Uno studio sul caso Ailton Krenak

Carlos Zilio, Identità ignorata, 1974
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da MARIA SILVIA CINTRA MARTINS*

Preferisco sognare con Krenak un'affinità con la natura e le pietre piuttosto che imbarcarmi nella naturalizzazione del genocidio

Questo articolo o saggio – nell’indecisione che è presente oggi – discute, sulla base di un caso recente, l’articolo pubblicato sul sito web la terra è rotonda, la differenza tra posizioni politicamente rivoluzionarie e posizioni retrograde.

Il professor Filipe de Freitas Gonçalves – che sappiamo essere un insegnante dal riferimento che fa ai suoi studenti, che sembrano cercare di dissuadere le idee difese da Ailton Krenak, da lui considerate regressive – lo definisce autore di tre libriccini – conoscendo sicuramente molto bene il valore dispregiativo del diminutivo nella lingua portoghese in questo caso. Secondo lui, questi piccoli libri hanno un forte potere di persuasione, derivante da una certa oralità indigena che portano con sé. Ma non sarebbero dotati né di coesione né di sistematicità, il che li renderebbe avversi ad ogni critica.

L’autore di questi libricini – l’emerito scrittore, giornalista e filosofo brasiliano Ailton Krenak – sarebbe qualcuno che conosce la cultura occidentale solo come qualcuno che ne ha sofferto le conseguenze, e non per merito intellettuale. Infatti, il suo riconoscimento e l'ingresso nell'Accademia brasiliana di lettere sarebbe avvenuto solo a causa del carattere retrogrado del suo pensiero. 

Dal profondo del suo risentimento e della sua ignoranza, Filipe non conosce Krenak come intellettuale (o non è disposto ad attribuirgli questo attributo), e non sembra sapere che l'emerito scrittore e ambientalista indigeno abbia ricevuto il titolo di medico. causa onoraria da UnB. Quando lo scoprirà, probabilmente dirà che ciò era dovuto al suo fascino inebriante e non a un merito genuino.

Stranamente, però, da un certo punto del suo testo (pubblicato qui in La Terra è rotonda a luglio, con il titolo “La produzione saggistica di Ailton Krenak”), Filipe comincia ad usare un certo linguaggio colloquiale, senza conoscerlo a fondo (malgrado si consideri marxista), che conferisce al suo linguaggio una qualità ibrida e imitativa, che notiamo presto quando notiamo la sua mancanza di padronanza dei proverbi, dimenticando che il bambino venga gettato con l'acqua della vasca da bagno – e non, ovviamente, del secchio!

E a proposito di proverbi, vediamo che la scimmia non riesce a vedere la propria coda – oppure coltiva il complesso di Avestroutrem, se vogliamo essere più sofisticati. 

Il problema, forse, è in realtà più profondo: altrimenti, da dove verrebbe tanta paura? Certamente dal suo marxismo religiosamente mistico e idealizzante, da cui estrae le sue frecciate. Dopotutto, accettare la difesa di Krenak del ritorno a madre natura causerebbe un enorme shock alle sue convinzioni, poiché arriverebbe a credere che le popolazioni indigene siano effettivamente a rischio di estinzione, e che debbano essere così, secondo la logica evolutiva prevista in il pensiero mistificante – e retrogrado – al quale si aderisce.

Razzismo ed etnocentrismo, questa è la trappola reazionaria alla quale ancora ci allineiamo, certamente senza rendercene conto.

Vivremmo in una società in continua evoluzione, nella quale anche le crisi fanno parte di questa evoluzione, così come la separazione dalla natura. Dobbiamo solo accelerare su questo percorso, al fine di evitare disastri maggiori – ma mai e poi mai immaginare un ritorno alla natura o i ritardi della cultura indigena. Dopo tutto, chi sarebbe disposto a rinunciare al dipirone o ai trattamenti contro il cancro contemporanei?

Questo è il pensiero coeso e sistematico che ci offre Filipe, negando la possibilità mistica di parlare con una pietra, o di avere il fiume come nonno. 

È vero che i due pensieri non possono, in linea di principio, essere coerenti – il pensiero analitico e razionale e il pensiero mistico – ma non è così sicuro che entrambi non abbiano il loro contenuto passionale, o che entrambi non si intersechino, dinamicamente, nel percorso evolutivo della Storia.

Nemmeno se l'argomentazione di Filipe è così coerente e sistematica come sostiene. Si noti che, da un lato, critica aspramente l'affermazione di Krenak secondo cui tutto sarebbe natura; ma, d'altra parte, è lui stesso a naturalizzare il genocidio! Sembra, in fondo, che ci sia un certo limite da evitare, affinché non siamo tutti distrutti ed estinti, ma che questo limite non si adatti agli indigeni con la loro episteme mistica – che deve necessariamente essere superata, nell’unico senso negativo del termine. A questo punto il suo pensiero – che ritiene coeso e sistematico – comincia a ricordarmi un certo nazionalsocialismo.

Penso tra me: preferisco sognare con Krenak una parentela con la natura e le pietre – un sogno che prevede la nostra fraternità umana con tutto e tutti – piuttosto che imbarcarci nella naturalizzazione del genocidio – all’interno di un marxismo che avrebbe potuto solo essere letto male e scarsamente interpretato. digerito, poiché non sembra adattarsi a ciò che impariamo dal materialismo dialettico.

Per questo motivo il suo pensiero è retrogrado, e non ha ancora raggiunto nemmeno le soglie del XX secolo, per non parlare del XXI secolo, in cui si inseriscono le parole ben dette e scritte da Ailton Krenak, come avanguardia rivoluzionaria.

Insiste su un marxismo (mal digerito) del XIX secolo e ritiene – a quanto pare – che questa forma di pensiero limitata e meccanica spiegherebbe i fenomeni contemporanei; si concentra su binari meccanicistici – selvaggio/civilizzato, oralità/scrittura – e ignora il pensiero complesso che stiamo costruendo dalla fine del XX secolo, o anche prima; non conosce il movimento indigeno contemporaneo, chiama ancora indiani i nostri indigeni e li getta nel passato, riservando tempo e spazio contemporaneo a quelli che chiama brasiliani (che secondo lui sarebbero indigeni già integrati e acculturati). Secondo lui, quindi, la voce di Ailton sarebbe una voce morta, proveniente da un passato irrecuperabile. Nel suo razzismo rapisce il diritto dei popoli indigeni alla contemporaneità. 

È chiaro che uno dei movimenti più importanti per uscire da questa posizione marcatamente retrograda in cui si trova dovrebbe implicare un desiderio genuino di conoscere meglio i nostri popoli indigeni, in particolare in tutto ciò che hanno costruito a partire dalla Costituzione del 1988. in ambito culturale, artistico, cinematografico, accademico. Infatti, a causa della sua petulanza e ignoranza della causa, si riferisce ai dipinti realizzati sul suo volto da Ailton Krenak nel 1988 come realizzati con argilla nera. Un altro segno della sua scarsa conoscenza delle cause e delle culture indigene che crede di poter criticare.

Di errore in errore, la sua posizione si rivela retrograda – ma la principale risiede nella sua lettura strutturalista del marxismo, strutturalista e quindi non dialettica, che compromette la sua stessa concezione della Storia, che diventa lineare e meccanicistica. Non è ciò che postula il marxismo, e per questo finisce per seppellire gli indigeni (che chiama ancora indiani) nel passato. Per Filipe – nella sua argomentazione infondata, che vuole essere coerente e sistematica all’interno di una lettura errata del marxismo – sono e devono essere morti. Dove erano previste, nella tua lettura, le assimilazioni – cioè le rotture e le continuità – nel materialismo dialettico? Per lui, i nostri indigeni sarebbero morti insieme a tutta la loro zavorra mistica, e rimarrebbero solo i resti della loro cultura materiale? 

Secondo lui la voce di Krenak sarebbe una voce già destinata a morire, anche perché proverrebbe dalla morte. Questa linea di pensiero prevede l’assimilazionismo alla cultura egemonica e, quindi, la resa delle culture intese come subalterne, in una prospettiva marcatamente reazionaria.

Lo studio di questo caso – che ci viene presentato dall’articolo errato e presuntuoso del professore e dottorando Filipe – è degno di nota per riflettere sul contrasto tra assimilazionismo (cioè i movimenti di assimilazione e acculturazione alla cultura egemonica, con oppressivo, retrogrado e reazionario) e l'assimilazione come Sollevamento (che prevede distruzione/superamento e continuità). Quest'ultima – prevista dal materialismo dialettico (e di natura marcatamente rivoluzionaria) – implica necessariamente la sopravvivenza dell'eredità derivante dagli strati subalterni – e non la sua morte, come ci suggerisce la lettura errata di Filipe.

*Maria Silvia Cintra Martins è professore senior presso il Dipartimento di Lettere dell'UFSCar ed editore di Rivista indigena LEETRA. Autore, tra gli altri libri, Tra parole e cose (Unsp). [https://amzn.to/4bNdQ0E]


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