da PRISCILA FIGUEIREDO*
La morte aveva roso, o meglio purificato, l'anima di questo parente fino al midollo, fino alle sue profondità buone e gentili.
Quando avevo circa sei, sette anni, per qualche contingenza conoscevo il significato della parola “raffinato”, ma non quello di “finito”. Così, quando ho saputo della sua esistenza a quell'età, ho pensato che significasse la stessa cosa della prima, tanto che la festa dei defunti è diventata per me la “festa dei defunti”, o “festa dei defunti”. morti raffinati”, di quelli che erano stati delicati in vita (solo molto più tardi avrei saputo che il primo aggettivo poteva essere anche una variazione del secondo, ma ciò non avveniva certamente nella frase in questione).
E ricordo che c'erano momenti in cui, per dimostrare quanto fossi consapevole che il sostantivo decisivo era stato nascosto, dovendo vagamente pensare che ciò fosse dovuto a qualche decoro, economia o forza di abitudine, rendevo esplicita tutta la struttura : " Viaggeremo durante questa festa dei morti, mamma?" Sembrava ammirata, forse supponendo una sorta di ostinazione nella chiarezza, che mi faceva ripetere la stessa idea con significanti diversi, uno con funzione pleonastica.
Si scopre che a quel tempo, quando questa e altre date venivano prese più sul serio, molte persone viaggiavano per rendere omaggio ai familiari sepolti nelle loro città d'origine, oppure prenotavano appositamente la mattina, metodicamente nuvolosa e fredda, o piovigginosa a São Paulo, per queste visite funebri. Era chiaro come, nella strada in cui vivevo, quasi tutti fossero impegnati in questa giornata. Il che mi ha fatto immaginare un numero incredibile di morti con un passato di buone maniere, finezza, gentilezza e perfino gentilezza, la più grande raffinatezza di tutte.
Ho fatto alcune ipotesi: oh, è perché, come si suol dire, “è morto, si è fatto santo”, oppure nessuno si ricorda delle brutte cose che ha commesso quando aveva energia. Oppure perché, in questa condizione, tutti diventano innocui, quindi più delicati. Subiscono un affinamento. Sapevo, ad esempio, che tra le tombe visitate c'era quella di un parente che aveva tormentato la vita di tutti quelli che lo circondavano, portando loro solo infelicità e senso di sconfitta; sapeva però anche di aver commesso atti di grande generosità, soprattutto verso gli estranei. “In fondo era una brava persona”, concludevano ogni anno, dopo aver ricordato, sulla strada di casa, una serie di cattiverie. Allora il mio pensiero prese una nuova sfumatura: la morte aveva roso, o meglio purificato, l'anima di questo parente fino al midollo, fino alle sue profondità buone e gentili; Ecco perché lo hanno visitato.
Penso che per circa due anni, nello stesso periodo, continuai ad avere pensieri di questo genere, finché non cominciai a comprendere collettivamente il significato di quella data, che divenne proprio il giorno di quelli che finirono, di quelli che aveva una fine, la stessa che avremmo avuto tutti (era per me solo una verità molto teorica, ma prima la ignoravo completamente); il giorno dei morti puramente sostanziali, non qualificati o selezionati, dalle ossa più miti a quelle più dure da spezzare nella vita. C'era un effetto livellante e questo toglieva un certo fascino alla cosa. Era strano pensare che, qualunque fosse la natura spirituale della persona, questa entrava in una tomba comune chiamata "morta".
La disillusione, però, gareggiava in me con la concezione cattolica che gerarchizza le anime, la cui collocazione – sia nell’inferno, nel purgatorio o nel paradiso – indica il grado della loro virtù passata. Ma allora perché fare un pellegrinaggio ai cimiteri se non c'era quello che si diceva di quella persona? Deve essere stato, a un certo punto ho riflettuto e mi sono calmato, perché c'era una promessa biblica – nella quale i bambini vedevano più motivo di terrore che di gioia – che tutti i sepolti sarebbero risorti in un'ora tremenda, e perché ciò accadesse era necessaria la cura di quei resti, anche se fosse stata per millenni. Poi sarebbero stati evocati e restituiti alla carne, e la carne rifatta avrebbe riportato l'anima a se stessa. Questo avviene alla fine dei tempi, cioè quando i tempi sarebbero trascorsi.
*Priscila Figueiredo è professore di letteratura brasiliana all'USP. Autore, tra gli altri libri, di Matteo (poesie) (beh ti ho visto). [https://amzn.to/3tZK60f]
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