Uno scrittore-saggista e la sua visione del mondo

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da RICARDO MUSSE*

Postfazione del libro recentemente pubblicato “Denunce dalla provincia”, di Júlio Ambrozio

La lettura di questi saggi – un “insieme di piccoli articoli”, come preferisce l'autore – stimola la riflessione in molteplici direzioni, alcune delle quali sono evidenziate nel corso del libro. Il titolo richiama la dialettica “provincia (città morte) x metropoli (sede del capoluogo)”, una polarità che diventa ancora più complessa quando Júlio Ambrozio aggiunge un terzo termine: “colonia”. Questa triade, a sua volta, viene esaminata dal punto di vista territoriale (geografico), economico, sociale, politico e culturale.

L'autore è allo stesso tempo saggista e scrittore di narrativa – una configurazione ricorrente nei quadri del modernismo internazionale e brasiliano. Gli articoli trattano di oggetti ben definiti (un film, un'opera d'arte, una situazione sociale, un movimento economico, un'azione culturale o politica), ma sempre sotto il prisma della soggettività di un individuo specifico, situato in una certa momento, nel suo gruppo sociale (i letterati), nella sua generazione, in una città di un paese chiamato Brasile.

Così si mescolano linguaggi, temporalità e prospettive. Da un lato, dal mondo oggettivo, dalla sfera pubblica. Dall'altro, dall'ambito individuale, dalla vita privata e intima. Il tutto sotto lo sguardo lontano e vicino dello scrittore e della sua favolosa immaginazione.

Questa combinazione costituisce la principale fonte motrice della ricchezza del libro. È certamente possibile ritagliare (e mettere tra parentesi, come raccomanda la fenomenologia di Husserl) ognuno di questi poli. La verità del tutto, però, scaturisce da queste relazioni sfuggenti e sfuggenti – a volte segnate, altre non cucite – tra i registri del giornalista, dell'intellettuale, dell'attivista e del narratore.

Gli articoli pubblicati negli anni '1980, momento iniziale di ognuno dei tre blocchi – “Mundo”, “Cinema”, “Petrópolis” –, conservano un'unità più profonda di quella derivata dallo stesso momento storico-politico o dall'affiliazione al mondo letterario- genere giornalistico – “critica cinematografica” – in cui sono inseriti. Sono permeati da a Weltanschauung essa stessa scaturita da un'originale combinazione di esperienza personale, militanza politica, orientamenti culturali e paesaggi geografici.

Júlio è entrato all'Università, frequentando il corso di geografia all'UFRJ, nella seconda metà degli anni '1970, un periodo di intenso attivismo concentrato sulla lotta contro la dittatura militare. Petropolitano convinto, ha dispiegato il suo impegno politico su due fronti: la militanza politica diretta nel movimento studentesco (ME), esercitata nei campus e nelle strade della città di Rio de Janeiro, e la creazione e il mantenimento, a Petrópolis, del cineclub “Tristes Tropicos”.

Il movimento della società cinematografica, a quel tempo, costituiva una delle trincee nella lotta alla dittatura. Non si trattava solo di resistenza culturale, di difesa dell'arte di fronte a un regime che vietava e ostacolava l'accesso al patrimonio culturale dell'umanità. La mostra – e la successiva discussione sui film, sovvertendo l'isolazionismo del “ciascuno per sé” e la passività obbediente – ha messo in agenda la riflessione sulle direzioni del Paese e del mondo. La meditazione, mediata dall'oggetto artistico, scommette sulle potenzialità critiche e trasformative dell'arte cinematografica.

Sparsi in tutto il paese, ancorati nei centri accademici, nelle associazioni professionali, nei movimenti sociali della periferia, i cineclub costituivano una delle poche manifestazioni culturali che non si conformavano ai dettami della nuova “industria culturale” brasiliana. Il riconoscimento dell'importanza culturale dei cineclub ha aperto le porte dei giornali locali, regionali e alternativi ai soci dei cineclub. La critica cinematografica qui raccolta si inserisce dunque in questo contesto più ampio.

I due articoli più vecchi, del 1981, commentano la morte prematura di Glauber Rocha. Nella foga del momento, il giovane membro del cineclub delinea una valutazione coerente e dialettica del posto storico del regista. Glauber era un partecipante attivo, un leader del Cinema Novo, proiettando in questo movimento il suo desiderio di costruire cinema nazionali contro Hollywood. Ma, avverte Júlio Ambrozio, l'opera del “poeta autoriflessivo” – con la sua “estetica esaltata, contraria all'illusionismo” – rimescola e mette a dura prova i rapporti tra “il reale e l'ideale”, “la vita e l'arte”.

Il cinema di Glauber, salto verso il tropicalismo, si configura così come critica e superamento dell'estetica nazional-popolare (incorporata poi, con soddisfazione generale, dalla nascente industria dell'intrattenimento). Nelle parole di J. Ambrozio: “Il cadavere di Glauber è il corpo di ognuno di noi. È la creatività minacciosa, la luce appassionata e l'indignazione dilaniata dalla mediocrità, dall'autoritarismo di una borghesia decadente che non ha modernizzato il Paese, non ha fatto una rivoluzione capitalista”.

La produzione cinematografica brasiliana, soprattutto negli anni '1980, dal punto di vista del critico di cineclub, è mero intrattenimento. Il cinema di distrazione, “anestetico per gli occhi e per il pensiero”, abdica all'immaginazione, al ludico, alla libertà insita nelle forme artistiche che annunciano la possibilità di trasformare la vita. Condannata all'irrilevanza, “porta in sé i bacilli che ne anticipano la fine”.

Il verdetto, a prima vista, è crudele: “Il cinema brasiliano va male. Si va dal porno di Boca al porno politico, passando per il porno d'amore, il porno poliziesco, e qualche altro che compare tra un bagno in mare e un lavoro su qualsiasi tv”.

Bisogna riconoscere, però, che si tratta di un giudizio premonitore di quanto accaduto con la fine dell'Embrafilme e delle leggi sugli incentivi alla cultura durante il governo Collor de Mello. Allude anche alla flagrante inadeguatezza di questo cinema alle nuove (ed elettrizzate) forme di esibizione.

La spiegazione di questo declino va oltre l'ambito estetico, derivando in ultima analisi da fattori economici e geopolitici. La mentalità colonizzata riflette il ritorno del Paese alla vecchia divisione internazionale del lavoro. Già in quel momento si avvertiva che “il parco industriale celebrato durante la dittatura, durante il “miracolo economico”, ancor prima del ritorno del governo ai civili, si era trasformato in rottame, visti i progressi della tecnoelettronica”. Il Brasile, mancato “il carrozzone della rivoluzione tecnologica, restando solo con industrie vecchie e inquinanti”, è tornato alla condizione di un'economia che esportava materie prime. Tutto questo dopo aver discusso del legame tra cinema e vita urbana, con la velocità delle metropoli, con la produzione delle industrie di massa, con la cosiddetta “modernizzazione”.

In quel momento, in quella stessa generazione, molti hanno individuato nel cinema marginale – di Júlio Bressane, Andrea Tonacci e Rogério Sganzerla – l'Altro di quel cinema. Questo è stato il caso dei giovani membri del cineclub raggruppati nella rivista Cine-Eye, il cui circolo Júlio frequentò durante un corso al PUC-RJ, nel 1979. Un trasferimento di simpatie, che riprese il percorso critico di Torquarto Neto sulle pagine del quotidiano Last Minute.

Julio Ambrozio è andato in un'altra direzione. Ha identificato la critica della reificazione dell'industria culturale, la "ribellione contro la monotonia, l'oggettivazione e la solitudine dell'esistenza" nel Nuovo Cinema tedesco di Win Wenders, Werner Herzog, Rainer W. Fassbinder e Hans-Jürgen Syberberg.

Per comprendere questo movimento artistico, Júlio Ambrozio si è rivolto al suo documento fondativo, il “Manifesto di Oberhausen” (1962), un punto di partenza completato da una breve incursione nella storia della cultura e del cinema tedesco. Sottolinea, nel Manifesto, lo scopo dei giovani cineasti nel proporre un cinema sperimentale, “libero dal controllo commerciale”. Ciò che lo incanta di più, però, è la configurazione estetica del nuovo cinema tedesco, soprattutto quello che si è dispiegato dopo il 1967.

Nell'interpretazione di J. Ambrozio, la forza di questo movimento si fonda sull'attualizzazione meditata di due momenti d'oro dell'arte tedesca: il Romanticismo e l'Espressionismo. Caratteristica di questo neoromanticismo è il discernimento e la consapevolezza della rottura con la natura (esterno e interno), esemplificata sia nei riferimenti a Friedrich Hölderlin e Heirick von Kleist sia nelle analisi dei film di Werner Herzog e Win Wenders. Il prevalere delle immagini della natura nasce da narrazioni basate sui vagabondaggi di personaggi solitari, enfatizzando paesaggi rimodellati dall'azione umana in Wenders o scenari inospitali – valli e montagne nebbiose – in Herzog. Vi si percepisce la “nostalgia romantica” che cerca di rimodellare il mondo esterno alla luce dell'immaginazione estetica.

O topos di natura non indifferente – contrariamente alla stirpe dell'arte moderna che ha momenti folgoranti in Mallarmé, Cézanne ed Eisenstein –, fondamento di un rapporto non strumentale con la natura, è presente anche nell'Espressionismo. Qui, però, cessa la ricerca delle forme dell'“assoluto”. Nello scenario post-utopico segnato dal disincanto e dalla perdita dell'unicità individuale, si avverte che “la storia è forza cieca, non progresso e sviluppo”.

Il disagio con il mondo contemporaneo, evidente nelle immagini di Erich Heckel e nella poesia di Georg Trakl, assume un contenuto diabolico nelle trame di Rainer W. Fassbinder, piene di “devastazione e male”. La stessa rottura radicale con il naturalismo trasforma i personaggi di Hans-Jürgen Syberberg – sottoposti alla tecnica brechtiana dello straniamento (allontanamento) – in “esseri meccanici neoespressionisti che si muovono davanti a una macchina da presa fissa”.

Gli articoli sul nuovo cinema tedesco risalgono al 1984. In questo anno Júlio Ambrózio scrive il suo primo romanzo, pubblicato quattro anni dopo con il titolo di Nel sereno del mondo (Ed. Lucciola). I bozzetti elaborati negli articoli di giornale acquistano – nella cronaca fittizia – la solidità e la consistenza di una “visione del mondo” (Weltanschauung) proprio e originale.

Ho avuto modo, a suo tempo, di evidenziare questo fattore, scrivendo il testo all'orecchio della pubblicazione: “Il libro di Júlio Ambrozio, Nel sereno del mondo, è la fenomenologia di uno sguardo solitario. La vita del personaggio pulsa nello sguardo. Il cinema costituisce quindi il suo immaginario e la descrizione precisa e completa – quasi geografica – delle cose è il suo compagno costante. Lo spazio, così come il tempo, emerge da questo sguardo. Uno sguardo che non vede chiaro in lontananza; che non può seguire la successione degli oggetti nello spazio – il movimento – nella sua imprevedibilità. Tra lui e il mondo ci sono i capelli grigi, e l'immagine plastica è quella di un tergicristallo che, nel suo movimento costante, appare come un eterno no. Dal punto di vista della sua unicità, il mondo appare come un qui e ora. Lo spazio è limitato, opaco, chiuso. Il mondo, così come appare in una momentanea inquadratura, è imprevedibile, anche se il suo corso dispera come la ripetizione – dell'infelicità”.

Il romanzo, nella mia descrizione di allora, è organizzato in due blocchi. Nella seconda parte emergono temi specifici della socialità brasiliana. “È solo quando João José lascia la sua cerchia intima (gli amici, la casa, la macchina) – il lunedì – ed entra nella sfera pubblica che scopriamo che la città la cui geografia è stata delimitata per noi e che brancoliamo con il nostro sguardo è un microcosmo del paese. Narrando lo scontro del personaggio con questo mondo, l'opera acquista il tono di una “farsa”. E siccome il mondo del lavoro, gli imprenditori, i burocrati, gli intellettuali, il popolo, i mendicanti sono vittime di bullismo, João José, in simbiosi con l'ambiente, si rimprovera perdendo la sua freddezza, il suo ascetismo – la sua dignità – che si ritroveranno solo al FINE. In Nel sereno del mondo convivono la contemporaneità del cosmo privo del senso della modernità tecnologica con il paese-farsa dove prevale la gloria mattutina, l'ambiente autoritario e signorile”.

È doverosa qui un'osservazione sull'origine di questa feconda confluenza e sovrapposizione di temi e prospettive tipiche della filosofia, della storia, della geografia, della sociologia e dell'antropologia. Negli anni '1980 il “dilettantismo programmato” del giovane studente acquista forza e concretezza grazie al costante contatto con tre intellettuali di fama: Gerd Bornheim, Dirceu Lindoso e Gilberto Vasconcellos.

Dopo aver completato il corso di geografia, Júlio si iscrive al corso post-laurea in filosofia presso l'UFRJ, iniziando il master sotto la guida di Gerd Bornheim, con il quale mantiene un rapporto che va oltre il mero apprendimento accademico. L'affinità intellettuale e, in una certa misura, esistenziale sostenne un'amicizia che durò fino alla morte del filosofo.

Dirceu Lindoso, storico di professione, professore con passaggi all'UFBA e all'UFRJ, membro del gruppo editoriale della rivista e della casa editrice Civilização Brasileira, si stabilì a Petrópolis, all'inizio degli anni '1980, assumendo la carica di direttore della divisione documenti storici del Museo Imperiale. Júlio Ambrozio condivide con lui, quasi quotidianamente, cene nei ristoranti della città e occasionali viaggi nell'area bohémien. Nella conversazione, indicazioni di libri su episodi poco conosciuti della storia brasiliana, classici della storiografia regionale e opere relegate all'oblio che Júlio poi legge compulsivamente.

L'interazione con Gilberto Vasconcellos è avvenuta in due fasi. In primo luogo, Júlio, come quasi tutti i militanti dell'ala sinistra del Movimento Studentesco, era un assiduo lettore della rubrica che Gilberto scriveva, il lunedì, alla fine degli anni '1970, nella sezione culturale del quotidiano Folha de S. Paul. In esso Vasconcellos commentava autori allora poco conosciuti nel Paese, come Susan Sontag e Cesare Pavese; condivideva le polemiche manifestazioni di Glauber Rocha – allora in conflitto con il gruppo Cinema Novo incastrato nell'Embrafilme e con settori della sinistra che lo accusavano di “tradimento”.

Quando ha iniziato a scrivere Foglio, Gilberto era un nome promettente per la nuova generazione della sociologia di San Paolo, autore di una tesi acclamata – L'ideologia di Curupira: analisi del discorso integralista – che presto diventa un libro dell'Editora Brasiliense, con una prefazione di Florestan Fernandes. Negli anni successivi, Vasconcellos si allontanò da questo universo intellettuale, divenendo progressivamente uno dei più qualificati critici della sociologia USP [Cfr. Lo Xara di Apipucos (Max Limonad, 1987) e Il principe della moneta (Spazio Tempo, 1997)].

Nella seconda metà degli anni '1980 Gilberto Vasconcellos si stabilisce a Petrópolis. Júlio lo trova spesso nelle piscine dei country club del quartiere Nogueira e nei bar della città. Consolida, in questa coesistenza, la sua singolare lettura del pensiero sociologico brasiliano – sia dalla scuola di San Paolo che dalle tendenze inaugurate da Luís da Câmara Cascudo, Gilberto Freyre e Darcy Ribeiro.

Anche gli articoli che aprono il primo blocco – Mundo – sono del 1984, anno in cui scrivo Nel sereno del mondo. Costituiscono, quindi, un indice rivelatore della diagnosi del tempo e della “visione del mondo” che permea il romanzo.

Júlio Ambrozio considera l'arte come un “sintomo”, o meglio, come una specifica mediazione della situazione economica, sociale e politica generale. In questo registro esamina inizialmente gli sviluppi contemporanei dell'arte moderna. Il suo giudizio sull'allora tanto pubblicizzata “crisi delle avanguardie” è perentorio: “queste stanno vivendo il loro momento terminale. Ed è ora di scrivere il tuo necrologio".

In questa direzione Ambrozio condivide le analisi di Hans Sedlmayr. Questo teorico mette in luce alcuni vincoli extra-artistici che hanno guidato l'arte moderna fin dal XVIII secolo, come lo scientismo e il tecnicismo, e sono stati, in larga misura, decisivi per la strana alleanza tra estetismo e ideologia del progresso.

Il bilancio storico – a cui si aggiunge l'esame della produzione artistica recente di artisti allora in evidenza (Marco Ferreri, Michelangelo Antonioni, Charles Bukowski, The Clash) – indica che siamo entrati in un mondo post-utopico. In questo predominano l'oggettivazione, l'impotenza, l'impossibilità di comunicare e la lacerazione dell'uomo.

Questo mondo post-utopico e disincantato nasce dalla vittoria della controrivoluzione che ha sconfitto la speranza incarnata dalla “controcultura, Primavera di Praga, Maria Antonia, maggio 68”. Il risultato fu il consolidamento dei due blocchi minacciati da quegli eventi, il capitalista e il cosiddetto “socialismo realmente esistente”, dando impulso al “keynesianismo militare” da entrambe le parti come risposta alla crisi economica mondiale. Ronald Reagan e Konstantin Chernenko hanno intrapreso la corsa agli armamenti al culmine della Guerra Fredda: il cataclisma nucleare come una possibilità reale.

La controrivoluzione sancì anche il primato della tecnologia, minacciata dai movimenti della controcultura e della difesa dell'ambiente. Nella sintesi di J. Ambrozio: “Lo shock contemporaneo dell'economia mondiale ha rivelato i veri interessi dello Stato: il progetto di depoliticizzazione delle masse, per esempio. L'efficacia di questa impresa nei paesi industrialmente avanzati era visceralmente legata all'ascesa individuale, alla stabilità del lavoro, all'aumento della massa salariale, ecc. Il raggiungimento anche di un minimo di benessere sociale, e l'affermarsi della tecnologia e della scienza come nuova ideologia, aiutarono l'idea dello Stato come istituzione privilegiata di attività tecnico-amministrative prive di carattere politico [...] la depoliticizzazione è sotto il martello. Alle denunce collettive si risponde con gli stati di emergenza”.

Nell'anno in cui le folle si sono mobilitate in attesa delle Diretas-Já, Júlio Ambrózio – attento al ruolo dello Stato nel nuovo scenario mondiale – non si lascia contagiare dall'ottimismo, che considera privo di spunti economici e fondamenti sociali. Il suo impegno politico ed esistenziale si concentra, ancor più intensamente, nell'ambito artistico.

La trasformazione sociale continua all'orizzonte, ma in un registro abbassato: “attraversata dalle sue singolarità, l'arte si aprirebbe la strada attraverso questo mondo di ostacoli, intravedendo opzioni per i terribili conflitti di ogni tipo che viviamo; fondamentalmente, ci metterebbe in guardia dal pericolo della distruzione dell'uomo e della vita sulla Terra, quando non consola l'impresentabile, l'impossibile, il futuro, per esempio, distaccandosi da ogni lieto fine, perché, appunto, forse non lo farà. in realtà abbiamo ”.

Ambrozio condivide la diagnosi del presente storico dei film di Marco Ferreri. In Cronaca di un amore folle, ad esempio, vengono messi in scena l'esaurimento della boemia letteraria, la controcultura, gli ideali estetici del Modernismo e la possibilità stessa della Rivoluzione. Il personaggio (Charles Bukowski) si immerge nel mondo degli esclusi alla ricerca della solidarietà e della speranza (prerogativa dei disperati). Rifiuta la pratica artistica come “lavoro” – luogo per eccellenza della reificazione e uno dei pilastri dell'ordine dominante. Nel mondo della controrivoluzione c'è posto solo per la rivolta.

Il 1989 cambia (quasi) tutto. Júlio Ambrozio, in seguito agli eventi – caduta del muro di Berlino, elezione di Fernando Collor, ecc. – riformula le sue analisi. Una sintesi di esse si trova nell'articolo “Lo sterminio della cordialità”, inserito nella prima sezione di questo libro. Dopo brevi accenni ai cambiamenti in Europa (nell'Europa dell'Est e in Portogallo), si affronta l'aggravarsi della situazione di anomia in Brasile, “la guerra civile non dichiarata a Rio de Janeiro e nel Paese”. Secondo l'autore, “con le trasformazioni degli ultimi decenni e la lunga crisi economica, lo standard di convivenza degli autoctoni – la cordialità – si è rotto. È crollato e si è aperto un vuoto: la ferocia”. L'atteso passaggio a forme civili di convivenza che sarebbe arrivato con il passaggio dalla dittatura militare alla Nuova Repubblica è stato bloccato: “tutti vivono l'agonia di esistere in un vuoto senza fine”.

Il fallimento della civiltà è presentato e spiegato con il linguaggio ei concetti della sociologia. Nel “declino della cordialità”, “la manifestazione della cortesia non riesce perché il Paese non risolve la questione dell'equità. È importante espandere l'uguaglianza nelle circostanze della produzione e del consumo. Le città sono enormi e le opportunità quasi nulle. L'uomo cordiale, con i suoi rapporti di parentela e clientelismo, non riesce più a coinvolgere l'intera società”.

Nel 1993, incoraggiato dalle celebrazioni del 150° anniversario della città di Petrópolis, Júlio Ambrózio ha curato il suo secondo libro, Geografia petropolitana, una raccolta di tre articoli pubblicati tra il 1988 (anno di pubblicazione di Nel Sereno del Mondo) e 1992. Avverte, in apertura, che gli articoli “sono accomunati da una preoccupazione: immaginare la nosologia culturale della città; suggeriscono una geografia che ribalta la presunzione fattuale nell'idea di Petrópolis” (p. 7).

Questa indicazione di lettura è stata seguita quasi rigorosamente nei primi commenti al libro. Dirceu Lindoso – nella generosa Postfazione in cui mette in risalto l’“acutezza intellettuale” di Júlio Ambrozio – decreta: “sono saggi coraggiosi (…) le cui intuizioni geografiche mettono in discussione la presunzione dell’idea di Petrópolis” (p. 29 ). Geografia petropolitana demistifica l'ideologia dominante (e ufficiale), quella di una città imperiale di origine tedesca, sottolineando la presenza degli schiavi e l'importanza della migrazione dal Minas Gerais.

In una recensione di un libro, Gilberto Felisberto Vasconcellos, attento come Dirceu Lindoso alle manifestazioni della regionalità e alla dialettica della cultura, visualizza in Geografia petropolitana un esempio di "Kulturpessimismo costruttivista”. Entrambi, a parte le differenze di prospettiva e visione del mondo, caratterizzano in modo identico i saggi come una riflessione sull'identità petropolitana.

I due intellettuali hanno portato i loro commenti intuizioni documenti sull'idea di Petrópolis. Dirceu Lindoso, ad esempio, accenna alla “cultura dell'ornamento” e sviluppa in una propria direzione il tema – presente nel libro – della “nevrastenia di montagna”. In questo modo, non solo hanno legittimato la portata e l'interesse di Geografia petropolitana, ma anche farne il centro di un proficuo dibattito sulla natura della cultura locale.

Invitato dal direttore del giornale Tribuna Petropolis per partecipare alla discussione, ho scritto un breve articolo. In esso ho cercato di spostare il fulcro dei commenti, concentrati esclusivamente sull'oggetto del libro – la città di Petrópolis – sull'autore dell'opera. Comincio ricordando che Júlio Ambrozio, oltre che geografo, è anche saggista e romanziere. Nel corso della sua critica all'ideologia della cultura petropolitana, è possibile scorgere il profilo di un'estetica, di un poiesis.

In quella direzione, Geografia petropolitana può essere letta metaforicamente come descrizione di un mondo immaginario i cui abitanti più rappresentativi sono João José, Beth, André, Carneiro, i personaggi di Nel sereno del mondo. Qual è la coreografia di Petrópolis, di cui Júlio svela la geografia? – Il trio pioggia, screziato, montagna, ovvero lo stesso spazio opaco e chiuso che João José percorre quotidianamente con la sua Karmann-ghia. Anche il nesso, distante e impreciso nel romanzo e nei saggi, tra suicidio e cartografia è lo stesso.

Si chiede in uno stralcio dell'articolo: “'La dualità schizofrenica tra la corte e il colono, ovvero l'assenza di plasticità culturale tra l'aristocrazia e il lavoratore migrante europeo', rilevata da Gilberto Vasconcellos non ricorda Nel sereno del mondo, con la convivenza della contemporaneità del mondo senza senso della modernità tecnologica con la farsa contadina dove prevale la gloria mattutina, l'ambiente autoritario e signorile?”.

Pongo un'altra domanda: “Dopo tutto, Geografia petropolitana È un'opera di geografia (scienza), di poetica (letteratura) o di filosofia? E concludo l'articolo con la seguente risposta: “qui è inutile il ragionamento positivista che cataloga la produzione culturale secondo forme stagne e autonome. Júlio Ambrozio resuscita – in linea con la migliore saggistica contemporanea, sia di origine francofortese che letteraria – un genere oggi scomparso, ma che in passato, coltivato con cura dai romantici tedeschi, riuscì a coniugare poesia, scienza e filosofia nella stesso testo: il Naturphilosophie.

Geografia petropolitana vinse una seconda edizione, nel 2005. In esso, Ambrozio aggiunse due saggi omologhi “Considerazioni sulla decadenza” del 1997 e “Conversazioni con l'atmosfera acquatica”, del 2003. Il volume si è anche corposo con la raccolta della fortuna critica del prima edizione, selezione che comprendeva, oltre ai saggi sopra citati, articoli di Edmundo Jorge e Francisco de Vasconcellos.

Tra il 1993 e il 1996, Júlio Ambrozio è stato impegnato a scrivere il suo secondo romanzo, L'uomo col cappotto tedesco. Il libro è stato pubblicato nel 1996 dalla casa editrice fondata da Júlio in collaborazione con Edson Vieira da Paz nella città di São João Del Rey, nel Minas Gerais, conosciuta come “Ponte da Cadeia”. Così, ha continuato a scommettere sulla letteratura come forma di conoscenza e azione nel mondo.

Ciò che cambia è la figura e lo status dello scrittore. Il modello seguito non è più il fuori dagli schemi – segno distintivo dell'esistenzialismo francese, della controcultura nordamericana e della cosiddetta “generazione ciclostile” brasiliana. La conversione è radicale. Júlio entra nel corso post-laurea in letteratura presso l'Università Federale di Juiz de Fora e scrive il suo romanzo come tesi di laurea.

La forma si avvicina allo schema prevalente nei corsi di scrittura letteraria, conservando però tratti tipici dello stile dell'autore. La narrazione in prima persona di il sereno del mondo – discendente della confessione autobiografica caratteristica di un filone del modernismo, da Proust a Cortázar – è sostituito in L'uomo col cappotto tedesco dalla narrazione in terza persona (e onnisciente), in un dialogo esplicito con la tendenza predominante nei rapporti di indagine della polizia.

Se il personaggio Cenir Semeão ricorda i poliziotti di Rubem Fonseca, lo scenario sociale e le avventure di Toninho Arapuca rimandano a Dalton Trevisan. Sulla copertina del libro, Cilaine Alves Cunha sottolinea che “la co-occorrenza di due mondi, uno agrario e l'altro urbano, rispecchia l'assorbimento rapido e brutale, nella formazione della società brasiliana, dell'universo caipira dal ritmo delle grandi metropoli”.

Cilaine Alves Cunha ritiene che "sebbene il nucleo della trama sia incentrato sull'indagine su un incidente di polizia, l'incapacità della ragione di spiegare o addirittura organizzare il caos rende L'uomo col cappotto tedesco va oltre i confini e i limiti del genere poliziesco”. Questo giudizio è condiviso, in un certo senso, da Bernardo Ajzenberg nella recensione del libro pubblicata sul quotidiano Folha de S. Paul (e recentemente pubblicato sul sito web la terra è rotonda). Lì, il giornalista (e scrittore) sottolinea che “l'elemento principale del lavoro di Ambrozio non è nelle trame o nella suspense che potrebbe derivare da un complotto [poliziesco]”.

Entrambi indicano la vicinanza del libro di Júlio Ambrozio alla “cronaca del costume” – un genere vigoroso nei romanzi e nelle soap opera ambientate a Rio de Janeiro –, aggiornati con la descrizione dell'“oggettivazione” – “la retrocessione degli eroi alla condizione di semplici spettatori del capitalismo periferico”, nelle parole dell'autore dell'orecchio.

Il commento di Cilaine Alves Cunha va oltre, indicando la “morte”, la “morte” come tema centrale del libro.leitmotiv spettro centrale e ricorrente, onnipresente”. Questa è un'osservazione molto perspicace che amplia la gamma di letture e le possibilità di interpretazione di L'uomo col cappotto tedesco.

Le scene abbondano in tutto il libro in cui qualcuno è morto o sta morendo. Questi resoconti, in genere, sono accompagnati da riflessioni – metafisiche o banali – sullo scorrere del tempo e sulla finitezza umana. In un passaggio illustrativo, una signora morente sul marciapiede dice: “Chiama il n. Non ho mai nemmeno scoperto se sono nato o se devo morire. È un chiacchiericcio. Questo voler sapere da dove vengo e dove vado. Ora forse scoprilo. Forse, vero?" (pag. 20).

La chiamata alla meditazione è generata anche dalla forma della composizione letteraria. In L'uomo col cappotto tedesco la narrazione è “plasmata dalla sovrapposizione di scene – in una tecnica vicina alla (de)costruzione cinematografica – e dallo shock generato da un linguaggio distorto e frammentato” (Cilaine Alves Cunha). L'“espressione è ellittica, secca e arida; il trattamento stilistico scarno, economico, minimalista; la narrazione si dissolve davanti ai nostri occhi, come le onde sulla sabbia di Copacabana” (Bernardo Ajzenberg).

Nel 1998, Júlio Ambrózio ha pubblicato Piccolo libro di righe distratte e un necrologio in un'altra casa editrice di São João Del Rei, A Voz do Lenheiro. Si tratta di una selezione di articoli apparsi su un quotidiano locale nel corso di un anno, tra novembre 1986 e novembre 1987.

il settimanale Giornale di Sao Joao Del Rei, diretto da Edson Vieira da Paz, è stata un'impresa di migranti di Petropolitan, amici fraterni di J. Ambrozio fin dall'adolescenza. Nella presentazione del libro, intitolato “Canto funebre per un giornale”, Júlio ricorda, dieci anni dopo, il carattere illuminista del progetto sociale e culturale del giornale, la sua capacità di “mettere la politica su un altro piano, costruire attraverso la discussione pubblica che il settimanale forniva una solida barriera contro la barbarie circostante” (p. 8).

Le visite periodiche alla città di Minas Gerais, il contatto con una geografia, una cultura e una socialità molto diverse da Petropolitan, ampliano l'agenda tematica dei suoi articoli che acquistano, nella “conoscenza di un luogo che lentamente si è fatto conoscere”, una leggerezza inaspettata. I saggi, sempre permeati di riflessioni personali, si concentrano sul paesaggio montuoso, la ferrovia, la cucina della regione, le feste profane e religiose, la vita notturna e la boemia locale, la bellezza delle donne del Minas Gerais, ecc.

Nel primo articolo del volume, sulla “cucina come attività spirituale”, la prospettiva esistenzialista, così forte in il sereno del mondo, è ancora presente. Dopo alcune riflessioni sul forno a microonde appena introdotto, Ambrozio riflette: “la tecnologia crea una nuova cultura, con parametri che sconvolgono la vita sociale, politica ed economica dell'umanità. In qualche modo è avvenuta la separazione tra tecnica, economia e apprensione culturale: l'allontanamento di un mondo generato nei secoli precedenti – Umanesimo, Illuminismo, Doppia Rivoluzione. L'uomo corre su un carro ad alta velocità, è la crisi” (p. 13-14).

L'impatto sensoriale delle montagne e della bellezza femminile mitiga presto la natura tragica di questa visione del mondo. Júlio, un po' stupito, scrive: “la vita non ha senso. Né a Minas né all'inferno. Ma a Gerais le montagne ingannano quasi”. (pag. 34). E conclude: “qui il lato oscuro e ostile non esiste. La natura consola la nostalgia dell'infinito. Porta semplicemente la certezza di tornare a casa” (p. 36).

Nelle città storiche del Minas Gerais, il barocco, evidente nell'architettura dei monumenti e delle chiese, predomina anche nella religiosità popolare e nella vita quotidiana. Júlio Ambrozio ricorda: “la morte veniva sempre annunciata durante il periodo delle feste profane: il Carnevale. A São João, il Bloco das Caveiras non si fa beffe della morte. Anzi, anticipa la Settimana Santa: la sua scenografia tragica, il ritmo lento e la musica cupa, suscitano più circonflessione che gioia sulle labbra» (p. 44-45). Osservazioni come questa, citazioni da I Sermoni di Padre Vieira – “Sapete quali sono i morti che muoiono? Sono coloro che finiscono la vita prima di morire, coloro che muoiono prima che la morte li porti fuori dal mondo” (p. 44) –, fanno acquisire al barocco il primato nell'interpretazione ambroziana della finitezza.

Un altro tema su cui si esprime l'autore è il “turismo”. Oggi le motivazioni degli spostamenti sono diverse dal passato, il “turista di massa si allontana per reintegrare la propria capacità lavorativa” (p. 30). Questo “non ne vuole sapere della tragedia barocca. Né dell'uomo remoto e del suo seguito. È la mancanza di cultura che, in Brasile, avanza per le autostrade e nel capitalismo avanzato per ogni breccia delle compagnie di viaggio» (p. 31).

Al contrario, sottolinea che in passato “il viaggio era sempre commerciale o educativo. I Fenici viaggiarono. Anche la Lega Anseatica. Ma i giovani e nobili romani andarono in Grecia preoccupati della conoscenza. Per il movimento romantico, il viaggio era la ricerca della storia. Dal sentiero passato. Goethe è andato in Italia. E Kleist, Heirich Von Kleist ha viaggiato per tutta la vita cercando la porta sul retro del paradiso” (p. 30).

Completata la lettura Libretto di righe distratte si ha l'impressione che lo spostamento istighi Júlio per altri motivi; storia, la conoscenza ricercata è personale, esistenziale. Ricorda più il modello inaugurato da Hegel in fenomenologia dello spirito – il movimento verso l'autocoscienza – o l'azione che Jean-Paul Sartre, in Situazioni I chiamati “viaggi di scoperta”.

Gli articoli del terzo blocco de Denunce della provincia – Petrópolis – affronta vari temi: il posto dell'intellettuale nella politica cittadina, il concetto di letteratura petropolitana, il personaggio falso una mostra agricola annuale, manifestazioni artistiche e istituzioni culturali locali, la mancanza di un'Università Federale nel comune, un libro sulle strade di Petrópolis, l'amministrazione del sindaco Leandro Sampaio (PSDB), lo scrittore e artista Edmundo Jorge, ecc.

In tutte Petrópolis appare come oggetto memoriale e materiale storiografico, istanze di uno sforzo di riconoscimento di sé e di riflessione sul rapporto tra paesaggio e cultura, ovvero sulla “mediazione dello spazio nell'esperienza del mondo”. La lettura di questo set permette di intravedere meglio il concetto di provincia sviluppato da Júlio Ambrozio, ma anche il modo in cui immagina la dicotomia tra distopia e utopia.

I sei articoli pubblicati negli anni '1980 esaminano Petrópolis dal punto di vista del cinema. J. Ambrozio riconosce in anticipo che, in città, le dinamiche cinematografiche si limitano all'esibizione. Discute poi del circuito commerciale che stimola la stagnazione con la proiezione di “avanzi della programmazione di Rio de Janeiro” e del maldestro tentativo del municipio locale di fornire alternative con l'impianto di una sala espositiva battezzata con il nome pomposo di “Cinemateca Humberto Mauro"…

I film, proiettati in “stanze affollate”, invece di contestare, avallano la visione del mondo del pubblico. Prodotti legittimi dell'industria culturale, portano al conformismo, proponendo ciò che esiste come una società armoniosa, e incitano ai pregiudizi - "la pornografia sullo schermo conferma la donna-oggetto desiderosa di soddisfare il fallo, dimostrando così il potere degli uomini di continuare nel dominio sociale" .

Con l'avvento del video, la situazione diventa desolante. Le società di videonoleggio offrono solo la spazzatura dell'industria culturale e i cittadini perdono l'abitudine di uscire la sera, di frequentare spazi pubblici. Il petropolitano – “timido e spaventato” – si nasconde ancora di più nella vita privata, sotto il dominio della famiglia. Contro questa “indigenza estetica”, l'autore prescrive che “a Petrópolis, le attività artistico-culturali dovrebbero rilevare i gesti ei sentimenti dell'uomo provinciale e sottosviluppato della fine del XX secolo – un mondo destopico”.

Negli articoli pubblicati nel primo decennio di questo secolo, lo sguardo distaccato del critico cinematografico è sostituito da un impegno civilizzante. Júlio Ambrozio elabora una diagnosi dettagliata della vita intellettuale petropolitana, da cui dispiega un piano di azioni per la trasformazione culturale e sociale. Si impegna nel progetto (abortito dall'insensibilità di Vozes) di creare una rivista - una partnership tra l'Instituto Histórico de Petrópolis e l'Academia Petropolitana de Letras. Sviluppa il programma per l'area culturale della campagna del sindaco di Paulo Rattes. Eccetera.

In questi scontri affina la sua conoscenza degli errori della politica culturale brasiliana, argomento sviluppato nel registro dell'immaginazione letteraria in Nel sereno del mondo. Sottolinea però che se “l'élite brasiliana vive ipnotizzata e diseducazione dalla cultura di massa”, le province “seguono avidamente i metropoliti perché incapaci di esprimere giudizi critici, pensieri autonomi come l'autostima”.

Ambrozio ritiene che la rovina e la devastazione di Petrópolis - risultato del suo declino economico e industriale - possano essere invertite con l'inclusione della cultura nella politica della città. Quando si sommano memoria e immaginazione, passato e futuro, si apre la possibilità – in un deciso ribaltamento – di intendere i problemi amministrativi, urbani e sociali “come corollari del fenomeno culturale”. Per lo meno, l'ordine del giorno della discussione cambia con l'inserimento di nuove domande: “Cos'è Petropolitan? Cosa minaccerebbe il tuo posto? Cosa fare in città? Il dialogo è con Rio de Janeiro o con il corso del fiume Piabanha?”.

Le proposte di Júlio Ambrozio, elencate nell'articolo “Cultura e arte” (senza dubbio uno dei punti salienti del libro), si ispirano al progetto di Schiller di educazione estetica dell'uomo. Centro irradiante di una nuova socialità, la Segreteria Comunale della Cultura dovrebbe privilegiare la “formazione culturale” e non la costruzione di spazi e l'organizzazione di eventi. Spazio ed evento avrebbero senso come base ausiliaria di una “formazione” che permetterebbe “la realizzazione di una produzione culturale costante e media, perché è lì che emerge la vetta, si direbbe l'eccellenza”.

Questi compiti difficilmente saranno svolti in modo soddisfacente se gestiti solo da burocrati e/o specialisti universitari. Richiedono una forma di azione che è un attributo dell'“intellettuale-statista”. Con questo termine Júlio Ambrozio designa il lignaggio di intellettuali formatosi nel lignaggio multidisciplinare del saggismo – da José Bonifácio de Andrada e Silva a Darcy Ribeiro – che si dedicarono a funzioni amministrative. Un ristretto gruppo che suggellò “l'alleanza tra biblioteca e politica”.

Nel 2005, Júlio è entrato nel dottorato in geografia presso l'USP. Ha difeso la sua tesi nel 2008. Pochi mesi dopo, è stato approvato in una gara pubblica per un corso presso il Dipartimento di Geografia dell'Università Federale di Juiz de Fora (UFJF). La tesi è diventata un libro nel 2013, in collaborazione tra Escrita Fina e Fapemig, dal titolo Petrópolis: Il presente e il passato nello spazio urbano. una storia territoriale.

In “Avviso al lettore”, Júlio Ambrozio evidenzia il mantenimento dell'approccio analitico presente nei suoi studi precedenti, in particolare nel libro Geografia petropolitana, un orientamento che gli ha permesso di “ribaltare la parzialità di gran parte della letteratura su Petrópolis, da sempre inoculata di una sistematica imbarazzante prospettiva dell'autoctono di fronte all'alloctono, facendo valere la sottomissione del petropolita – specie quella nata povera – in relazione allo straniero aristocratico/repubblicano”.

Quando si attraversa la “vasta e ricca biblioteca petropolitana” liberata da questo fardello ideologico, diventa possibile percepire che “il potere territoriale era indubbiamente la totalità che inquadrava la vilegiatura e l'industria di Petrópolis, un potere che viene utilizzato fino ad oggi, con la contemporanea urbanizzazione turistica del comune”.

Nel 2001, Júlio Ambrozio aveva pubblicato prove in montagna (Ponte delle Catene). In Geografia petropolitana prevalse il saggismo culturale. In Libretto di righe distratte il genere predominante sono le cronache. Questa terza raccolta raccoglie appunti sui libri. Le opere commentate sono state selezionate secondo affinità personali, intellettuali e politiche. Il risultato consiste quindi in testi supponenti piuttosto che recensioni. Sono valutazioni longanime cucite insieme con ampiezza e spirito di comunione.

Il differenziale di prove in montagna è il peso attribuito alla politica, che costituisce “riga e compasso” degli altri domini. Il quadro politico spicca anche quando si tratta di considerazioni in merito Il mecenatismo pombalino e la poesia neoclassica, di Ivan Teixeira o le memorie di Edmundo Jorge. Gli articoli sono stati scritti nel periodo in cui Ambrozio era più aderente alle idee del Travaglio, cosa ben visibile nei commenti ai libri di Bautista Vidal e Gilberto Felisberto Vasconcellos – due intellettuali che orbitavano attorno al PDT e Leonel Brizola.

Questa approssimazione risultava, secondo lui, da “una graduale presa di coscienza della distruzione dello Stato brasiliano da parte del neoliberismo”, rendendo ancora più difficile l'equazione politica che avrebbe consentito la “ripresa dello scontro – sconfitto nel 1964 – contro l'imperialismo e il suo interno servitori”.

L'articolo “O farroupilha Leonel Brizola” – scritto in occasione della morte dell'ex governatore di Rio de Janeiro e Rio Grande do Sul e inserito in Denunce della provincia – condensa l'interpretazione di Labor di Júlio Ambrozio. Si tratta di un movimento di matrice gaucho, con origini nel federalismo meridionale e nel castillistismo, che, sotto il comando di Getúlio Vargas, nel 1930, fornì le basi per un'alleanza tra la classe media e il popolo. Da allora, nel Paese, si è instaurato il confronto tra la Nazione (compreso il mercato interno) e l'Imperialismo; nella lotta, sostenuta dal triangolo “popolo, esercito e industria”, per la costruzione della civiltà brasiliana.

Il lavoro, così concepito, si batte per il rafforzamento dello Stato come precondizione per la decolonizzazione del paese e l'istituzione di una socialdemocrazia. Agendo in questa direzione, questo movimento avrebbe, secondo l'autore, impiantato nella cosiddetta Era Vargas lo “Stato brasiliano del benessere sociale”.

Nelle sue parole: “il cosmo di questo periodo – 1930-1964 – esisteva in trance, questo significa solo che il popolo brasiliano ha esercitato la sua spinta energetica, creativa e di resistenza, affermando così che la sua civiltà non sarebbe stata costruita a immagine del ex URSS e USA, ma come brasiliano popolare e sovrano: Ary Barroso, tredicesimo stipendio, Villa Lobos, carta di lavoro, Tia Ciata, Petrobrás, Oscar Niemeyer, Vale do Rio Doce, ISEB, riforme di base, Portinari, BNDE, Gustavo Capanema, legge sulle rimesse dei profitti, Companhia Siderúrgica Nacional, ferie pagate, Maria Lúcia Godoy, FNM, voto delle donne…".

Con l'amnistia, nel 1979, Leonel Brizola, combattente di questo filone dalla seconda metà degli anni Cinquanta, torna “come legittimo e unico erede del Labour”. Brizola, con “un mirabile senso di responsabilità per la sua terra, il suo mondo, la sua tradizione e la sua storia”, ha saputo tenere accesa la fiamma dell'eredità dell'era Vargas, in un periodo di egemonia intellettuale e politica della globalizzazione e del neoliberismo.

I due articoli più recenti raccolti in Denunce della provincia, dal 2015, affrontano l'attuale rinascita del ciclismo urbano. In “La bicicletta e Petrópolis”, Júlio Ambrozio presenta il suo progetto per tre piste ciclabili – illustrato con schizzi dell'architetto e urbanista Cesare Migliori –; soluzione che indica ai problemi di congestione nel primo quartiere della città. Propone un cambiamento radicale degli investimenti nelle infrastrutture urbane, sulla base della logica che sono le strade a determinare le forme di circolazione.

Il saggio “La bicicletta e la città” mobilita conoscenze storiche, economiche, geografiche e urbane per cercare di comprendere le ragioni per cui le città hanno privilegiato, su scala globale, dalla fine della seconda guerra mondiale, “il trasporto automobilistico individuale, la rete stradale e parcheggi a danno dei pedoni, piazzali e biciclette”.

Questa opzione ha creato la mentalità – prevalente sia nell'amministrazione che nella coscienza della maggior parte dei cittadini – che “il motore a combustione interna ha la priorità assoluta e la precedenza nelle città e nelle autostrade”. In modo tale che, “in Brasile, la bicicletta ha prestigio solo come attrezzo da palestra, come sport cardiovascolare e antidiabetico, limitato al fine settimana, o ristretto a dispute sportive ambientate in aree che, nella stragrande maggioranza dei casi , non pregiudicare il predominio automobilistico.

Le recenti misure a favore della ciclabilità urbana – in questo contesto – esprimono e approfondiscono una contraddizione che Júlio Ambrozio sottolinea appunto: “Se, dal punto di vista produttivo, il motore a combustione interna gioca ancora un ruolo importante nella struttura riproduttiva del capitalismo, dal punto di vista spaziale e urbanistico, invece, contribuisce all'insolvenza della circolazione, generando così disfunzioni od ostacoli per quella stessa struttura riproduttiva; tutto questo senza menzionare il notevole effetto di questo veicolo sulla concentrazione di anidride carbonica nell'atmosfera”.

La militanza nella causa ambientale, che Júlio mantenne per tutta la vita, porta a questo recente attivismo. Impossibile non citare, però, la ricorrente ricerca della felicità individuale e collettiva, evidente, ad esempio, in questa descrizione del fascino del ciclismo: “La bicicletta, infine, porta piaceri irriducibili e mai minacciati dall'automobile. Non a caso, pedalando, molti portano il sorriso sulle labbra. Facendo bene alla salute fisica, dona anche una certa fiducia in se stessi – in fondo, bambino o anziano, chi pedala raggiunge una certa altezza quando prende coscienza del proprio equilibrio e della propria forza”.

Nel 2011, Júlio Ambrozio ha pubblicato il suo terzo romanzo, Il passaggio circolare di Honorio Desterro (Bella scrittura). Desidero presentare qui il resoconto del ricevimento e le mie considerazioni sul libro. Mi rendo conto, però, che questo testo è già andato ben oltre le dimensioni e la portata di una Postfazione. Rimani per il prossimo...

*Ricardo Musse È docente presso il Dipartimento di Sociologia dell'USP. Autore, tra gli altri libri, di Durkheim: fatto sociale e divisione del lavoro (Attica).

 

Riferimento


Giulio Ambrozio. Denunce della provincia. São João del-Rey, Grumixama, 2022, 294 pagine.

 

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