Ugolino e la pernice

Willem de Kooning, Senza titolo, 1966
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da BENTO PRADO JR.*

Commento al libro di Davi Arrigucci Jr.

chi apre Ugolino e la pernice, il romanzo di Davi Arrigucci Jr., sapendo che l'autore è un critico e un dotto storico della letteratura, può essere sviato, in un primo momento, dall'epigrafe con i versi del Divina Commedia sul portico del libro. Ci sono almeno due Ugolini nel grande poema, uno all'inferno e uno al purgatorio, ma è chiaro che è l'infernale che abita l'immaginario di Arrigucci.

Ma evitiamo l'equivoco a cui siamo invitati: Dante è presente, certo, all'orizzonte, ma in modo molto indiretto, che prende sostanza dal passaggio per São João da Boa Vista, nell'interno di São Paulo, vicino a Minas Gerais, e da una pratica della lingua che tocca la scrittura dei nostri più grandi scrittori, Manuel Bandeira, Guimarães Rosa e Carlos Drummond de Andrade. Come questi autori, Arrigucci porta nella sua scrittura un discorso popolare e sertanejo, mantenendo la sua freschezza nella sua nuova e lavorata cornice stilistica.

Iniziamo differenziando gli Ugolino. Il nostro non ha più molto del tragico Ugolino della Gherardesca, dal canto 33 di “Inferno”, già nazionalizzato da Manuel Bandeira, che lo portò nel nostro Nordest nel poema “O Cacto”, meticolosamente commentato da Davi Arrigucci in il cactus e le rovine (Ed. 34). A Ugolino di São João de Boa Vista non manca nemmeno la bonhomie, lontano dalle caatingas e dalla tragedia, che spesso si aggira soddisfatto per intricate boscaglie. È, certo, un personaggio non banale: ha imparato a memoria i versi di Dante, è artista nella sofisticata costruzione delle sue vetrate (il suo nome completo è Ugolino Michalangeli), è un narratore inventivo, raggiunge quasi il status di “filosofo”, “paradossale” nel rintracciare il significato delle parole. Ma è soprattutto cacciatore, condizione inscindibile da quella di narratore interrogativo, poiché “…per lui, rintracciare il senso di una parola era ancora una forma di caccia”.

Fin dall'inizio ci siamo resi conto che, nonostante l'orizzonte geografico e sociale ben definito, non siamo di fronte a una narrazione realistica, alla maniera del romanzo regionalista. Il narratore avverte, già in prima pagina, dopo aver tracciato il profilo di Ugolino: “…e quello che dico, senza nulla togliere, sono le sue esatte parole. Purtroppo non è più vivo e non può confermare la veridicità di questa storia…”. Senza uno sguardo oggettivante che sorvola la geografia e la società, non mancano di apparire dalle diverse prospettive dei personaggi, coinvolti nei modi in cui il loro uso del linguaggio modella diversamente il mondo.

Ma ciò non toglie che le fiamme dell'inferno dantesco a volte manchino di brillare nella narrazione, con la brillantezza e l'esplosione dei colpi di caccia. Ancor di più, qualcosa come una certa sertaneja “cosmoteologia” (simile alla “demonologia” di Grande entroterra: veredas), che si riferisce sia a Divina Commedia quanto alla “Macchina del mondo” di Drummond.

Sappiamo già che esiste un legame interno tra la caccia e la narrazione. Quello che dobbiamo scoprire è come una frattura rompa la bella circolarità tra la caccia e la sua narrazione. Già prima della crisi in cui finisce il romanzo, si poteva intuire il grano di angoscia che abita il piacere della caccia: “Il cacciatore è ciò che caccia [...]. Con la caccia, il cacciatore se n'è andato. Ma sarà sempre possibile narrare la caccia perduta nel passato con il suo cacciatore pallido come lui. Allora abbiamo ancora un regalo vivo, anche se il cacciatore è morto. Ma cosa succede se la caccia è irraggiungibile? Saremo condannati alla pura letteratura, al di fuori della vita.

Questo sembra essere uno dei significati del romanzo. In effetti, Joãozinho e Ugolino ottengono, attraverso una discreta minaccia al contadino Aquilino, il permesso di cacciare nella loro terra, dopo la notizia che negli ultimi tempi vi era stato visto qualcosa di così raro, una magnifica pernice, non solo una pernice tra altri, ma piuttosto in qualche modo, The Partridge. Con le sue conoscenze, Ugolino escogita tattiche successive per darle la caccia, sullo sfondo di una sorta di topologia (non esattamente “geometria”), definita dai termini della circonferenza e del suo centro.

L'astuzia dell'uccello, infatti, sta nel nascondersi, immobile, dai cacciatori che lo circondano o nel volare in un'orbita che trascende la portata dei possibili colpi. Dopo aver fallito il suo piano di ingannare la pernice, presumibilmente nascosta e mimetizzata, immobilizzandosi al centro del cerchio, per sorprenderla lì, Ugolino escogita l'astuzia suprema: circondarla da tutte le parti, come fa il polpo. con le sue zanne. Quattro cacciatori e due cani, “16 zampe e sei teste”, un gigantesco polpo con 22 tentacoli, che sarebbe davvero un'arma infallibile. Ma è in quel momento che la topologia si trasforma radicalmente, per gli occhi attoniti, in una cosmologia in cui le posizioni della circonferenza e del suo centro sono invertite, come nella visione beatifica dei versi del “Paradiso” inscritti nell'epigrafe del romanzo.

Il volo della pernice percorre un cerchio infinito, come nella definizione di Dio di Niccolò Cusano: quel cerchio infinito che ha il suo centro ovunque, che non ha esterno e che, quindi, nessun colpo, nemmeno alcuna linea retta, può toccare, tangente o tangenziale. Ricordare: "E' si distende in figura circolare,/ in tanto che la sua circonferenza/ sarebbe al sole troppo larga vita"., È "a testa in giù" (come il camminatore di Drummond su strade sassose, con "mani pensanti", dopo la visione metafisica della "Macchina del Mondo"), che Ugolino, dopo essere stato illuminato dalla luce della pernice impalpabile, che in il suo volo circoscrive il mondo, abbandona la caccia e si rassegna a raccontare solo storie, alla letteratura.

* Bento Prado jr. (1937-2007) è stato professore di filosofia all'Università Federale di São Carlos. Autore, tra gli altri libri, di alcuni saggi (Pace e Terra).

Originariamente pubblicato sul giornale Folha de S. Paul, sezione “mais!”, del 18/01/2004.

Riferimento


David Arrigucci Jr. Ugolino e la pernice. San Paolo: Cosac & Naify, 80 pagine.

note:


[1] “Paradiso”, 30, 103-106, “La figura circolare era tanto vasta/ che superava in circonferenza/ il Sole stesso la vita molto ampia”, nella traduzione di Cristiano Martins.

 

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