Un film militante di Ettore Scola

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da TESSUTO MARIAROSARIA*

Panel delle lotte politiche e sindacali che scossero l'Italia tra gli anni Sessanta e Settanta

Tra i lungometraggi di Ettore Scola ce n'è uno che si discosta dalle caratteristiche della sua produzione. Riguarda Trevico-Torino – viaggio in Fiat-Nam (Trevico-Torino: viaggio in Fiat-Nã, 1973), che precede il periodo più fecondo della sua traiettoria, da Abbiamo amato così tanto (Noi che ci amavamo tanto, 1974) in poi. In esso, narrando la storia del giovane Fortunato Santospirito, emigrato a Torino per lavorare alla FIAT, Ettore Scola tratteggia uno spaccato delle lotte politiche e sindacali che agitarono l'Italia tra gli anni Sessanta e Settanta.

Il titolo di questo film militante allude alle migrazioni interne, che caratterizzarono l'Italia soprattutto negli anni Sessanta, a seguito della ripresa economica che colpì prevalentemente il Nord Ovest del Paese, dopo che si era ripreso dai disastri della guerra. Trevico (dove è nato il regista), frazione della città di Avellino, in Campania, quindi nel sud Italia, è un paese come quello che Ettore Scola ritrarrà in Splendor (Splendor, 1988). E Torino è una delle tre grandi città industriali del Nord (insieme a Milano e Genova), dove, in cerca di una vita migliore, la stragrande maggioranza degli italiani del Sud, ma anche delle regioni centrali (Toscana) e del nord-est della penisola (Trentino e Friuli), as Trevico-Torino: viaggio in Fiat-Nam spettacolo.

Inoltre, l'accostamento dell'acronimo FIAT (Fabbrica Italiana Automobili Torino) e della denominazione geografica Vietnam, evocando la guerra allora combattuta nel sud-est asiatico tra due grandi fronti ideologici, traduce già l'idea di conflitti interni da affrontare nell'opera di Ettore Scola.

Nello stesso contesto descritto nell'articolo “La classe operaia non è arrivata in paradiso”, pubblicato sul sito la terra è rotonda Si inserisce la storia del giovane Fortunato Santospirito (il cui nome e cognome hanno una connotazione amaramente ironica), che arriva a Torino per lavorare alla FIAT proprio durante il cosiddetto “autunno caldo”, quando si intensificano le esigenze della classe operaia italiana.

Lì conobbe in prima persona lo sfruttamento e l'alienazione a cui erano soggetti i lavoratori e il trattamento riservato dalla popolazione locale a chi veniva dal Sud,, quasi tutte indistintamente soprannominate "napoli” (che corrisponderebbe a “paraíba” o “baiano”), pur provenendo da località diverse dalla città di Napoli,, come ricorda lo stesso Ettore Scola in un'intervista per il libro cinema politico italiano: “Molti dei meridionali che lavoravano a Torino hanno vissuto in prima persona i contrasti, le difficoltà dei nuovi lavori. Proviamo a immaginare quanto potesse essere difficile per loro appropriarsi di gesti che nulla avevano in comune con l'attività rurale. Lì si trovavano davanti a macchine sconosciute, e non a caso la percentuale di infortuni sul lavoro era altissima. Per non parlare delle condizioni di vita: all'inizio degli anni '1970 la Fiat non aveva ancora una mensa, e gli operai si portavano da casa i cestini del pranzo e all'ora di pranzo cominciavano a mangiare tra i macchinari, o nei patii. Poi hanno conosciuto un'altra difficoltà, legata al fatto che non avevano una coscienza operaia: erano contadini e, quindi, non sapevano cosa fossero le lotte sindacali, i diritti dei lavoratori. E poi c'era la città, quella Torino così severa, fredda, chiusa che spesso manifestava nei loro confronti un'insofferenza che rasentava il razzismo. Una città dove non era difficile trovare cartelli con la scritta 'Stanze in affitto, ma non per meridionali'”.

il protagonista di Trevico-Torino: viaggio in Fiat-Nam si rende conto della difficoltà di inserirsi nel mondo automatizzato della fabbrica – dove lavora tanto quanto nei campi, ma lì almeno sapeva a cosa serviva il suo lavoro (come concluderà lui stesso alla fine del film ) – e in quella città, che arrivi in ​​una giornata di nebbia e che conosci passeggiando per le vie del centro, con i suoi edifici degradati, destinati ai forestieri.,

La prima e breve amicizia che stringe è con Beppe, figlio di madre sarda e padre friulano, indizio di una migrazione precedente e del radicamento della discriminazione, perché, sebbene il giovane, che lavora in un bar, sia nato a Torino , continua ad essere emarginato e sfruttato.

Così Fortunato, a poco a poco, acquista una coscienza politica, quando incontra il prete di un centro di assistenza sociale, un suo quasi conterraneo (che parla dei guai degli esiliati), quando riprende gli studi in un corso notturno e quando si relaziona con un sindacalista comunista e con Vicki, una giovane studentessa che milita Lotta continua, con il quale diventa emotivamente coinvolto.

Il momento del primo incontro tra Fortunato e Vicki è piuttosto interessante: la ragazza appare, in primo piano, intenta a fare campagna elettorale, mentre il ragazzo si muove dietro di lei, a destra e a sinistra, come se volesse essere messo a fuoco dalla telecamera per cui va il giovane. Si tratta infatti di una sorta di danza erotica, che si ripete quando Fortunato osserva alcune teste di manichino con parrucche – con i loro occhi seducenti e le loro bocche rosse e carnose, come quelle di Vicki –, che, seguite dalla sequenza in cui piange nel dormitorio, sdraiato sul suo letto, esprime bene l'idea del desiderio e la repressione del desiderio da affrontare.

Come affermano Orio Caldiron, Elio Girlanda e Pietro Pisarra, siamo di fronte a un esempio di cinema militante che fotografa una condizione umana di disagio ed emarginazione, in cui è stata inserita una storia privata, delicatamente sentimentale.

L'idillio tra Fortunato e Vicki, seppur segnato e troncato dalle differenze sociali tra i due, non è improbabile, poiché, come ricorda Scola (nella citata intervista), subito dopo il 1968 era consuetudine che gli studenti universitari si trovassero davanti al gates della FIAT per parlare con i lavoratori e fomentare ancora di più la lotta contro i padroni, bollati come fascisti nel film, anche se questo film non si sofferma sulla divisione tra il Partito Comunista Italiano, che dominava il sindacalismo, e la extracomunitaria -gruppi parlamentari, che contestavano questa egemonia.,

E tutti gli sfruttati dai padroni assistono alla manifestazione nel piazzale, con le sue bandiere rosse, in cui, come dice il film, è rappresentata tutta l'Italia. In questo senso è interessante soffermarsi su un attaccante che spiega la sua bandiera aggrappato a una statua che onora l'emergere del Paese come nazione, come se il sindacato dei lavoratori italiani non si fosse ancora concretizzato, perché esclusi da quella politica unificazione operata dal capoclasse.

Poiché la direzione FIAT non sempre permetteva riprese all'interno dei suoi stabilimenti, Scola utilizza immagini fisse della catena di montaggio (sulla quale aggiunge i sottotitoli), che modulano la trama. Ciò che non si può mostrare viene commentato dai vari personaggi o compare nelle interviste effettuate alla porta dello stabilimento di Mirafiori. Queste ricordano le brevi scene che caratterizzavano il teatro di agitprop, con gli intervistatori Vicki e Fortunato che provocano, grazie alle loro domande, il gioco dell'agitazione, per estrarre dalla classe operaia il proprio punto di vista sulle vicende socio-politiche che hanno scosso il Paese.

In questo modo, una cronaca in cui lo spettatore vedrebbe il funzionamento della catena di montaggio è sostituita dal resoconto delle condizioni di questo lavoro, in cui l'operaio proveniente dal campo, perdendo le sue radici affettive, sociali e culturali, cessa di essere un soggetto e diventa, nel mondo neocapitalista, un mero individuo, cioè un oggetto, come sottolinea Alberto Moravia: “L'idea è sempre la stessa: esplorare l'universo rurale moribondo senza fare nulla per aiutarlo a diventare urbano . Quindi: niente alloggio, niente assistenza sociale, niente scuola, niente di niente; solo il lavoro dai ritmi disumani in ogni modo e poi la vita privata disumana in ambienti squallidi, praticamente da schiavi (dormitori, cintura periferica, mense, ecc.)”.

Pertanto, in diverse occasioni, Trevico-Torino: viaggio in Fiat-Nam ricorda che il lavoro dovrebbe esserci ovunque, senza che i lavoratori siano costretti a lasciare l'angolo di casa. Alla fine del film, il serrato susseguirsi di questi fermi immagine, che si alternano alla crescente stanchezza degli operai, visibile sul tram o sul corso notturno, traduce bene l'idea di come i ritmi imposti dalla fabbrica distruggano persone. E Fortunato, che dopo aver litigato con il caporeparto, viene trasferito in una fabbrica più lontana dal centro, dove il lavoro è molto più pesante, schiacciato dalla fatica e sentendosi un pezzo di scarto (come gli scarti industriali del suo settore), decide di abbandonare quella vita, esprimendo tutta la sua angoscia nell'ultimo grido.

*Mariarosaria Fabris è professore in pensione presso il Dipartimento di Lettere Moderne della FFLCH-USP. Autore, tra gli altri testi, di “Cinema Italiano Contemporaneo”, che integra il volume Cinema del mondo contemporaneo (Papirus).

Riferimenti


BRUNETTA, Gian Piero. Storia del cinema italiano dal 1945 a quest'anno. Roma: Editori Riuniti, 1982.

CALDIRON, Orio et al. “Trevico-Torino… Viaggio nel Fiat-Nam”. In: GIAMMATTEO, Fernaldo Di (org.). Dizionario del cinema italiano. Roma: Editori Riuniti, 1995.

MORAVIA, Alberto. “Quel treno arriva a Torino”. In: Cinema italiano: recensioni e interventi 1933-1990. Milano: Bompiani, 2010.

PRUDENZI, Angela; RESEGOTTI, Elisa. “Ettore Scola”. In: cinema politico italiano. San Paolo: Cosac Naify, 2006.

note:


[1] All'interno della filmografia di Scola, Fortunato sarebbe una sorta di fratello minore per i protagonisti di Dramma della lattice – Everything I particolari in cronaca (gelosia italiana, 1970) e Permettere? Rocco Papaleo (Rocco Papaleo, 1971), come sottolinea Gian Piero Brunetta, e, nella galleria di personaggi che hanno caratterizzato il cinema politico italiano degli anni Sessanta e Settanta, è ancora imparentato con i piccoli impiegati o lavoratori di Il Posto (Opposto, 1961), di Ermanno Olmi, “Renzo e Luciana”, puntata di Boccaccio '70 (Boccacci 70, 1963), di Mario Monicelli, La lezione di opera va in paradiso (La classe operaia va in paradiso, 1971), di Elio Petri, e Mimì metallurgico ferito nell'onore (Mimi il metalmeccanico, 1972), di Lina Wertmüller, solo per citare alcuni esempi.

[2] "Napoli” era il termine usato in modo dispregiativo per designare un meridionale immigrato al Nord. Il suo utilizzo è probabilmente dovuto al fatto che tutte le regioni del Mezzogiorno, eccetto la Sardegna, appartenevano al Regno di Napoli o Regno delle Due Sicilie, prima dell'unificazione del paese (1860).

[3] Sarà presente l'impatto provocato sugli abitanti del Sud al loro arrivo nelle città del Nord così ridevano (È così che ridi, 1999), di Gianni Amelio, la cui sequenza iniziale si svolge anch'essa a Torino e rimanda, a sua volta, all'arrivo della famiglia siciliana nella fredda Milano, in Rocco ehi i suoi fratelli (Rocco e i suoi fratelli, 1960), di Luchino Visconti.

[4] Questo forse perché il regista era affiliato al Partito Comunista Italiano e Unitelfilm (legata al partito) ha prodotto il film. Per questa casa di produzione il regista ha realizzato alcuni lavori, come la registrazione dei festival promossi dal PCI – Festival dell'Unità 1972 (1972) e Festival dell'Unità (1973) – e il funerale dell'ultimo grande leader comunista – L'addio a Enrico Berlinguer (1984) –, che, insieme a un sondaggio su Lotta continua e alcune sequenze girate nella periferia romana in onore di Pier Paolo Pasolini (quando morì), costituiscono ciò che Scola chiama documenti, rifiutandosi di usare il termine documentario, poiché questi lavori avevano poco a che fare con il cinema in senso stretto (come si afferma in la suddetta intervista).


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