Thomas Mann

Immagine: Thyago Nogueira (Jornal de Resenhas)
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da MARCO VINICIO MAZZARI*

Commento all'opera dello scrittore tedesco

Quando Thomas Mann sbarcò nel porto di New York nel 1938 dopo un primo esilio in Svizzera e Francia, le sue prime parole davanti a una telecamera furono: La democrazia vincerà. Sotto l'egida di questo messaggio, la città di Monaco, dove l'autore del Buddenbrook vissuta dal 1894 al gennaio 1933, propone fino all'inizio del 2021 una mostra sulle varie tappe della traiettoria del premiato: gli anni formativi nel nord della Germania, come figlio del mercante e senatore di Lubecca Thomas Johann Heinrich Mann e del brasiliano Julia da Silva-Bruhns (soprannominata Dodo); la fase conservatrice e nazionalista, che lo portò ad accogliere con favore la dichiarazione di guerra di Wilhelmina Germany; trasformazione in un intransigente difensore della democrazia e della Repubblica di Weimar; antifascista e uno dei più importanti nemici di Hitler; l'intenso lavoro letterario e politico nella sua “casa bianca dell'esilio” in California (Pacific Palisades), dove i suoi discorsi antinazisti e il romanzo monumentale Dottor Faust; e gli ultimi anni come portavoce dei valori democratici, che lo renderanno bersaglio della persecuzione maccartista, costringendolo a voltare le spalle agli Stati Uniti nel 1952 ea cercare nuovamente rifugio in Svizzera.

Una biografia, dunque, che ha preso una decisa via democratica, come illustrano innumerevoli prese di posizione e dichiarazioni di Thomas Mann – per esempio, queste parole a un giornalista americano che lo intervistò nel 1941: “Non “America first”, ma “Democracy first” e “Human dignity first” è lo slogan che porterà davvero l'America al primo posto nel mondo".

Non sarebbe difficile dedurre da questa traiettoria politica che, oggigiorno, Thomas Mann non potrebbe non essere allarmato dall'emergere di Donald Trump, Jair Bolsonaro e altri populisti (e “negazionisti del clima”) che contraddicono in tutto e per tutto i tratti del leader onesto e responsabile che, nel campo di Realpolitik, che vedeva in Franklin D. Roosevelt (con il quale ebbe contatti personali) e che, in ambito mitico-letterario, si concepiva nella figura biblica del “fornitore” Joseph, nella tetralogia Giuseppe e i suoi fratelli (1933-1943), la cui scrittura è guidata anche dall'obiettivo di “togliere il mito dalle mani del fascismo intellettuale e modellarlo alla sfera umana”, come espresso in una lettera del settembre 1941 al filologo e mitologo Karl Kerényi.

Non sarà certo esagerato affermare che il fenomeno del fascismo, che purtroppo non si limita alle catastrofi del Novecento, ha trovato nell'opera di Thomas Mann una delle sue rappresentazioni letterarie più espressive e sfaccettate. In tal senso, il Dottor Faust, scritto tra il 1943 e il 1947, costituisce un apogeo, non solo nell'ambito della sua opera epica, ma di tutta la letteratura tedesca. Tuttavia, 17 anni prima della pubblicazione di quel romanzo, apparve il romanzo ambientato nell'Italia di Mussolini – e “così tragicamente profetico”, nelle parole di Anatol Rosenfeld. Mario e il Mago, una delle prime opere in tutta la letteratura mondiale a cogliere, anche se in gran parte intuitivamente, l'avvento e l'ascesa del fascismo.

Ma Thomas Mann ci ha lasciato anche uno straordinario insieme di discorsi e testi antifascisti, come i 58 discorsi che scrisse tra il 1940 e il 1945 per essere trasmessi in Germania dalla BBC di Londra, poi pubblicati con il titolo Deutsche Hörer!: “ascoltatori tedeschi!”, invocazione e apostrofo con cui iniziavano le allocuzioni. In questo set, Bruder Hitler ("Fratello Hitler"), scritto nel 1938 e pubblicato un anno dopo in traduzione inglese (Quell'uomo è mio fratello), occupa una posizione singolare, poiché concentrandosi sulla personalità di Adolf Hitler – nome che però non viene mai pronunciato – il saggio si fa guidare da principi e concetti estetici, prescindendo dalle argomentazioni più propriamente politiche che ritroviamo in testi come come “Appello alla ragione”, “Della futura vittoria della democrazia”, “Confessione per il socialismo” e molti altri.

Già il primo passo del saggio va in questa direzione: l'odio profondo che Thomas Mann nutre per l'abietto criminale (che Bertolt Brecht, a vario titolo, chiamò Anstreicher, "pittore murale") deve essere superato da qualcosa di più produttivo: "l'interesse", che fornisce la contemplazione libera, ampia e alta che il romanziere ha sempre associato al procedimento più caratteristico della sua opera epica: "l'ironia".

In questa prospettiva, Adolf Hitler è visto non come radicalmente “Altro”, ma ironicamente e a livello di “angoscia” (Verhunzung, termine centrale nel saggio) come un “fratello” – un “fratello”, come sappiamo dalla biografia di Hitler, che ben presto si avvicinò al disegno e alla pittura, anche se le sue poche produzioni non superarono mai il livello della mediocrità. Nell'ambito di questa argomentazione basata su un'insolita “fraternità”, il saggista torna agli anni giovanili del suo “doppio” viennese: un'esistenza precaria e bohémien in ostelli e alloggi economici, nutrita dall'entusiasmo per le opere wagneriane e dal sentimento di essere nato per qualcosa di “grande”, sognato fin dall'inizio nell'ambito di una carriera artistica.

All'indolente giovane di Braunauam Inn (Austria settentrionale) manca però, oltre al vero talento, la disciplina che, nel caso del giovane Thomas Mann, gli permise di portare a termine un romanzo delle dimensioni di Buddenbrook. Dopo successivi fallimenti nell'affermarsi come pittore (tra questi, due fallimenti all'Accademia di Belle Arti di Vienna), e altrettanto incapace, secondo il saggista, di qualsiasi occupazione utile, Adolf Hitler prende la decisione di diventare politico, come egli stesso spiega nello stralcio del Mein Kampf (La mia battaglia, fine del capitolo VII), in cui riporta le circostanze in cui giungono alle sue orecchie le notizie della rivoluzione del 1918 e della proclamazione della repubblica il 9 novembre: “Ma ho deciso di diventare un politico” – frase fatale che Günter Grass parodia nel romanzo Il tamburo di latta (anche una straordinaria rappresentazione del fascismo) attraverso l'auto-narratore Oskar Matzerath, che smette di crescere all'età di tre anni: “[…] ho detto, ho deciso e ho deciso di non essere un politico in nessuna circostanza e, ancor meno, negozio di alimentari, mettendola fine e rimanendo com'era: e così sono rimasto, con la stessa statura e con quella stessa presentazione, per tanti anni”.

Inizia così una carriera per Hitler basata interamente sulla demagogia, l'odio e la propagazione di ciò che oggi è noto come notizie false; una traiettoria che potrebbe forse ricevere, ancora una volta a livello di deturpazione, l'attributo “genio”. La carriera si rivela incredibilmente fortunata, sembra uscita da una “favola meravigliosa” dei fratelli Grimm, in cui tutti gli ostacoli vengono superati dall'eroe sofferente che alla fine conquista la principessa e il regno, o da HC Andersen , come “Il brutto anatroccolo”. Come spiegare il clamoroso successo del ciarlatano wagneriano, l'istrionico demagogo alla cui ipnosi cominciarono a soccombere milioni di tedeschi?

L'onore ferito, il complesso di inferiorità di una nazione sconfitta nella Prima Guerra e sottoposta alle dure condizioni del Trattato di Versailles si mescolano, argomenta Mann, con “il risentimento insondabile e la sete di vendetta pustulenta di una serie inutile, incapace, fallita dei tempi, estremamente pigro, inadatto a qualsiasi tipo di lavoro, condannato all'eterno fallimento, artista dilettante frustrato, un vero disgraziato”.

E questa creatura, in fondo mediocre, riesce a porre un intero popolo “dalle gloriose tradizioni culturali”, citando ancora A. Rosenfeld, sotto il dominio dei suoi ipnotici occhi azzurri e della sua velenosa retorica, facendo rabbrividire le masse”salvezza” all'unisono e alzano il braccio destro, in perfetto unisono, per il saluto nazista. “Dopo tutto, qual è la differenza”, si chiede Thomas Mann dopo aver fatto riferimento a un recente documentario sulle danze eseguite dai balinesi in trance, “tra rituali di questo tipo e ciò che accade in una concentrazione di massa, di natura politica, in Europa ?” La risposta è: solo la differenza tra esotismo e abiezione.

Di estrema “abiezione” è anche lo spettacolo offerto dal mago Cipolla in Mario e il Mago. È noto che il vero modello per la concezione di Cipolla era il illusionista e prestidigitazione Cesare Gabrielli (1881-1943), di cui lo scrittore conobbe in prima persona la potente arte ipnotica nel 1926, durante le vacanze estive trascorse con la famiglia nella località toscana di Forte dei Marmi. In questo piccolo capolavoro romanzesco, Thomas Mann ci mostra come l'ipnosi praticata da Cipolla-Gabrielli si inserisca in quel tipo di arte che, nel saggio su Hitler, si caratterizza come innaturalis, come magia nera.

Riconoscendo gli adepti di quest'arte, primo fra tutti il ​​“pittore murale”, ma anche un Joseph Goebbels, araldo di una futura arte tedesca “eroica, ferocemente romantica, non sentimentale” – ricordando questo abominio tanto ammirato da Roberto Alvim, allora segretario cultura del governo Bolsonaro – e autore del romanzo di formazione Michael, completato nel 1924 e pubblicato cinque anni dopo: affrontare tali genocidi come "fratelli" è possibile solo nel contesto di un'argomentazione articolata attorno al concetto di deturpazione, di perversione. E anche un argomento in cui l'“interesse” ha la precedenza sull'“odio” nello sforzo di conoscere più a fondo il terreno del nemico.

Questa procedura ovviamente non era reciproca, in quanto Thomas Mann divenne uno dei principali bersagli della macchina dell'odio (e di notizie false) nazista. Un solo esempio: nel 1932 il giornale Der Angriff (The Attack), ideato da Goebbels, inveì contro Thomas Mann per il suo sangue “brasiliano”, ereditato dalla madre Julia da Silva: diavolo altro cosa – che questa miscela non può più nominare uno scrittore e poeta tedesco”. (Non è difficile capire cosa significhi questo "l'inferno sa cos'altro"...)

Per quanto riguarda l'autore di Montagna Magica, superando l'odio nel saggio in questione e scrutando in sé i tratti del “fratello” degenerato, riconosce anche il pericolo, che lo perseguitava nella sua fase conservatrice e nazionalista, di divenire suscettibile a tendenze ideologiche che convergerebbero verso il nazional- socialismo. In questo modo la figura del “fratello” antagonista gli fornisce una più profonda conoscenza di sé, in particolare nella sua condizione di “artista”, che il diavolo, nel colloquio con il compositore Adrian Leverkühn (capitolo XXV del Dottor Faust) si caratterizzerà come “fratello del criminale e del folle”.

Anche nella biografia di Thomas Mann la figura del fratello antagonista ha profonde radici, basti ricordare che il movimentato trattato Considerazioni di un apolitico (1918) rappresentò in gran parte una crociata contro le posizioni democratiche, radicate nelle tradizioni francesi, del fratello maggiore Heinrich Mann, autore del romanzo Professor Unrat (girato nel 1930 come l'angelo azzurro) e straordinari saggi su Émile Zola e Gustav Flaubert. La riconciliazione tra i fratelli iniziò nel 1922, anno in cui il più giovane pubblicò una veemente difesa della Repubblica di Weimar e della democrazia: “A proposito della Repubblica tedesca”.

Poi, la rivalità che si era riflessa anche sul romanzo che valse a Thomas Mann il Premio Nobel nel 1929 comincia a svaporarsi: nell'episodio in cui i fratelli Thomas e Christian Buddenbrook si danno da fare in un violento litigio mentre il corpo della madre viene preparato per la veglia funebre nella stanza accanto. Poi l'esemplare borghese Thomas, con la sua vita guidata da un'etica del lavoro disciplinata, dice al fratello bohémien: “Sono diventato quello che sono perché non volevo diventare come te. Se, in fondo, ho evitato il tuo contatto, è stato perché avevo bisogno di guardarti, perché la tua essenza e natura rappresentano un pericolo per me…”.

Molto più che un semplice "attenti" al "fratello Hitler", Thomas Mann divenne uno dei suoi principali nemici, non solo nel Leader così come il fascismo in generale. In questo saggio il nemico Hitler viene portato nel campo in cui cercò di affermarsi durante gli anni incerti e bohémien della sua giovinezza viennese. (“Il Führer ama gli artisti perché lui stesso è un artista”, dirà anche Goebbels in uno dei suoi discorsi contro “l'arte degenerata”.) Proprio per questo il saggio può concludere esprimendo la fiducia che l'incantesimo ipnotico celebrato nel i tribuni fascisti sarebbero un giorno cancellati dalla carta geografica, che l'“arte” manipolatrice di Hitler o Mussolini – anche quella del mago Cipolla, a cui Mario pone violentemente fine – non sarebbe più possibile in futuro.

Sintomaticamente, le parole con cui il grande romanziere conclude il saggio sono l'opposto di quell'odioso proclama di Goebbels, plagiato da un alto funzionario brasiliano: “Mi piacerebbe credere, anzi, sono certo che verranno tempi in cui l'arte senza limiti morali o intellettuali, l'arte trasformata in magia nera o in un prodotto istintivo, irrazionale e irresponsabile, sarà tanto disprezzata quanto venerata nei nostri tempi poco umani”. E poi segue, come punto di chiusura, l'annuncio di un'arte veramente umana, basata sull'idea di mediazione e di spirito, che in sostanza sarebbe già la stessa cosa: “L'arte del futuro si manifesterà e affermerà, in modo più noto e felice di quanto avvenuto fino ad oggi, come incanto luminoso, come mediazione – alata, ermetica, lunare – tra spirito e vita. E non dimentichiamolo: la mediazione è già spirito”.

Che questi tempi migliori, senza posto per l'arte decantata da un Joseph Goebbels, non arrivassero con il crollo del nazionalsocialismo, questo divenne presto chiaro a Thomas Mann. Per questo scriveva in una lettera dell'aprile 1947 che il clima avvelenato dal fascismo, contro il quale la telenovela Mario e il mago rappresentò una prima azione di combattimento, “non fu completamente eliminata dalla guerra”.

Se l'ideologia dell'odio, dunque, ha continuato a prosperare dopo il 1945, non sorprende che Thomas Mann ne sia rimasto uno dei bersagli principali, come testimonia anche Günter Grass, in un testo del 1980 (“Come scrittore sempre anche contemporaneo ”) , ricordando l'odio che ribollì in parte della critica e dell'opinione pubblica quando Thomas Mann tornò dall'emigrazione (ma solo “in visita”, senza Restituzione nel suo paese natale), “con il romanzo Dottor Faust e leggere i Leviti ai Germani” (wieviel Geifer in deutscher Kritik aufkochte, come Thomas Mann mit seinem Roman Doktor Faustus aus der Emigration zwar nicht heimkehrte, wohl aber zurückkam und den Deutschen die Leviten las).

Fino alla sua morte, avvenuta il 12 agosto 1955, il romanziere sperimentò a più riprese, insieme a campagne diffamatorie contro di lui, l'odio per la cultura, la democrazia e lo “spirito”, per citare la parola che conclude il saggio “Fratello Hitler”. Un odio, va notato, che ancora oggi prospera con particolare intensità in alcuni Paesi, come dimostrano tra noi, ad esempio, i violenti attacchi che Abraham Weintraub – ministro dell'Istruzione! – sistematicamente diretti contro le “scienze dello spirito”: Studi umanistici, come il linguaggio di Goethe chiama le scienze umane.

La lotta all'odio che portò all'avvento di un Adolf Hitler continuò a guidare la vita postbellica di Thomas Mann e, come tale, non sorprende che i suoi ultimi due grandi saggi, dedicati a Friedrich Schiller e Anton Cechov, difendano anche l'espressione senza compromessi dello “spirito” democratico e di mediazione che si oppone a ogni forma di fascismo. In questa prospettiva, il romanziere ottantenne prossimo alla morte chiude il suo saggio su Cechov con un commovente elogio della forza umanizzante dell'arte – l'arte del raccontare – e al contempo ribadisce la sua fiducia nel superamento di tali condizioni meno che umane. : “Eppure, si lavora, si raccontano storie e la verità si plasma nella cupa speranza, quasi nella fiducia che la verità e la forma serena possano agire sull'anima in modo liberatorio e che possano preparare il mondo a un mondo migliore, vita più bella, più giusta allo spirito”.

* Marco Vinicio Mazzari Professore di Teoria letteraria all'Università di São Paulo. Autore, tra gli altri libri, di La doppia notte dei tigli: storia e natura nel Faust di Goethe (Editore 34).

 

Riferimenti


Ausstellung [Mostra] LA DEMOCRAZIA VINCERÀ!TOMMASO MANN:

https://www.literaturhaus-muenchen.de/ausstellung/thomas-mann-2/

MANN, Tommaso. "Bruder Hitler". In: Redenund Aufsätze4. Francoforte A. M., Fischer, 1990 (pagine 845 – 852), traduzione portoghese di Gilda Lopes Encarnação disponibile a:https://static.publico.pt/files/Ipsilon/2016-12-02/umpercursopol_thomas.pdf

ROSENFELD, Anatol: “Mario e o Mágico”, in; Thomas Mann. San Paolo, Editora Perspectiva, 1994.

 

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