

Nel caso specifico delle classi Introduzione alla dialettica, data nel 1958, queste sembrano invertire la strategia perseguita da Theodor W. Adorno nei seminari offerti a metà degli anni Cinquanta, frequentati, tra gli altri, da Max Horkheimer, Jürgen Habermas e Hebert Schnädelbach – che, tra l'altro, divennero richiami le lezioni in modo suggestivo: “i seminari su Hegel trattavano generalmente di pochissimo testo nel corso di un semestre: mai più di poche pagine di dottrina dell'essenza da logica. La strategia era... iniziare accettando la critica di Hegel a Kant, ma poi attingere alla critica di Marx a Hegel. Tuttavia, in questa critica di Hegel ricorrono elementi kantiani. Siamo sempre rimasti all'interno di quel triangolo.

Na Introduzione alla dialettica come vedrà il lettore, non solo l'astuzia del saggista, non solo la tenacia del ricercatore e la profondità del filosofo, ma anche la precisione e il ritmo del professore.

Alcune pietre miliari nell'interpretazione di Hegel

A Introduzione alla dialettica proposto da Adorno pervade molti dei temi che compongono lo spettro generale della sua appropriazione critica di Hegel. Quando confrontiamo il contenuto di queste classi con altri testi sull'argomento, diventa ancora più chiaro l'intimo rapporto che la dialettica di Adorno, la sua versione del paradigma della razionalità critica, ha con la dialettica hegeliana, di cui la prima intende essere, appunto , , la realizzazione più consequenziale, ciò che ci si può e si deve aspettare, in termini di un modello di critica immanente, sotto la prevalenza del capitalismo avanzato.

Em aspetti, originariamente una conferenza del 1956 e che divenne il testo di apertura della raccolta Tre studi su Hegel, Adorno sostiene che: “Sebbene la dialettica dimostri l'impossibilità di ridurre il mondo a un polo fisso soggettivo e persegua metodicamente la reciproca negazione e produzione dei momenti oggettivo e soggettivo, la filosofia di Hegel, in quanto filosofia dello Spirito, rimase nell'idealismo. Solo la dottrina dell'identità tra soggetto e oggetto inerente all'idealismo – che, secondo la sua forma semplice, anticipa il privilegio del soggetto – gli conferisce quella forza di totalità che permette l'opera del negativo, la fluidificazione dei concetti particolari, la riflessione di l'immediato e poi ancora il superamento [Sollevamento] di riflessione”.

Theodor W. Adorno si lascia guidare in questa discussione da qualcosa di vicino alla famosa e influente impressione del giovane Marx sulla portata della dialettica hegeliana, per sottolineare il fatto che, nonostante la dinamica del Orologio, sostenuto da Hegel nel Fenomenologia e altrove, l'ostinato idealismo impedisce la franca concessione del primato all'oggetto. Adorno avanza la tesi marxiana in un modo che approfondisce e differenzia l'incursione materialista nel significato filosofico dell'idealismo tedesco. Così, Theodor W. Adorno accetta la critica di Marx a Hegel, secondo la quale la dialettica è mistificata perché la totalità articola solo i momenti spiritualizzati del sistema del lavoro sociale – cosicché, anche se ha colto la comprensione concettuale come “lavoro del negativo ”, la dialettica hegeliana sarebbe, poiché richiede essa stessa di cogliere la sintesi dal lato dell'oggetto, il riflesso concettuale della divisione tra lavoro intellettuale e lavoro materiale.

“Al di fuori di ciò che non è identico a se stesso, il lavoro diventa ideologia. […] Questo rapporto sociale impone in Hegel la non-verità, il mascheramento del soggetto come soggetto-oggetto, la negazione del non-identico da parte della totalità, per quanto il non-identico sia riconosciuto nel riflesso di ogni particolare giudizio".

Tuttavia, in una lettura approfondita dell'idealismo tedesco e della sua questione fondamentale – vale a dire il superamento della dicotomia tra sé puro e sé empirico –, Adorno allarga la portata di questa critica in una ricomposizione materialistica della teoria dell'esperienza e della cognizione, capace di accedere al che deve rimanere indissolubile nei concetti, pur costituendo la base materiale, anche somatica e psichica, dell'esperienza stessa. Theodor W. Adorno, infatti, si rapporta alla dialettica hegeliana attraverso una critica immanente, che è sicuramente collegata all'atteggiamento materialista di Marx nei suoi confronti, ma, in certo modo, vi accede già in modo diverso, o forse più arricchito. dell'esperienza.

“Basterebbe solo un minimo – la memoria del momento insieme mediata e irriducibilmente naturale dell'opera – e la dialettica hegeliana sarebbe stata all'altezza del suo nome”. Comunque sia, la filosofia di Adorno, in quanto concretizza e materializza la dialettica in diverse dimensioni, va intesa, prima di tutto, come uno sforzo per andare oltre il “lavoro inconscio su di sé”. “Solo l'autocoscienza di tutto ciò poteva portare la dialettica hegeliana oltre se stessa, ed è proprio questa autocoscienza che le viene rifiutata: ciò significa pronunciare il nome che l'ha stregata”.

Theodor W. Adorno cerca poi, nell'aspetto “antiidealista” della dialettica hegeliana, l'impulso a riconsiderare la “coscienza della contraddizione nella cosa stessa”, perché “tale critica è la forza della teoria, con cui essa si rivolta contro se stesso. stesso". Infatti, invece di concepire la “non identità dell'antagonista” in modo mistificato, soggettivo e meramente spirituale, Adorno integra la materialità nella cognizione, cercando in essa la “non identità del tutto”. “La filosofia di Hegel vuole essere negativa in tutti i suoi momenti particolari; ma se diventa negativo contro la propria intenzione, anche come totalità, allora riconosce in questo la negatività del suo oggetto”.

Ovviamente, la critica immanente della dialettica hegeliana, «la dialettica idealista [che] si rivolta contro l'idealismo» e che costituisce il paradigma adorniano della razionalità critica, passa attraverso l'esperienza dell'affettazione della totalità da parte del sistema del servizio sociale, ma dà alla base di questo modello di teoria critica anche una maggiore sensibilità a ciò che nell'esperienza cognitiva eccede la “dialettica della socializzazione e dell'individualizzazione”, e cioè: la sofferenza, l'ingiustizia inflitta al singolare come prezzo pagato per il suo stesso assorbimento nella dialettica.

“Forse niente dice di più sull'essenza del pensiero dialettico del fatto che la sua autocoscienza del momento soggettivo della verità, il riflesso della riflessione, deve conciliare l'ingiustizia che la soggettività mutilante fa alla verità solo supponendo e ponendo come verità ciò che mai è del tutto vero”.

La critica immanente provocata da Adorno nella dialettica di Hegel – che in fondo rimane “fedele alla propria filosofia, al desiderio di una critica immanente, che è parte centrale del suo metodo” – ha conseguenze interessanti per una migliorata e differenziata ermeneutica della testo hegeliano, che, di fatto, permeano e arricchiscono enormemente il suo Introduzione alla dialettica. Il primo di questi è la rivelazione del “contenuto esperienziale” [Erfahrungsgehalt] della dialettica di Hegel, cioè, in una lettura materialistica adorniana, la rivelazione di ciò che costituisce il contenuto da lei vissuto, di ciò di cui è, per così dire, interessata, il suo “senso della realtà”, “quelle esperienze da lei incorporate ” e che quindi articola concettualmente.

Secondo Theodor W. Adorno, la “mediazione hegeliana del a priori e a posteriori” impegna Hegel in una “visione antipositivista”, con una critica a quello che, nel dibattito epistemologico contemporaneo, compreso il “neohegelismo analitico”, potrebbe essere chiamato il “mito del dato”. “Il pensiero di Hegel nel suo insieme si mantiene in un rapporto obliquo con il programma di accettazione immediata del cosiddetto dato come base fissa della conoscenza”. Così, il contenuto esperienziale della dialettica hegeliana consuma l'esperienza stessa dell'idealismo tedesco, contenuta nel [e per sospetto di ibrida] della parola spirito, il sentimento di perdita dell'essere umano totale, la reazione al paradigma moderno della scienza e ai suoi correlati: la "coscienza reificata" e la "compartimentalizzazione della vita e della conoscenza organizzata compiuta all'interno della divisione del lavoro" .

Theodor W. Adorno suggerisce quindi che la dialettica hegeliana vive la modernità reagendo ad essa sotto forma di una critica ontologica dell'atomismo, una critica etico-politica dell'individualismo metodologico e una critica epistemologica del fondazionalismo. Pertanto, come esperienza del paradigma moderno della razionalità, così come del suo ostinato positivismo e del suo ingenuo realismo, la dialettica hegeliana è “l'autoriflessione del filosofare formale, che aveva rifiutato e proibito il filosofare incentrato sul contenuto come meramente dogmatico”. Anche per Adorno, così come per Habermas e Honneth dopo di lui, “l'hegelismo di sinistra” è la ripresa di questo movimento di autocritica della razionalità che, criticandone l'insufficienza, critica anche l'effetto dannoso della sua inconscia incompletezza sul contenuto di esperienza.

Questa capacità intrinseca della filosofia hegeliana è dovuta, secondo Adorno, alla “negazione determinata”, al “nervo della dialettica come metodo”, alla tensione interna del concetto che gli fa negare se stesso come concetto astratto e, negando la sua astrazione, accedere al “suo contenuto: la società”, liberando la “forza immagazzinata nel proprio oggetto” come qualcosa che “non è ancora se stesso”. Per questo la circoscrizione del contenuto esperienziale è andare con Hegel oltre se stesso, è fare la critica immanente della dialettica hegeliana, impegnandosi ancor più radicalmente di quanto lo stesso Hegel faccia con la negazione determinata - in questo caso specifico, con la molto negatività del tutto: “il raggio di luce che rivela il tutto in tutti i suoi momenti come il falso non è altro che l'utopia di ogni verità, un'utopia che deve ancora realizzarsi”.

Tuttavia, la critica immanente della dialettica hegeliana, nella misura in cui circoscrive il contenuto vissuto, non lascia intatta la forma, conducendo, in secondo luogo, a una riflessione intorno all'esposizione, al rapporto tra la lingua hegeliana e la dialettica, che, come esperienza, è ora spinto oltre se stesso. In questa riflessione, Adorno finisce per dare un significato filosoficamente rilevante alla scrittura di Hegel, vista normalmente come refrattaria alla comprensione.

Theodor W. Adorno riconduce allo “stile” di Hegel due delle direttrici più importanti della sua critica della filosofia tradizionale: il suo antifondazionalismo, cioè il suo rifiuto di seguire la strada percorsa da Reinhold e Fichte nel delineare i principi fondamentali, o dall'empirismo e la sua dottrina del dato immediato; e, in connessione con ciò, la necessaria incompletezza della proposizione isolata come espressione di verità. A causa della sua tesi generale che la dialettica hegeliana non ha, nonostante tutto, il rapporto radicale con la negazione determinata che, in quanto dialettica, sarebbe costretta ad avere, Adorno vede in quelle linee guida i segni indelebili della reazione di Hegel alla " positivista" di chiarezza, che, dal punto di vista logico-formale, funge da principio borghese di equivalenza e di valore di scambio.

In un passaggio memorabile, Hegel fa della percezione dell'intrinseca incapacità del giudizio singolare di esprimere la verità il corrispettivo sia della sua concezione della plasticità del linguaggio come “frase speculativa” sia anche della concezione olistico che "la cosa reale è l'illusione bacchica [baccantischer Taumel], in cui non c'è membro che non sia ubriaco”. Così, in Hegel, l'insufficienza della proposizione isolata ci ricorda la necessaria insufficienza dello stesso linguaggio filosofico, sicché la «mancanza di chiarezza che gli si rimprovera instancabilmente non è una semplice debolezza, ma è anche il motore che lo porta correggere la falsità” del particolare, una falsità che si manifesta nell'assenza di chiarezza del singolare”.

In questa prospettiva, infatti, Adorno vede in Hegel un precursore di una posizione sul rapporto tra filosofia e linguaggio che egli stesso afferma di aver sviluppato più compiutamente: “ogni linguaggio filosofico è un linguaggio contro linguaggio, segnato dallo stigma della propria impossibilità ”. ”.

La critica Adorniana della dialettica in Hegel ci offre, infatti, qualcosa come un modello per la sua concezione della dialettica, poiché, circoscrivendo, in forza di una determinata negazione, la dialettica hegeliana il contenuto esperienziale che le conviene, permette di vederla al di fuori dell'idealismo, del misticismo del concetto, e, di conseguenza, come articolazione, in termini di funzioni espressive e comunicative del linguaggio, degli assi irriducibili “verticale” e “orizzontale”, kantiano e hegeliano, soggettivo e intersoggettivo, che, pur rimanendo irriducibile, deve costituire l'autentica esperienza dialettica. Per Theodor W. Adorno, nella sua interpretazione di Hegel, si tratta di una “dialettica [che] ha luogo proprio nel medie del linguaggio”. Adorno concepisce la “stilistica” hegeliana come una reazione alla scissione, promossa dalla logica del mercato, tra espressione e comunicazione, e che invade, sotto il primato di quest'ultima, il paradigma moderno della razionalità, traducendosi in un'esigenza filosofica di linearità, completezza e chiarezza.

Per quanto l'idealismo hegeliano abbia parzialmente ceduto al parossismo comunicativo della razionalità formale, Adorno percepisce ancora in Hegel l'adesione critica al nominalismo estremo, all'uso di “definizioni verbali come mere etichette” – una “concezione [che] resiste energicamente all'esperienza che vuole far parlare la cosa stessa” – ma anche alla sua controparte borghese, “l'ipostasi del particolare”. Nell'“olismo” hegeliano, nella dimostrazione della necessaria insufficienza di concetti, giudizi e sillogismi, Adorno rintraccia lo sforzo genuinamente filosofico della linguistica plastica e incompiuta dell'ineffabile, dell'extraconcettuale, del “pensare il inteso anche laddove tutte le sue implicazioni non può essere rappresentato in un modo chiaro et distinto” – il mantenimento del carattere antiborghese della filosofia, della sua resistenza al principio di equivalenza.

Ciò che rimane ancora in Hegel, soprattutto per il suo contenuto storico ed esperienziale, avverso al sistema, orientato alla “costellazione”, l'elemento che Theodor W. Adorno dispiega nella sua concezione della dialettica, costituisce, dal punto di vista la sua interpretazione del pensiero di Hegel, la percezione che "anche i testi di Hegel sono antitesti".

Ragioni come queste, tratte dal confronto di Theodor W. Adorno con la filosofia hegeliana, rimangono indubbiamente direttive nel suo ulteriore sviluppo, sebbene fossero presenti anche prima. Da un punto di vista storico-culturale, ad esempio, l'illuminismo è stato visto come l'introduzione nel linguaggio, come mezzo di riproduzione culturale, della differenziazione tra segno e immagine, processo attraverso il quale il linguaggio si è progressivamente allontanato dalla realtà, e la il segno convenzionale si allontana dal contenuto semantico. Pertanto, solo il linguaggio nella sua portata dialettica, capace di tendersi tra l'identico e il non identico, è la visualizzazione concettuale dello sfondo opaco delle cose, nonché il processo genealogico di differenziazione tra nome e cosa, tra uno e molteplice , tra soggetto e oggetto. Nel nominalismo e nell'atomismo, segnati dalla scissione tra pensiero e cosa, dalla “dimenticanza” della genesi dialettica del concetto, la dialettica si trova dunque nel suo momento di impotenza.

Di fronte alla radicalizzazione dell'illuminismo come filosofia nominalista del linguaggio, che tende a trattare ogni nome proprio come un nome generico, rompendo il legame tra nome ed essere, il Dialettica dell'Illuminismo aveva già suggerito una forte approssimazione con il concetto hegeliano di “negazione determinata”, che fa intravedere come lo splendore dell'immagine si conservi, nel suo diritto di autonomia, nella fedele esecuzione del suo divieto, cioè nel consapevole divieto di accesso concettuale o nominalista alla sua ricchezza. Questo ci porta a una concezione dialettica del linguaggio come qualcosa che va oltre il semplice sistema di segni.

In effetti, la “dialettica negativa” di Theodor W. Adorno sarà compromessa, come teoria dell'esperienza, del linguaggio e del concetto, con il rovesciamento della rassegnazione e dell'offuscamento causati dall'incompresa interdizione dell'accesso concettuale all'elemento non concettuale. Il suo modo di invertire questa tendenza insita in loghi Western è promuovere l'esposizione concettuale del non identico, accettandone il carattere refrattario alla costrizione intellettuale. Ecco perché il luogo privilegiato della dialettica è la mediazione, luogo dell'intervento per cogliere il non concettuale nel concetto. Così, in questa dimensione dove concetto, linguaggio e storia si fondono, la mediazione della materia conduce, suggerisce Adorno, all'esposizione della sua storia implicita. “Anche insieme all'estremo sforzo di esprimere linguisticamente una tale storia coagulata nelle cose, le parole impiegate rimangono concetti [...] Solo i concetti possono realizzare ciò che il concetto impedisce”.

È l'insufficienza del nominalismo come strategia di accesso cognitivo non reificato che trasforma dialetticamente l'uno in molteplice, il concetto in concetti, il nome in linguaggio. Questa operazione dialettica, che in modo molto schematico compone la teoria Adorniana del concetto esposto nel dialettica negativa, gli permette una bella condensazione programmatica: “L'errore determinabile di ogni concetto obbliga a evocarne altri; è da lì che emergono quelle costellazioni a cui passa solo qualcosa della speranza racchiusa nel nome. È attraverso la negazione del nome che il linguaggio filosofico si avvicina al nome. Così, con una critica feroce alla pretesa del nome di una verità immediata, l'interiorità concettuale che la conoscenza racchiude evoca, pensa Adorno, un elemento decisamente estrinseco ed eterogeneo, qualcosa di genuinamente esteriore che, da un punto di vista esperienziale, renderà giustizia, evocando alle pretese più ambiziose e irrealizzate della filosofia classica tedesca, al potenziale conoscitivo anche dei processi somatici di un soggetto conoscente individualizzato, esistente nella sua unica storicità.

Un percorso e un modello per la dialettica

A un certo punto del suo corso, Theodor W. Adorno ne parla come di una “propedeutica alla dialettica” (Classe 4). Certo, non si tratta solo di un cammino verso la dialettica, garantisce Adorno, poiché questa propedeutica fornirebbe anche un “modello della dialettica” (Classe 2). L'itinerario proposto da Adorno come a Introduzione alla dialettica è indubbiamente coinvolgente e stimolante, ma è anche, soprattutto, ricco ed esauriente, componendo, insieme all'apparato di appunti predisposto dall'editore tedesco, uno straordinario insieme di informazioni.

Theodor W. Adorno prende come punto di partenza l'ambivalenza, già irriflessivamente presente in considerazioni dialettiche che risalgono all'antichità classica, tra la dimensione “soggettiva” e quella “oggettiva”, cioè tra la dialettica come metodo e come strutturazione del oggetto sperimentato. È già sotto il segno dell'attrito tra queste dimensioni che Adorno costruisce il preambolo alla sua discussione sulla dialettica come esperienza della limitatezza dei concetti rispetto al confronto con i dati e, quindi, alla rettifica delle categorie attraverso l'abnegazione innescata dalla accoglienza, in sé, dell'elemento non concettuale (Classe 1).

Stabilita così la sua più ampia strategia interpretativa del programma propugnato dalla dialettica hegeliana, Adorno si serve dell'idea di tensione, da riconoscere concettualmente, tra identità e non identità di concetto e oggetto, per offrire una comprensione del tema del “movimento concettuale”. Ciò finisce per dipanare la centrale nozione dialettica del “nucleo storico della verità”, connessa alla “critica della reificazione” e sviluppata non solo in compagnia di Hegel, ma anche con Kant e Benjamin, nonché in una già intensa opposizione alle pretese dell'ontologia contemporanea ad Adorno (Classe 2).

Questo motivo critico, che, in verità, permea tutti gli sforzi di Adorno in questo Introduzione alla dialettica, è poi accentuato dalla caratterizzazione della posizione che generalmente la dialettica assume rispetto all'idea tradizionale di “filosofia prima”. Il momento in cui Adorno espone la sua nozione seminale di una “dialettica aperta” è anche il contesto in cui la dialettica hegeliana si rivela nella sua sconcertante e problematica ambiguità rispetto al tradizionale programma di cugina filosofia. Tuttavia, con l'appropriazione critica della dialettica hegeliana, si intensifica anche l'arsenale di Adorno contro la fenomenologia e l'ontologia a lui contemporanee (Classe 3).

Theodor W. Adorno sviluppa la sua appropriazione critica del motivo centrale contenuto nel “movimento del concetto” riprendendo tratti fondamentali del percorso della filosofia classica tedesca, sia il rapporto di Hegel con l'idealismo di Fichte, sia l'interpretazione hegeliana del rapporto tra dialettica e analitica trascendentale in Critica della ragion pura. L'idea Adorniana che la dialettica sarebbe, soprattutto nella sua formulazione hegeliana, “la filosofia kantiana che ha raggiunto la sua autocoscienza” (Classe 4) trova indubbiamente un ottimo sostegno in diverse opere di Hegel.

Nel rivisitare la critica di Hegel a Kant, Adorno trova l'occasione per elaborare la sua idea di una “dialettica aperta”. Ora, il dispiegarsi di questa nozione finisce per rendere possibile non solo una stimolante reinterpretazione di brani antologici dal fenomenologia dello spirito, nonché una difesa della dialettica in relazione alla critica che cospirerebbe a favore dello sradicamento, nell'esperienza conoscitiva, dell'elemento irrazionale, inconscio e non concettuale. Così, tematizzando la peculiare interazione tra irrazionale e razionalità, Adorno finisce per proporre la prima trattazione più ampia, nell'ambito di questa Introduzione, sulla sua stessa nozione di non identico.

I lettori saranno sorpresi dal modo in cui l'appropriazione critica della dialettica hegeliana da parte di Theodor W. Adorno conduce a momenti interessanti di natura ermeneutica, ma non solo: oltre ad aver assunto una posizione ponderata rispetto al dibattito sull'“irrazionalismo” , anticipando il rischio di un abuso ideologico della dialettica da parte dell'automatismo dello “schema triadico”, Hegel avrebbe intravisto il nocciolo duro della concezione della dialettica come “teoria critica” (classe 5).

In effetti, la critica di Hegel ai limiti di comprensione dimostrati da Kant circa le proprie scoperte nella “dialettica trascendentale” continua a costituire il filo conduttore della discussione, proposta da Adorno, sulla nozione dialettica di contraddizione. E questa discussione è condotta in modo da smascherare l'applicazione meccanica del principio di contraddizione, che finisce per impoverire e reificare la dialettica nei termini di un rigido e inflessibile “schema triadico” tra tesi, antitesi e sintesi. Adorno ritorna sul dibattito Kant-Hegel per rivitalizzare la dialettica, soprattutto di fronte alle minacce perpetrate dal materialismo dogmatico (Classe 6).

Il fatto che Adorno abbia utilizzato la critica hegeliana della dialettica trascendentale come principio guida in almeno tre classi sottolinea non solo l'indiscusso valore storico-filosofico di questo argomento, ma anche la centralità che esso assume nel modo in cui Theodor W. Adorno lo espone. Introduzione alla dialettica – e, perché no, poiché Adorno mantiene una correlazione tra queste dimensioni, la loro centralità nel modo in cui elabora il suo modello di “dialettica aperta”. Infatti, dopo aver delineato, a partire dalla ricezione della dialettica trascendentale, i molteplici contorni del concetto hegeliano di contraddizione, lo esplora nel quadro di una comprensione dialettica della teoria classica della predicazione e della proposizione dichiarativa (classe 7).

Una delle lezioni di vasta portata che Hegel trasse dalla sua appropriazione critica delle “Antitetiche della ragion pura” consiste nel ripensare il rapporto tra soggetto e oggetto in modo tale da non avallare nemmeno la pietosa banalità della soluzione kantiana delle antinomie, che attribuisce unicamente alla ragione soggettiva il bisogno di contraddizione, né dà sfogo a ciò che Kant sembrava temere di più: l'attribuzione del carattere contraddittorio esclusivamente al mondo. Per Hegel il contraddittorio è innanzitutto lo spirito, questa unità di determinazioni contraddittorie, l'identità di soggetto e oggetto nella loro non identità. Per inciso, il fascino di Adorno per il potenziale teorico-critico messo a disposizione dal concetto hegeliano di “esperienza spirituale” è abbastanza evidente in questa fase dell'esposizione (Classe 8). Ecco perché, seguendo la critica di Hegel a Kant, Adorno trova l'occasione, nel suo recupero dell'Antitetico, di esporre il modo in cui la dialettica del concetto ci getta nella comprensione della natura contraddittoria del mondo.

Adorno anticipa così, dal dispiegarsi della dialettica del concetto in termini di “teoria negativa” del sistema o della totalità, il suo celebre tema dell'“ontologia del falso stato” – una modulazione espositiva che si articolerà in termini sia di comprensione critica a partire dalla coercizione sociale sotto l'egida del valore di scambio, sia dal punto di vista di un'interpretazione del carattere estrinseco, dimostrato dalla nozione hegeliana di Stato, in relazione alle dinamiche dialettiche e autocorrosive della società capitalistica (Class 8).

Dalla delineazione delle condizioni in cui la dialettica intende, dalla critica di Hegel a Kant, comprendere il processo conoscitivo in quanto tale e l'esperienza del mondo, Adorno promuove un'inflessione nella sua esposizione. In primo luogo, intende presentare, a partire dalla ricostruzione della nozione hegeliana “di esperienza, la differenziazione tra la prospettiva idealista e quella materialista della dialettica. In questo esercizio, Adorno comincia a trovare occasioni, che si fanno sempre più frequenti fino alla fine del corso, per mostrare i contorni più specifici del suo modello di dialettica materialista rispetto a Marx, o anche a quello che chiama “materialismo volgare” – associato, diciamo, al “marxismo orientale” –, ma recuperando anche il suo famoso dibattito con Benjamin sulla “mediazione”, nonché le sue stesse risposte alle critiche mosse da Weber alla dialettica materialista” (Classe 9).

Lo sforzo di situare la sua concezione di una dialettica “aperta” e interrotta all'interno dell'orizzonte più ampio formato dalla dialettica ottocentesca costituisce anche il passaggio ad un'altra tappa dell'esposizione di Adorno, ovvero: la ripresa del discorso sulle sfide contemporanee alla dialettica. La considerazione “epistemologica” della dialettica, che ne evidenzia l'apporto esperienziale e, quindi, la tematizzazione del processo conoscitivo, conduce la presentazione di Theodor W. Adorno alla trattazione della visione dialettica del rapporto tra tutto e parte. Se, da un lato, Adorno radicalizza l'antifondazionalismo di Hegel in una critica al carattere “affermativo” della totalità nella dialettica speculativa, dall'altro, questa stessa radicalizzazione conduce al confronto con posizioni filosofiche che privilegiano l'accesso immediato alla singolarità, sia nella forma dell'“intuizionismo” di Henri Bergson, sia in quella dell'“atomismo logico” tipico dell'empirismo contemporaneo.

Nello sviluppo di questa strategia, Theodor W. Adorno finisce per rivelare la necessità della dialettica di regolare i conti con una posizione filosofica relativamente remota – contro la quale, secondo lui, la stessa fenomenologia dello spirito – e la cui eredità è viva nelle “filosofie dell'immediatezza” contemporanee, vale a dire: la nozione cartesiana di percezione chiara e distinta (Classe 10).

È interessante notare che Theodor W. Adorno sembra vedere in questa nozione cartesiana una sorta di sponsor inconfessato di due delle principali correnti filosofiche a lui contemporanee, rispetto alle quali cerca tenacemente di differenziare il suo salvataggio dalla dialettica: l'ontologia e il positivismo. Per questo cerca, in un primo momento, di svincolare la dialettica, anche hegeliana, da ogni indebita appropriazione da parte dell'ontologia (classe 11). In un secondo momento, iniziando il suo più stretto coinvolgimento con il positivismo, Adorno cerca non solo di mostrare in che senso l'“immediatezza”, propugnata dall'epistemologia empirista e positivista, sia debitrice del paradigma della cugina filosofia, ma anche il modo in cui la dialettica può essere messa in relazione con la pratica delle scienze empiriche – in modo che questa si riveli non come una struttura eteronoma all'elaborazione dei dati scientifici, ma come una dimensione di autoriflessività, intrinsecamente innescata dalle stesse dinamiche di indagine (classe 12).

Negli ultimi due quinti del suo Introduzione alla dialettica, Theodor W. Adorno compie due movimenti argomentativi preziosi e vitali per l'elaborazione del suo modello di pensiero dialettico. La prima riguarda una sorta di resa dei conti della dialettica, riabilitata dal percorso proposto, con le regole cartesiane del metodo. Così, dopo aver individuato, pur con differenze cruciali, la prospettiva che la dialettica condividerebbe con il positivismo – l'apprezzamento del “micrologico” –, Adorno mostra che cadere vittima di un uso dogmatico del postulato cartesiano dell'“assenza di precipitazione” significherebbe la rinuncia alla nozione di “nucleo temporale di verità”.

Inoltre, Adorno cerca di mobilitare gli insegnamenti più strutturanti della dialettica nel tentativo di smascherare il percezione chiara e distinta non solo come forma emblematica di fondazionalismo, ma anche come precetto che rende inaccessibile la dinamicità dell'oggetto vissuto. E, in questo esercizio, Adorno chiarisce che la dialettica non è coerente con il rifiuto immediato del “postulato dell'evidenza”, anzi lo supera proprio attraverso la sua osservanza più radicale (Classe 13). Theodor W. Adorno mostra poi che l'evidenza immediata, presupposta da una percezione chiara e distinta, costituisce l'anima di tutti gli sforzi filosofici connessi, in senso lato, alla trattazione nominalista dei concetti e, di conseguenza, anche ai procedimenti di 'analisi elementare' dell'esperienza conoscitiva.

D'altra parte, a questo punto, il modello propedeutico della dialettica sviluppato da Theodor W. Adorno, segnato da aperture e rotture, si dimostra, in una illuminante digressione, come profondamente legato alle concezioni della società e del processo storico in cui si trovano essi stessi continuità e discontinuità irriducibili e reciprocamente mediate – cosa che costituisce l'occasione per una critica dialettica della terza regola del metodo cartesiano e della sua lunga storia di effetti: il postulato del progresso continuo e scaglionato nella produzione della conoscenza oggettiva (Classe 14) .

La critica di Adorno al postulato cartesiano della continuità nell'esperienza degli oggetti è modulata in modo da accogliere l'espediente critico di De Maistre contro Francis Bacon – cosa che dà a Theodor W. Adorno la possibilità di toccare un nucleo tematico importante della sua dialettica. Sotto il segno dell'impegno materialista per il “primato dell'oggetto”, Adorno si permette di considerare, dalla dialettica tra continuità e discontinuità, l'articolazione tra critica immanente e trascendente e, da lì, la questione del rapporto tra conoscenza e "nuovo". In questo itinerario diventa possibile risignificare, a partire dal modello di una “dialettica aperta e interrotta”, il tema hegeliano del “salto dalla quantità alla qualità” nei termini dell'idea di un riordino dialettico dei concetti, provocato da la scoperta, nel corso del processo esperienziale, delle sfaccettature inedite dell'oggetto (Classe 15).

Theodor W. Adorno conclude le sue riflessioni cartesiane discutendo di come Kant e le filosofie che lo seguirono attuino e radicalizzino il postulato di completezza formulato da Descartes e forgiato, invece, sotto l'ispirazione della catena conoscitiva proveniente dalla matematica. Sullo sfondo di questa storia classica del concetto moderno di sistema, Adorno esplora l'interazione tra universale e particolare intesa dal suo concetto di “modello”, in contrasto con gli sforzi contenuti nel concetto weberiano di “tipo ideale” e nella nozione , sviluppato dalla fenomenologia di Husserl, di “intuizione delle essenze” (classe 16).

Tutto ciò crea il contesto per un'inflessione che occuperà l'intero ultimo quarto di lezione a Introduzione alla dialettica – un riorientamento che parte da un approccio critico alla versione contemporanea, analitica e logico-positivista del concetto di sistema: il quadro di riferimento (Classe 17). Per inciso, la considerazione delle trasformazioni vissute dalla nozione borghese di sistema consente non solo un recupero illuminante, di fronte agli attuali atteggiamenti epistemologici e prevalentemente amministrativi, delle nozioni dialettiche di mediazione, verità e critica immanente, ma innesca anche il movimento ultimo nella sinfonica Adorniana propedeutica alla dialettica: critica dialettica delle forme logiche tradizionali (classe 18).

La critica dialettica, proposta da Adorno, della concezione logica della definizione, che parte, come in Wittgenstein, da una tensione tra i suoi significati deittici e verbali, conduce, come in altri sviluppi di Adorno, a una riflessione di ampie conseguenze sul linguaggio, nonché sulla relazione “inferenziale” e “contestuale” di concetti singolari nei termini del famoso ed inesauribile concetto di “costellazione”. In questo esercizio di critica dialettica del nominalismo moderno, la dialettica si intravede ancora una volta, dal punto di vista della storia della filosofia, come il tentativo, riscattato dal suo fallimento idealista, di proporre un'articolazione non riduzionista tra nominalismo e realismo.

Ecco che, ponendosi nella tradizione della “grande filosofia” (Kant, Hegel e Nietzsche, come dice Adorno) che critica la concezione operazionale della definizione, attribuendole lo svuotamento degli inscindibili contenuti storici costitutivi dei concetti, le energie sono rinnovato dal modello Adorniano a una discussione materialista sulla struttura dialettica del linguaggio ea una rivisitazione della critica della stagnante opposizione tra ontologia e positivismo (classe 19).

Il cammino tracciato da Theodor W. Adorno, che dovrebbe svolgere il ruolo sia di propedeutica alla dialettica sia di modello della dialettica “aperta e interrotta”, non poteva infatti trovare una conclusione più aperta. Nell'ultima tappa della sua riflessione, la critica delle forme logiche tradizionali è preceduta dalla tematizzazione del rapporto tra “concetto” e “costellazione” dal punto di vista della “presentazione” (Rappresentazione), cioè gli interventi del linguaggio nei concetti reificati. Così, dopo aver esplorato le conseguenze più ampie della sua critica dialettica del nominalismo, che ruota attorno all'aspettativa di ridare vita ai concetti singolari – l'oggettività residua che in essi era stata repressa – riconquistando le configurazioni e le costellazioni in cui confluiscono e che riproducono attraverso il loro gioco reciproco, Adorno riprende la critica dialettica di quelle forme logiche lasciate in eredità dalla tradizione filosofica.

Theodor W. Adorno recupera e dispiega il tema hegeliano del carattere inappropriato del giudizio singolare come espressione della verità e, con ciò, della non identità implicita in ogni proposizione predicativa e della negatività costitutiva della verità stessa, ponendosi così nel contesto delle critiche post-hegeliane all'autosufficienza di λόγος άποφαντικός. Passa quindi alla sua ricostruzione dialettica della teoria dell'inferenza. “Credo che una riformulazione della critica dialettica dell'inferenza [chiusura] sarebbe un compito essenziale per la nuova logica dialettica. Non è stato ancora, almeno non nel modo in cui lo rappresento, intrapreso finora” (Classe 20).

È interessante notare che Theodor W. Adorno indica una riformulazione della "teoria dell'inferenza" in termini di nozioni di "presentazione" e "costellazione". Inoltre, nella sua discussione, Adorno cerca di riconfigurare l'inversione hegeliana del rapporto tra le dimensioni logiche così come è plasmato dalla “logica aristotelica dei termini”: non dal concetto al sillogismo, passando per la proposizione, bensì l'opposto . La "deduzione è la verità del giudizio, e tutte le cose sono la deduzione".

Adorno si rivolta contro il carattere assiomatico della teoria tradizionale del sillogismo e della sua gerarchia proposizionale. Nel pensiero che il concetto singolare non esiste come istanza basale e isolata, ma acquista il suo significato propriamente detto solo nella proposizione e, in definitiva, nella “costellazione”, troviamo il compromesso “contestualista” e “inferenzialista”, non atomista e non assiomatico, non solo della dialettica autentica, ma anche, curiosamente, del “superamento” pragmatico ed ermeneutico della semantica formale e del referenzialismo nel XX e XXI secolo. Può darsi, allora, che le innovazioni recentemente proposte dall'“inferenzialismo materiale” di ispirazione hegeliana servano ancora per una futura esplorazione della ricchezza apparentemente inesauribile presente nella concezione Adorniana di “costellazione”.

Dedico questa traduzione a Marcos Lutz Müller, in memoriam.

*Erick Calheiros de Lima Professore presso il Dipartimento di Filosofia dell'Università di Brasilia (UnB).

Riferimento


Theodor W. Adorno. Introduzione alla dialettica. Traduzione: Erick Calheiros de Lima. San Paolo, Unesp, 2022, 520 pagine (https://amzn.to/47vk4Bj).

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