Tre testi di Dostoevskij

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da SALETE DE ALMEIDA CARA*

Pensieri su "Il villaggio di Stepanchikovo", "Note invernali su impressioni estive" e "Il coccodrillo"

Un romanzo farsesco pubblicato nel 1859, che iniziò ad essere elaborato in Siberia; un diario di viaggio scritto tra il 1862 e il 1863 sui mesi di luglio e settembre 1862 trascorsi in Germania, Francia e Inghilterra; la versione del 1864 di un racconto satirico e fantastico incompiuto, con sviluppi indicati da annotazioni negli archivi russi. Cosa dicono questi testi in termini di prosa dello scrittore che torna a Pietroburgo nel 1859, dopo dieci anni tra prigione, lavori forzati e servizio nell'esercito russo in Siberia? [I]

Tradotta in Europa a partire dagli anni Ottanta dell'Ottocento, la prosa di Dostoevskij contribuì, soprattutto «nel decennio che precedette la prima guerra mondiale», ad acuire nei lettori europei la «crisi morale e [se] qualcosa come una premonizione della catastrofe imminente», per usare il parole di Erich Auerbach.[Ii] La soap opera siberiana lo è Il villaggio di Stepanchikovo e i suoi abitanti (dalle memorie di uno sconosciuto), il diario di viaggio è Note invernali sulle impressioni estive e il racconto incompiuto Il coccodrillo.[Iii]

 

1.

Nel diario di viaggio pubblicato a capitoli sulla rivista Vremia (Il tempo) [Iv] il tono delle conversazioni con il lettore nello svolgimento delle sue argomentazioni, che invitano alla riflessione, mette a nudo un insolito rapporto tra il narratore ei contenuti messi in discussione. Diciamo che, in un diario di viaggio, senza obbligo di costituire una trama, la trattazione di questi argomenti è condivisa come materia con una dimensione storica di tale grandezza e complessità che, proprio per questo, non è più possibile perderla di vista della decisione di come raccontare. “Sono ormai tanti mesi che voi, amici miei, mi chiedete di descrivere al più presto le mie impressioni all'estero, senza sospettare che, con questa richiesta, mi state semplicemente mettendo in un vicolo cieco. Cosa devo scrivere loro?

anch'io potrei! Questo difensore della nazionalità, della “patria” e delle radici cristiane del popolo, che scommise su uno zarismo riformatore e, arrestato nel 1849 per aver partecipato a un gruppo di liberali, abbandonò in carcere la superiore condiscendenza verso i servi della gleba, consueta tra gli occidentali ,[V] non passò indifferente alle miserabili masse esposte per le strade di Londra e nascoste nelle strade di Parigi. Da qui è certamente nata la sua polemica con il movimento populista russo, che cercava di conciliare la società moderna e la primitiva comunità rurale dell'epoca.

Viaggiando per l'Europa in treno con il suo taccuino e occasionali contatti con un passeggero, dimostra di sapere benissimo di cosa vuole occuparsi e, soprattutto, come lo farà. "Ma al punto, al punto!" Il narratore non è un turista ansioso con la sua guida in mano, in “angoscia senza oggetto”. Dal primo all'ultimo dei nove capitoli, il suo oggetto si infittisce. Vale a dire, vuole pensare in modo comparativo ai diversi funzionamenti dell'ordine borghese comune a Parigi e Londra (che vede con disgusto e apprensione) e alla modernizzazione capitalista nella Russia patriarcale impregnata di idee europee, risultando in quelle che chiamerà "fantasmagorie". “Una mosca vola e pensiamo già che un elefante sia stato portato lì. Inesperienza della giovinezza, più fame” e la sottomissione dei servi contadini al giogo tirannico e alle punizioni corporali. I proprietari terrieri rurali (con i quali simula anche la conversazione), spesso persone di abitudini semplici, sembrano vicini ai muzhik.

Nel primo capitolo, una domanda punta alla sfida: come raccontare e qual è il ruolo del narratore? “Cosa devo rappresentare per te? Un panorama, una prospettiva? Qualcosa che vola come un uccello?". Oppure: “Ma, amici miei: vi avevo avvertito, già nel primo capitolo di queste note, che forse vi stavo predicando terribili bugie. Quindi non disturbarmi. Sai bene per certo che se mento, sarò comunque sicuro di non mentire. E, secondo me, questo è più che sufficiente. E in tal caso, permettetemi di esprimermi liberamente”. In questo modo, prende le distanze dalla pretesa di fedeltà alla facciata realistica, comune in schizzi giornalistico. Il motivo della bugia passa attraverso gli appunti di viaggio (“Non posso darti informazioni esatte. Devo necessariamente mentire qualche volta, e quindi…”).

Egli osserva, trae le sue conclusioni e suggerisce che eventuali bugie e colpi di scena narrativi potrebbero essere imputati a stati d'animo personali e malesseri psichici, causati dal sentimento di inferiorità di un “patriottismo ferito”. Ma avverte: "Tuttavia, non si dovrebbe concludere da ciò che il patriottismo nasce solo in caso di maltempo". Qualche lettore potrebbe anche attribuire ciò che scrive su Londra e Parigi alle “sciocchezze malate” dello scrittore. Nel capitolo 5 ("Baal") la ragione della menzogna rivela la sua natura fittizia: "Ho formulato una definizione di Parigi, ho scelto un epiteto per essa e ho insistito su di essa". [Vi] Sottolineando il significato dei riferimenti alle stazioni meteorologiche, scelti per il titolo, sfida il lettore a seguire le sue “immagini arbitrarie, e anche fantasticherie”.

Prima di iniziare il terzo capitolo ("E del tutto superfluo") avverte: "Annoiatevi con lui tutti voi, e il resto potrebbe includerlo come superfluo". La vita russa continua ad essere oggetto dei suoi “pensieri oziosi”. Riferimenti ad autori, al cosiddetto giornalismo progressista dell'epoca, allusioni meno o più cifrate a testi letterari, periodici, teatro e dialoghi ironici. A un certo punto espone il suo sentirsi straniero nel proprio paese, dove il progresso e una “vocazione civilizzatrice” implicano “una certa nuova e insolita ripugnanza” per il mondo popolare. Inoltre, dall'inizio alla fine, un contatore di casi.

La grande “fantasmagoria” e “mascherata” russa era già visibile in tempi passati nelle “giacche francesi” e negli “stivali tedeschi” su “gambe grasse e goffe che scivolavano in calze di seta”. Questi “trucchi terribili” non potevano passare inosservati, ma assicuravano la permanenza dell'oppressione sociale, rendendo difficile riconoscere che “abbiamo solo scambiato alcuni pregiudizi e bassezze con altri ancora più grandi”. E nota con ironia che, nella città di Pietroburgo, sembra addirittura che “siamo già pienamente europei e siamo cresciuti abbastanza”. Questi sono i tempi della "tirannia leggera" o "tutto senza pugni e ancora più successo". In quella marcia, potrebbe anche essere il momento di difendere “la necessità della tratta degli schiavi”, come i nordamericani nel Sud, ma… “sulla base dei testi”!

Nel primo paragrafo di “Invece di una prefazione” ha riconosciuto che non avrebbe avuto niente di nuovo da dire. "Chi di noi russi (almeno quelli che leggono le riviste) non conosce l'Europa due volte meglio della Russia?" Sottolineando l'ironia, uno di questi russi potrebbe essere il liberale progressista Matviéitch del racconto “Il coccodrillo” (scritto due anni dopo). In questo caso, l'illusione di un impiegato statale, chiuso nella pancia di un animale, e incapace di affrontare l'esperienza sociale degradata in cui è immerso. Crede fortemente nel felice incontro tra gli interessi del soggetto (“sono io, sono io” che posso sapere benissimo “cosa è più vantaggioso per me”) e quelli della società (“noi due ci uniremo con pari diritti” ), in un accordo portato avanti da una “amministrazione forte e solida”. [Vii]

La soddisfazione per la propria precarietà resa positiva, la "mascherata" e la "fantasmagoria" delle idee moderne formano un insieme nel materiale russo, dando un'esperienza "disuguale e combinata" con il progresso della civiltà borghese post-1848, che lo scrittore coglie in questi Note invernali. Dall'altra parte del mondo, la percezione critica delle impasse della modernizzazione capitalista di tipo brasiliano sarà anche incorporata nelle procedure formali della prosa realistica di Machado de Assis, studiata da Roberto Schwarz. [Viii] Non fa male ricordarlo già nelle cronache raccolte Aquarela (1859), Machado de Assis affermava di avere “lo scopo di delineare con tratti leggeri le forme più prominenti dell'individualità”, nei loro tratti nazionali, come “aberrazioni dei tempi moderni”. [Ix]

Il “tema dell'ordine” intreccia il diario di viaggio di Dostoevskij. Il procedere della vita pratica e mentale (un ordine disordinato o viceversa) implica desideri, fantasie e illusioni che spingono verso ciò che verrà. [X] «Be', sono a Parigi. Ma non pensare che ti parlerò della città in sé». A Parigi il formicaio umano sembra organizzato e anche il borghese sembra convinto che “tutto è assicurato”. Cosa significa quella “regolazione interiore, spirituale, nata dall'anima” e cosa può fare in una città che, come osserverai, nasconde “certi aspetti selvaggi, sospetti e allarmanti della vita” o, per dirla senza mezzi termini, nasconde “i poveri da qualche parte, in modo che non disturbino il loro sonno e li spaventino inutilmente”? A Londra il “tema dell'ordine” è il presupposto materiale del disordine apparente.

Il senso più profondo del disordine che vede a Londra, scavata nel fervore e nella turbolenza dell'industrializzazione, è esplicitato nell'Esposizione Universale (1862) all'Iron and Glass Crystal Palace: “una forza terribile unisce tutti questi innumerevoli uomini in un unico gregge, da tutto il mondo; si ha la coscienza di un mondo titanico; si sente che lì qualcosa è già stato realizzato, che c'è una vittoria, un trionfo”. Trionfo e paura di fronte a un “unico pensiero”, a un “unico gregge” opprimente e definitivo “giunto alla fine”, come “una profezia dell'Apocalisse che si avvera ai nostri occhi”. E chiede: come resistere e “non accettare ciò che esiste come ideale”?

Girando per la città descrive, con perplessità, immense e cupe feste dei lavoratori e delle loro famiglie (“schiavi bianchi”), con cibo e tanto bere a scapito di dolorosi risparmi, donne e bambini nel quartiere a luci rosse e High Casinò di mercato, dove vengono distribuiti volantini con propaganda religiosa, come fanno le missioni negli angoli poveri del pianeta. Le persone sembrano adattarsi a questo strano ordine del mondo. “A Parigi… Ma cos'è questo? Di nuovo, non sono a Parigi... Quando, mio ​​Dio, mi abituerò all'ordine?" E torna a Parigi, ancora una volta in conversazione con un presunto interlocutore. Vuole comprendere meglio la borghesia sotto Napoleone III e il significato paradossale dell'imposizione di un destino.

In “Saggio sul borghese” e “Continuazione del precedente” traspare la mascherata di Napoleone III nella città delle “fontanette” e delle fontane, che il narratore rivela in conversazione e domande al lettore (“tu”). Traspare “l'amore per l'eloquenza” che, provenendo da Luigi XIV, riconosce nella vecchia guida del Pantheon, nella bufala parlamentare sostenuta dall'apparizione di “suffragio universale”, nella dolce seduzione dei rapporti commerciali che avviluppano il cliente, nelle lusinghe ai potenti che danno in cooptazione e opportunismo, nella rappresentazione sempre enfatica di un presunto carattere nobile, nelle imposizioni di moda che “i datori di lavoro russi , nella lontana Pietroburgo, invidia all'isteria”. Mettendo tutto insieme, risplendono il progetto di “accumulare ricchezza” e oggetti come un “codice morale”, che acquistano “una certa aria, per così dire, sacra”.

Il borghese che, nel 1848, massacrò i suoi nemici di classe («li liquidò a fucili e baionette sulle barricate di giugno») «paga a caro prezzo questa prosperità e teme tutto». [Xi] Ma dai, riconosce il narratore, “è possibile che mi sbagliassi anche sul fatto che il borghese si rannicchi, che viva ancora nella paura di qualcosa”. Prospero ma rannicchiato e impaurito? "La condizione di lacchè penetra sempre più nella natura del borghese". Dopotutto, cosa preoccupa i borghesi sotto Napoleone III? “I sentenziatori”, gli “argomenti della ragione pura”, gli operai, i contadini, i comunisti, i socialisti? I loro argomenti portano agli ultimi due. Il socialista, invece, non può fare nulla se all'uomo occidentale manca un “principio fraterno” che richiederebbe di rinunciare “solo a una particella della sua libertà individuale”.

Smantellando il richiamo dei motti libertà, uguaglianza e fraternità, soggetti a principi economici e individuali, sottolinea che il primo dipende dal potere del denaro, il secondo (uguaglianza davanti alla legge), in quanto praticato, dovrebbe essere considerato un "reato personale ” dal cittadino francese e il terzo, come convivenza tra uomini e natura, dovrebbe crearsi con lo sviluppo della personalità “in un grado superiore a quello che oggi si definisce in Occidente”. Tuttavia, si corregge presto da solo. “Ma che utopia, signori! Tutto basato sul sentimento, sulla natura e non sulla ragione. Ma questa sembra addirittura un'umiliazione della ragione. Cosa ne pensi? È utopia o no?

Come taglio storico, c'è la vittoria dei borghesi nelle stragi di giugno: si sentiva “l'unico sulla terra”. In questo senso, i borghesi furono salvati da Napoleone III, che “cadde loro dal cielo, come unica via d'uscita dalle difficoltà e unica possibilità del momento”. Da allora teme, minacciato dalla perdita di una prosperità che richiede genuflessione ai potenti, il servilismo e la superficialità nell'affrontare i problemi del mondo. "Non ridere, per favore, ma cos'è il borghese di questi tempi?" L'affermazione “sebbene il socialismo sia possibile, non sarà possibile in Francia” è stata interpretata come una scommessa sul sentimento di fraternità insito nel fondamento cristiano russo. Tuttavia, l'intenzione critica di una possibile strategia autoriale, nel romanzo siberiano e anche nel racconto (seppur incompiuto) degli anni Cinquanta e Sessanta dell'Ottocento, pone già questioni più complesse. [Xii]

Se non è troppo da vedere, e tenendo conto delle differenze, si potrebbe osare di ricordare il prologo di Herbert Marcuse a O 18 Brumaio di Luigi Bonaparte di Marx: “La coscienza della sconfitta e anche della disperazione fanno parte della teoria e della sua speranza. La frammentazione del pensiero – segno della sua autenticità di fronte a una realtà frammentata – determina lo stile di Il 18 Brumaio: contro la volontà di chi l'ha scritta, l'opera diventa alta letteratura. Il linguaggio diventa un concetto di realtà che, attraverso l'ironia, resiste all'orrore degli eventi. Di fronte alla realtà, nessuna fraseologia, nessun cliché – nemmeno quelli del socialismo. Nella misura in cui gli uomini tradiscono, vendono l'idea di umanità e massacrano o rinchiudono coloro che combattono per essa, l'idea in quanto tale cessa di essere pronunciabile; lo scherno e la satira costituiscono la vera parvenza della sua verità”. [Xiii]

 

2.

A Il villaggio di Stepanchikovo e i suoi abitanti (dalle memorie di uno sconosciuto) fu finalmente pubblicato nel 1859 nel periodico Anais da Patria, in due parti, senza suscitare interesse per la lettura e circondato dall'indifferenza. I critici dell'epoca giudicarono artificiale il romanzo, con trama sciolta troppo drammatizzata e umorismo forzato, accusando anche l'assenza di una discussione sull'argomento del momento, la liberazione e la sospensione delle punizioni corporali dei servi promesse da Alessandro II e che il scrittore supportato. Provvedimento che, nel 1861, avrebbe portato pesanti tributi ai contadini. [Xiv]

Nella proprietà rurale in cui si svolge la storia, il vortice un po' disordinato degli eventi può somigliare a un mondo capovolto, senza che vi sia nulla di libertario. Il narratore vi si reca invitato dallo zio vedovo, il colonnello proprietario che, in una lettera riservata, ha proposto il matrimonio alla governante dei suoi figli minacciata di sfratto. Viene a sapere, attraverso un contatto casuale, che forse si sta ordendo un complotto per sposare il colonnello e una ricca ereditiera. L'idea è venuta dalla famiglia Foma Fomitch Opiskin in collusione con la madre generale del colonnello Rostainev, che aveva una "adorazione mistica" per la famiglia. Nei due giorni in cui si svolgono le vicende, il narratore cercherà di comprendere (in che modo?) i termini del dominio esercitato dall'aggregato sul sottomesso padrone colonnello, sperando sempre di essere perdonato per l'egoismo di cui Fomá e la madre generala lo accusa.

Pensato inizialmente come un'opera teatrale, il procedimento in prosa ha come punto focale il fulcro narrativo. Nelle parole iniziali dell'Introduzione leggiamo: “Mio zio, il colonnello Yegor Olych Rostányev, essendosi ritirato, si trasferì nel villaggio di Stepanchikovo, che aveva ricevuto in eredità, e iniziò a vivere lì come se fosse stato per tutta la vita ... un proprietario terriero locale, il tipo che non lascia mai la sua proprietà. Quindi, utilizzando “una ricerca speciale”, supposizioni, versioni dello stesso Fomá e “hanno detto che”, un riassunto a lungo raggio al passato viene esteso da valutazioni psicologiche e comportamentali di diverse figure, in una retrospettiva che include anche coloro che non sono presenti nella trama narrata. Il narratore insiste nell'informare, distanziato: "Ecco com'è andata".

Un esempio del movimento di messa a fuoco narrativa è il capitolo sei della prima parte, "Del bue bianco e il Muzhik Kamarinsky". Il primo giorno in cui il narratore mette piede nella casa di suo zio a Stepanchikovo, e ancor prima di “avere l'onore di presentare al lettore il nuovo arrivato Foma Fomitch” nella sala da tè, una retrospettiva narrativa racconta la tortura a cui era solita sottoporsi la famiglia sottometti Falaliei, il “servitore. Fomá insegna al giovane servitore “la moralità, le buone maniere e la lingua francese”, controlla i suoi sogni e ridicolizza il suo interesse per una certa danza di “odioso muzhik”. L'onniscienza del narratore è una risorsa che intende garantire la "verità" della sua narrazione, che può essere vista in relazione ai sentimenti di terrore di Falaliei e anche all'aggregato ("Fomá ha giurato a se stesso che...", "Per lungo tempo volta Fomá Fomitch mi sono arrabbiato, ma…”).

L'oscillazione tra prima persona e onniscienza narrativa rende esplicita un'ambivalenza (di contenuto e di forma), esposta da una strategia autoriale, che si confronta così con la complessità della materia e del soggetto come tensione tra il contenuto dell'enunciato (l'esperienza sociale) e la sua formalizzazione. Questa tensione è implicita sia nella materia narrata, che gira su se stessa, sia nella duplice posizione del narratore che, in fondo, cerca di inquadrare le azioni e le idee dei personaggi sia come tipi individuali, in termini psicologici, sia come tipi., entrambi precari. Il risultato della prosa pone un problema formale, ponendo la narrazione impasse se stessi come parte del soggetto e della materia, vale a dire, le condizioni oggettive esposte in quella casa di persone alienate e nell'esplorazione diretta degli altri.

Lo sforzo del narratore per capire cosa sta accadendo a casa dello zio non elimina le sue pretese critiche, ma non raggiunge i fondamenti materiali (e soggettivi) dell'irrazionalità di cui è testimone. Il lettore andrà ai primi capitoli in possesso di informazioni sui retroscena della trama, sul passato di umiliazioni dell'aggregato Fomá (un “uomo memorabile”), e con le ipotesi del narratore sul personaggio – “Non potrei mai spiegare diversamente che non spiegare in anticipo al lettore il personaggio di Foma Fomitch come l'ho capito in seguito”.

Nell'Introduzione, il narratore invita il lettore a comprendere Fomá. “Riconosco che è con una certa solennità che annuncio questo nuovo personaggio. È senza dubbio uno dei personaggi più importanti della mia storia. Non spiegherò fino a che punto meriti attenzione: è più giusto e più degno che il lettore giudichi lui stesso una questione del genere”. Secondo lui, si tratta di un'autostima esacerbata come reazione all'essere “rifiutato dalla società” che, in alcuni casi, “nasce dalla più totale insignificanza” di qualcuno “offeso, represso dagli ardui fallimenti del passato”. A conferma della particolarità dell'autostima “infiammata” dell'aggregato, suggerisce: “Chissà: forse ci sono delle eccezioni, a cui appartiene il nostro eroe. Era davvero un'eccezione alla regola, che verrà spiegato in seguito.

A cosa servono le idee ammirate e accettate da tutti in casa ea che scopo servono? Principi umanitari, morali e religiosi; fantasia di nobiltà; inno alla natura; esaltazione della scienza, della cultura, della filosofia, della letteratura; promessa (portata da un “uomo alato”) di una futura opera letteraria che “avrebbe echeggiato per tutta la Russia”, prima che l'aggregazione andasse a nascondersi in un monastero a pregare “per la felicità della patria”: ecco alcune ossessioni esposte in istrionico scene interpretate da Fomá, con impareggiabile eloquenza e consenso generale (nel diario di viaggio, come si è visto, l'uso dell'eloquenza sarà considerato un ingrediente della modernizzazione operata da Luigi Bonaparte).

Lo stratagemma oltraggioso e opportunistico di Fomá per salvarsi la pelle confermerà definitivamente il consenso del suo comando. Il narratore ammette, con rammarico, che "il trionfo di Fomá è stato completo e indiscutibile" nell'accettare il matrimonio del colonnello con la governante. Tra quelli della casa, sarà sicuramente intronizzato, all'unanimità, come "il più nobile degli uomini", l'unico "studioso" sulla faccia della terra. “La gratitudine di coloro che aveva reso felici era infinita.” Di che felicità si tratta? Nella Conclusione, a colloquio con lo zio e apparentemente per fargli piacere, mette da parte la sua critica all'aggregato e preferisce concordare (“Ho parlato anche della Scuola Naturale; per concludere, ho anche recitato dei versi”). Sì, nelle "profondità" impenetrabili della "creatura più decadente" possono esistere i "sentimenti più alti".[Xv]

Se, a causa dei capricci e delle "sciocchezze" di Fomá, anche "il banchetto nuziale somigliava a una sepoltura", la devozione della coppia estremamente religiosa alla loro famiglia non viene intaccata, anche dopo la morte. “La storia è finita. Gli innamorati si riunirono e in casa il buon genio, nella persona di Fomá Fomích, cominciò a regnare sovrano. Qui si potrebbero dare molte opportune spiegazioni; ma in realtà tutte queste spiegazioni sarebbero ora del tutto superflue. Questa, almeno, è la mia opinione.

Così, senza il grado di ironia che, nel capitolo “E del tutto superfluo” del Note invernali su impressioni estive, esponendo il modo di narrare, chiede attenzione a ciò che viene narrato (“Ero troppo immerso negli scismi, pensando alla nostra Europa russa; (…) In effetti, non c'è motivo di chiedere troppo perdono. Ebbene, il mio capitolo è superfluo”),[Xvi] il narratore di Il villaggio di Stepanchikovo e i suoi abitanti rispetterà le regole prescritte da un modello di prosa che intende rendere conto “del destino di tutti gli eroi della mia storia”. E lo fa bilanciando prima persona e onniscienza narrativa.

Nell'assurdità normalizzata che, come si è scoperto, include i domestici come Falaliei, ci sono anche i muzhik che appartengono alla tenuta. Il fatto è che, con o senza le minacce di Fomá – la predicazione esaltata che “stupiva” ascoltava, i progetti scomodi di insegnare il francese, l'astronomia e le abitudini igieniche ai “brutalizzati” – la servitù rimarrà la stessa. Sempre con l'appoggio smagliante del buon colonnello. È bene ricordare che, se in quel momento nel paese era in discussione la liberazione dei servi, una volta liberati continueranno nella miseria più assoluta.

Cosa significa inserire la figura dell'aggregato nella “condizione di profeti, buffoni e parassiti”, caso situato a Stepánchikovo, come Fomá è stato trattato, di regola, dalla fortuna critica della telenovela? Il lettore è interpellato dalla domanda che attraversa questa telenovela siberiana: quale “eccezione” è, in fondo, quella attribuita all'umiliazione subita da un uomo di “sordida ignoranza” che diventa un “esperto” nell'arte di creare devoti? Cosa significa farsa come materiale e come verità della casa? Nella normalità di un delirio irrazionale e dottrinario, marcatamente abusivo, germoglia anche un orizzonte totalitario. Gli abitanti e gli ospiti di quella casa sarebbero stati precursori (e contemporanei) delle nuove “tirannie dalla mano leggera”, come sarà nel diario di viaggio che tratta di San Pietroburgo? “Tutto senza pugni o con ancora più successo”?

Si può dire che la costruzione di questo romanzo riguardi le sfide affrontate dallo scrittore per affrontare, nei termini dell'esperienza russa, la modernizzazione capitalista che è essa stessa, sempre e ovunque, alienazione ed esclusione, assurdità e realtà. Si tratta, quindi, di impasse storico-sociali e formali che rimandano alle opere a venire e al loro peculiare realismo letterario. [Xvii]

 

3.

O coccodrillo è un racconto incompiuto. Questa condizione limita una lettura analitica, ma porta indizi sui percorsi di questa satira. “È difficile scrivere una satira. Non solo perché la nostra situazione – che ne avrebbe bisogno più di ogni altra – prende in giro tutte le barzellette”, ha scritto Theodor Adorno. [Xviii] La satira in questo racconto tratta di "un sogno mostruoso", come dice il narratore. Nel primo capitolo siamo in una moderna galleria di Pietroburgo nell'anno 1865 (più precisamente “il tredici gennaio, alle dodici e mezzo”). L'«evento straordinario o Passaggio nel passaggio» era già stato precisato in epigrafe. “Resoconto veritiero di come un gentiluomo di età e aspetto noti fu inghiottito vivo e intero da un coccodrillo nel Passaggio, e cosa ne risultò'”.

Il narratore accompagna una coppia di amici, già stipati per vedere le novità in Europa, nella galleria dove è esposto un enorme coccodrillo, novità in un Paese dal “clima umido e inospitale”, oltre ad altri animali esotici portati da all'estero. L'amico è un impiegato statale e un uomo istruito. Solleticando il muso dell'animale, il malcapitato viene inghiottito vivo dall'animale. Di fronte alla terribile scena, il narratore pensa che "se tutto fosse successo a me e non a Ivan Matveitch, quanto sarebbe spiacevole".

Sempre nel primo capitolo, l'immediata preoccupazione del narratore è per le urla della donna, che sembra pretendere di percuotere l'animale quando, in realtà, chiede che le venga aperto il ventre. Sta di fatto che, nell'aula attigua, sta parlando un illustre conferenziere, e la parola bastonata, vietata nel paese di un'istituzione servile, potrebbe provocare “fischi da cultura e caricature”. La confusione attira infatti un signore “progressista” che rischia di essere “fischiato nella cronaca del progresso e nei nostri fogli satirici”, e viene buttato fuori dal locale dal tedesco proprietario degli animali. La coppia tedesca si dispera all'idea di perdere la propria fonte di reddito e vuole negoziare. Improvvisamente la voce ingoiata esce da quelle viscere.

Di umore aggiornato, è preoccupato per la reazione dei suoi superiori in dipartimento e concorda con il “principio economico” del titolare, tenendo conto della propria condizione “nei nostri tempi di crisi finanziaria”. Dà al suo amico istruzioni precise per intrattenere una conversazione educata con un impiegato anziano che è subordinato alla direzione. E siccome il coccodrillo è completamente cavo, come si saprà, pensa di fare un pisolino tra le sue coccole. Matviétch ha poi dato spiegazioni scientifiche, filosofiche, etimologiche e comportamentali del coccodrillo vivo con la sola carcassa, provocando la reazione del narratore: "Giuro che si vantava, un po' per vanità e un po' per umiliarmi".

L'assurdità assume una svolta doppiamente insolita nella conversazione del narratore con Timofey Seemyonitch, il funzionario designato. Poiché Ivan Matveitch può essere un moltiplicatore del valore del “coccodrillo straniero”, nello stimolare l'economia, è necessario coniugare interessi economici e procedure burocratiche affinché diventi utile al progresso del Paese. Il funzionario, invece, considera il suo collega Matviéitch un caso di devianza “progressiva” per “istruzione eccessiva”. “Noi, invece di proteggere il proprietario straniero, vogliamo aprire la pancia dello stesso capitale di base. Ora, c'è coerenza in questo? Timofiéi pensa ai “benefici risultati dell'attrazione di capitali stranieri in patria”.

Le proposte che discute con il narratore in relazione a Matviéitch sono supportate dalle sue posizioni. Di fronte alla pigrizia e all'ubriachezza dei muzhik protetti nelle proprietà collettive (difese dal movimento populista russo), scommette sul capitalismo, sulla creazione di una borghesia e sul libero mercato, in base al quale “il muzhik lavorerà tre volte tanto solo guadagnarsi il pane giorno, e sarà possibile cacciarlo via quando vorrà”. E sapendo che il prezzo di vendita del coccodrillo è in rialzo, l'impresa potrebbe valere la pena nonostante i rischi, nel caso dell'arrivo di nuovi coccodrilli che potrebbero portare a una nuova classe di dipendenti interessati a rimanere nel morbido ed esigente commissioni, senza lavorare.

Ivan Matveitch sarà entusiasta della prospettiva di una missione ufficiale con funzioni “sia dal punto di vista morale che scientifico”. Non vede alcun inconveniente nel restare lì, tranne che per il cashmere dell'abito di fabbricazione russa, che non resisterebbe ai mille anni che intende vivere. E ne conta i vantaggi: preminenza sociale, applausi della stampa, numero crescente di visitatori, tra i quali verrebbero sicuramente “le persone più colte della capitale, le signore dell'alta società, ambasciatori stranieri, giuristi e altri”, che daranno lui "una cattedra dalla quale istruirò l'umanità". Da “posto subalterno” nel dicastero al riconoscimento come possibile ministro degli Esteri o candidato a un posto di governo, esulta. Commenta il narratore: “Ciò che mi irritava di più era il fatto che, appassionato di orgoglio, avesse quasi del tutto smesso di usare i pronomi personali”.

Matviéitch ha anche progetti per sua moglie, con la quale crede che formeranno una coppia perfetta in termini di bellezza e intelligenza. Da “brillante signora letteraria”, raccoglieva, nel suo salotto, “scienziati, poeti, filosofi, mineralogisti itineranti, statisti”, tenendo una conferenza quotidiana che lui stesso teneva. Da parte sua, però, la quasi vedova, ambita e corteggiata fin dall'inizio di quella situazione, guarda alla possibilità di godersi gli splendori della vita e progetta di chiedere il divorzio.

La pubblicità del caso da parte della stampa, tanto attesa da Matviéitch (la recensione trova riferimenti a periodici dell'epoca) potrebbe occupare, a racconto finito, la funzione di coro che completerebbe la satira. La tendenza della stampa è quella di guardare con disprezzo il russo ed esaltare il coccodrillo. Per un quotidiano di cultura la questione è gastronomica: divorato vivo da un noto gastronomo della città, il coccodrillo – prelibatezza apprezzata all'estero – indica un ramo di fiorenti commerci.

Per un giornale di tendenza progressista, il coccodrillo straniero è salutato anche come stimolo per nuove fonti di guadagno e vittima di un russo grasso e ubriaco (“Senza preavviso, viene introdotto nella gola un coccodrillo che, naturalmente, non aveva altra scelta se non ingoiarlo”), il cui comportamento “ci distrae agli occhi dello straniero”. Altre informazioni si confondono con la notizia, confermando che “i russi sono testardi”.

 

4.

Due anni prima, durante un viaggio in Europa, intrecciando i suoi “sogni ad occhi aperti” sulle illusioni e credenze russe, Dostoevskij incontra la “lotta mortale” insediata in quella che sarebbe “in qualche modo una comunità”, nel cui futuro “forse gli stessi generali del progresso non hanno abbastanza fede”. Tuttavia, anche se “non del tutto soddisfatto dell'ordine che difende”, il borghese cerca di imporlo e di riparare “le sue crepe”. In tutti gli appunti di viaggio, Dostoevskij sottolinea e problematizza, per quanto possibile, i giudizi del narratore: "non aspettatevi che io cominci a dimostrare che la civiltà è da tempo condannata nello stesso Occidente", anche se i borghesi, "consapevolmente quasi", sono sicuro "che tutto deve essere così".

Alla voce 134 del Moralia minima, riferendosi alla difficoltà di scrivere una satira “quando la nostra situazione ne avrebbe bisogno più di ogni altra”, Theodor Adorno indica le direzioni dell'Illuminismo in epoca contemporanea: ironia generalizzata che “assume l'idea dell'ovvio”, in un dissonante “consenso” di coscienze e pratiche sociali. “Chi ha al suo fianco quelli che ridono non ha bisogno di prove”. È che il motore dell'ironia oggi è il "gesto privato dell'espressione 'Così è' (...) che il mondo rivolge a tutte le sue vittime". E la posizione dei soggetti (“quasi consapevolmente”? “Inconsapevolmente e istintivamente nell'orientamento vitale di tutta la massa?” suggeriva Dostoevskij) si costituisce nel “a priori forma formale di ironia (…) che diventa un accordo universale sui contenuti. In quanto tale, sarebbe l'unico oggetto degno di ironia e allo stesso tempo fa cadere la terra da sotto i piedi”.

I “tratti restaurazionisti” di un Karl Kraus verrebbero così dall'incontestabile enfasi sui giudizi fulminanti, rapidi e incontestabili – “tanto è rapida la consapevolezza del rapporto tra le cose” – su una “evidenza immediata e oggettiva”, un truismo riconosciuto come tale e, senza alcuna esitazione o dubbio, come tale condannato. Avendo “l'umanesimo come invariante”, Kraus parla di un mondo che crolla (e già la Prima Guerra lo sottolinea). La conclusione di Adorno, tenendo presente che "non c'è più alcuna crepa nella roccia dell'ordine costituito, dove l'ironico possa aggrapparsi", è che "contro la serietà mortale della società totale, che ha raccolto ogni istanza contraria ad essa, come come l'obiezione impotente che l'ironia una volta sedimentata, rimane solo la serietà mortale, la verità colta nel concetto.[Xix]

Nella già citata osservazione di Herbert Marcuse su Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte, dice che di fronte all'«orrore degli eventi» del 1848, e in una reazione imprevista, Marx colse, attraverso la satira e lo scherno di quella realtà, la «reale apparenza della sua verità», nei termini di «alta letteratura” (“Il linguaggio diventa concetto di realtà”), in cui l'ironia è utilizzata come risorsa. È quanto si può vedere nelle prose formali di Dostoevskij e Machado de Assis che rivelano, nella particolarità dei rapporti sociali nella periferia, la costituzione stessa della civiltà capitalista moderna, facendo riflettere sul suo funzionamento e sul suo cammino storico. [Xx] Andiamo, allora, ancora una volta, a due questioni decisive piantate, con ironia, in Note invernali sulle impressioni estive: “Come non accettare l'esistente come ideale”? “Ma che utopia, signori! Tutto basato sul sentimento, sulla natura e non sulla ragione. Ma questa sembra addirittura un'umiliazione della ragione. Cosa ne pensi? È utopia o no?

*Salete de Almeida Cara è un professore senior nell'area degli studi comparativi delle letterature in lingua portoghese (FFLCH-USP). Autore, tra gli altri libri, di Marx, Zola e la prosa realista (Studio editoriale).

Riferimenti


Fëdor Dostoevskij. Il villaggio di Stepanchikovo e i suoi abitanti (dalle memorie di uno sconosciuto). Traduzione: Lucas Simone. San Paolo: Editore 34, 2021.

Fëdor Dostoevskij. Il coccodrillo e le note invernali sulle impressioni estive. Traduzione: Boris Schnaiderman. San Paolo: Editora 34, 2000.

note:


[I] Gli anni della formazione sociale, politica e letteraria di Dostoevskij, la sua partecipazione a gruppi politici e letture di scrittori europei, l'interesse per il teatro e l'esordio con il romanzo epistolare "Pobre Gente" (1846) sono trattati da Joseph Frank, I semi della rivolta (dal 1821 al 1849), tradotto da Vera Pereira. San Paolo: Edusp, 1999.

[Ii] Cfr. Erich Auerbach, Mimesis. São Paulo: Editora Perspectiva, 6a edizione, 1a ristampa., p. 470.

[Iii] Il villaggio di Stepanchikovo e i suoi abitanti (dalle memorie di uno sconosciuto), Tradotto da Lucas Simone. San Paolo: Editora 34, 2021, 2a edizione/2a ristampa; Il coccodrillo e le note invernali sulle impressioni estive, traduzione di Boris Schnaiderman. San Paolo: Editora 34, 2000, 3a edizione. Nella prefazione al suddetto volume, Boris Schnaiderman suggerisce una relazione tra questi testi, memorie sotterranee, sempre del 1864, e i romanzi a venire. Cfr. Boris Schnaidermann, op. cit., pp. 8-11. Per Giuseppe Frank, Note invernali su impressioni estive è “il preludio a Ricordi sotterranei, o meglio, una bozza preliminare di quell'opera”. In Il villaggio di Stepanchikovo e i suoi abitanti,, il critico indica un'anticipazione di personaggi dei romanzi successivi, principalmente attraverso il pregiudizio della psicologia di Fomá Fomitch e del colonnello Rostanov. Cfr. Giuseppe Franco, Dostoevskij. Gli effetti della liberazione (dal 1860 al 1865), tradotto da Geraldo Gerson de Souza. São Paulo:, Edusp, 2002, p. 327. Cfr. Anche. Gli anni di prova (dal 1850 al 1859), tradotto da Vera Pereira. San Paolo: Edusp, 1999, p. 390.

[Iv] Nella stessa prefazione, Boris Schnaiderman ricorda che la rivista Il tempo è stato chiuso con l'accusa di cospirazione politica contro lo zar Nicola I. Lo scrittore ottiene l'autorizzazione per una nuova rivista, Epoca (La stagione), “dopo molte promesse di buona condotta politica”, dove pubblicherà O coccodrillo.

[V] Sui dibattiti degli intellettuali russi sull'europeizzazione della Russia a partire da Pietro il Grande e Caterina II, cfr. V. Guitermann, “Occidentalisti e slavofili”, traduzione di Homero Freitas de Andrade, in Storia della Russia. Firenze: Nuova Italia, 1973, pp. 190-218.

[Vi] Si riferisce a Baal come a un dio pagano, sinonimo di Belzebù (demone) e quindi un falso dio, o, come scrive Joseph Frank, “il dio incarnato del materialismo” a cui si era già avvicinato il giovane Dostoevskij, lettore di Balzac.

[Vii] Si tratta di un dialogo tra il narratore e Matveitch, incluso nelle bozze inedite del racconto (appendice nella traduzione di Boris Schnaiderman). Il soggetto sarebbe la stesura di un documento per portare sotto scorta la moglie del personaggio, che difende la coercizione come metodo. “Sta sporcando il mio nome”, si giustifica. E il narratore: “Allora dov'è il liberalismo? Significa che difendi l'ordine prevalente.

[Viii] Cfr. Roberto Schwarz, Un maestro alla periferia del capitalismo. San Paolo, Duas Cidades/Editora 34, 2000, 4a edizione. In Al vincitore, le patate, trattando del ruolo delle idee borghesi relativizzate tra “l'andirivieni dell'arbitrato e del favore” e, quindi, della “portata mondiale che hanno e possono avere le nostre stranezze nazionali”, suggerisce Roberto Schwarz: “Qualcosa di paragonabile, forse, a cosa stava succedendo nella letteratura russa. Di fronte a ciò, anche i più grandi romanzi del realismo francese sembrano ingenui. Per quale ragione? È precisamente che, nonostante la sua intenzione universale, la psicologia dell'egoismo razionale, così come la morale formalista, ebbero nell'impero russo l'effetto di un'ideologia "straniera", e quindi localizzata e relativa. Dall'interno della sua arretratezza storica, il paese ha imposto un quadro più complesso al romanzo borghese. La figura caricaturale dell'occidentalista, francese o germanofilo, spesso dal nome allegorico e ridicolo, gli ideologi del progresso, del liberalismo, della ragione, erano tutti modi per portare in primo piano la modernizzazione che accompagna il Capitale. Questi uomini illuminati si mostrano alternativamente pazzi, ladri, opportunisti, crudelissimi, vanitosi, parassiti, ecc. Il sistema di ambiguità così legato all'uso locale delle idee borghesi – una delle chiavi del romanzo russo – può essere paragonato a quello che descriviamo per il Brasile”. Cfr. “Idee fuori posto”, in Al vincitore le patate. São Paulo: Duas Cidades/Editora 34, 2000, 5a edizione, pp. 27-28. Cfr. anche Paolo Arantes, Sentimento della dialettica nell'esperienza intellettuale brasiliana (Dialettica e dualità secondo Antonio Candido e Roberto Schwarz). San Paolo: Paz e Terra, 1992, pp. 75-107.

[Ix] Cfr. “I fanqueiros letterari”, “Il parassita”, “L'impiegato pubblico in pensione”, “Il feuilletonist”, in Le migliori cronache di Machado de Assis, regia di Edla van Steen, selezione e prefazione di Salete de Almeida Cara. San Paolo: Editora Global, 2003, pp. 21-42.

[X] Sulle relazioni tra la figura del borghese e lo sviluppo capitalistico, attraverso analisi letterarie, cfr. Franco Moretti, Il borghese (tra storia e letteratura), tradotto da Alexandre Morales, San Paolo: Três Estrelas, 2014.

[Xi] Durante la monarchia di Luís Felipe il malcontento accumulato dalla fame, dalla miseria e dalla disoccupazione esplode nel giugno del 1848 nelle barricate di Parigi, barbaramente represse. Il regime autoritario del Secondo Impero di Napoleone III fu instaurato con il colpo di stato del 1851 dicembre XNUMX. The Economist, da Londra, il capitalismo competitivo saluta Luigi Napoleone come il grande protettore della Borsa europea. "Il presidente è il custode dell'ordine, ed è ormai riconosciuto come tale in tutte le borse europee", si legge nel quotidiano. Il capitalismo finanziario con le case bancarie e la Borsa (una “aristocrazia finanziaria” già insediatasi negli anni 1848-1850, come mostra Marx in 18 Brumaio di Luigi Bonaparte), tarda industrializzazione, esplorazione mineraria, costruzione di ferrovie, spedizioni colonialiste e progetto di urbanizzazione di Parigi. . Il progresso stava scavando l'abisso tra operaio e borghese, che Napoleone III cercò di ammorbidire con misure liberali tra il 1864 e il 1870. Il II Impero finì nel 1870, con la guerra franco-prussiana. Nel 1871 ci fu la Comune di Parigi e la prima crisi capitalistica mondiale tra il 1873 e il 1896. Cf. Carlo Marx, Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte, traduzione di Nélio Schneider. San Paolo: Boitempo, 2011.

[Xii] Dolf Oehler ha esaminato le diverse, e spesso ambigue, risposte della generazione di intellettuali e scrittori europei al massacro degli insorti del giugno 1848, che ha lasciato il posto all'aperta manifestazione dell'odio di classe e al "chiacchiericcio" della fraternità" (Marx) . Riferendosi al capitolo “Saggio sul borghese” di Dostoevskij, ravvisa analogie con il giudizio di Renan, per il quale “la borghesia comprende perfettamente la libertà, in parte l'uguaglianza, ma ignora completamente la fraternità'” e, da questo paragone, afferma anche che per Dostoevskij “'l'individuo dell'Europa occidentale', a differenza dell'uomo russo, è incapace di fraternità” , il che potrebbe non essere sufficiente per spiegare il ruolo del patriarcato cristiano nei termini trattati dalla sua opera letteraria. Cfr. “Crisi dei segni: la semantica del giugno 1848 e la sua critica per la modernità letteraria”, in Il vecchio mondo scende all'inferno, traduzione di José Marcos Macedo. San Paolo: Companhia das Letras, 199, p. 83..

[Xiii] Cfr. Herbert Marcuse, “Prologo”, in Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte, ob. cit., pag. 13.

[Xiv] Gli anni tra il carcere e il ritorno a San Pietroburgo, i progetti letterari di Dostoevskij in questo periodo ei romanzi siberiani il sogno dello zio e Il villaggio di Stepanchikovo sono i temi affrontati da Joseph Frank nel secondo volume da lui dedicato allo scrittore, Gli anni di prova (1850-1859), ob. cit.

[Xv] Già negli anni Quaranta dell'Ottocento lo scrittore iniziò a prendere le distanze dalla compassione umanitaria dell'Escola Natural e dal suo interesse per le "fisiologie" - serial giornalistici rivolti a tipi popolari e urbani. Per una lettura dei serial di Dostoevskij e di questa distanza, cfr. Giuseppe Franco, I semi della rivolta (dal 1821 al 1849), ob. cit.

[Xvi] Vedere Note invernali sulle impressioni estive, ob. cit., pag. 103.

[Xvii] “Di fronte al primato della scarsa intelligenza sociale, nuovo orizzonte epistemologico, che rendeva più difficile il ruolo del narratore e problematica la sua intraprendenza, i romanzieri più consequenziali hanno cercato di inventare soluzioni tecniche alle quali non si potesse obiettare parzialità. Lo sforzo metodico dell'impersonalità (Flaubert), il tentativo di dare uno standard scientifico alla narrativa (Zola), il riconoscimento dei problemi legati al punto di vista (Henry James), l'uso dimostrativo della prima persona singolare – il prisma spontaneo par eccellenza – in uno spirito di autoesposizione, come se la persona fosse una terza parte (Dostoevskij in memorie sotterranee). (…) Autorità e significato relativo sono conferiti dalla mediazione del metodo letterario, soprattutto dai suoi effetti spiazzanti, che funzionano come istanze e come allegorie della precedenza della formazione sociale sulle intenzioni soggettive”. Cfr. Roberto Schwarz, Un maestro alla periferia del capitalismo. São Paulo: Duas Cidades/Editora 34, 2000, 4a edizione, pp. 179-180.

[Xviii] Cfr. Teodoro Adorno, Moralia minima, traduzione di Luiz Eduardo Bicca, revisione di Guido de Almeida. San Paolo: Editora Ática, 1992, p. 183.

[Xix] Cfr. Theodor Adorno, op. citazione, pag. 185. Adorno fa la seguente osservazione su Dostoevskij: “se forse c'è psicologia nelle sue opere, è una psicologia del carattere intelligibile, dell'essenza, e non dell'essere empirico, degli uomini che vanno in giro. E proprio per questo Dostoevskij è avanzato”. Cfr. “La posizione del narratore nel romanzo contemporaneo”, in Note bibliografiche I, traduzione di Jorge de Almeida. San Paolo: Duas Cidades/Editora 34, p. 57.

[Xx] “Trarre le dovute conseguenze dall'aspetto grottesco che la scienza e il progresso stavano assumendo tra noi è un altro modo per indicare che la Dialettica – sia quella del saggista sia quella del movimento narrativo – e la critica immanente dell'ideologia non possono non andare mano nella mano., e questo fin dai tempi in cui il revival moderno della dialettica si presentava soprattutto come una teoria della coscienza apparente, ma concepita in modo tale che la coscienza stessa portasse in sé la misura della sua verità e della sua falsità. La dialettica era questo confronto interno dell'oggetto con il proprio concetto, il momento della negazione essendo la denuncia delle promesse non mantenute. Cfr. Paolo Arantes, in Sentimento della dialettica nell'esperienza sociale brasiliana (Dialettica e dualità secondo Antonio Candido e Roberto Schwarz), ob. cit., pag. 98.

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