una nuova opportunità

Clara Figueiredo, serie_ Brasília_ funghi e simulacri, congresso nazionale, 2018.
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da LEONARDO MAIO & PAOLO DOMENECH ONETO*

Il Brasile del momento attuale ha un disperato bisogno di nuove idee

“Cosa può fare oggi la filosofia? […] Penso che il compito della filosofia non sia quello di fornire risposte, ma di mostrare come il modo in cui percepiamo un problema possa essere esso stesso parte di un problema. Mistificandolo invece di permetterci di risolverlo. Non ci sono solo risposte sbagliate, ci sono anche domande sbagliate. […] Quello che posso fare, come filosofo, è solo analizzare come noi percepiamo il problema” (Slavoj Zizek, conferenza anno di distrazione).

 

1.

“È necessario salvaguardare la democrazia brasiliana”. Questo sembra essere il problema centrale della nostra vita politica in questo momento, dopo le ripetute minacce antidemocratiche per tutto il mandato del precedente presidente, Jair Bolsonaro, e che permangono. Non c'è dubbio che l'attenzione al tema della democrazia sia imperativa, non solo per i fatti accaduti l'08 gennaio, ma anche per il tono ideologico generale di questo estremismo conservatore che si è installato nella società brasiliana dalla metà del ultimo decennio.

Tuttavia, se la politica contemporanea è anche, o soprattutto, una politica degli affetti – “micropolitica”, per usare la terminologia dei filosofi francesi Gilles Deleuze e Félix Guattari –, vale la pena chiedersi chi tocca davvero questo problema; che materialmente tocca e raggiunge. In questo caso, filosofia e politica si uniscono, perché se la politica non riesce a identificare i grandi problemi da affrontare, o gli affetti che la definiscono/configurano, la possibilità di fallimento nella sua pratica tende ad essere il tonico. Viene subito da chiedersi se il problema che si è delineato in questi anni – e che si è rafforzato proprio nella domenica della simbolica distruzione dei tre poteri –, per quanto grande possa essere, cioè il problema della democrazia in pericolo, sarebbe essere un adeguato e, soprattutto, sufficiente per risolvere le attuali impasse della scena politica brasiliana.

In un Paese grande e complesso come il Brasile, vale forse la pena considerare se questa prospettiva semplicistica di dare centralità a un unico tema mantenga una qualche coerenza. Insomma: dedicare la nostra esclusiva attenzione al tema della democrazia in crisi ci permetterebbe davvero di affrontare i nostri limiti rispetto ad essa?

La 'questione della democrazia' in Brasile dipende chiaramente ed essenzialmente da altre, che sarà sempre necessario evocare se vogliamo affrontare tra noi il senso e l'orientamento di questa esperienza politica. Quindi, insistiamo, non sarebbe temibile concentrarsi sull'unica, esclusiva questione, dimenticando appunto che una tale crisi democratica non è la causa, senza essere, in fondo, sintomo o effetto di tanti altri mali della società brasiliana? Malattie quelle senza il cui confronto è impossibile uscire (o anche solo capire) da ogni crisi.

Oltre alla difficoltà della 'semplicità', c'è ancora un aspetto legato all'ordine del problema. La democrazia è un principio e un'ovvia precondizione per altri sviluppi? O è un mero risultato, possibile da altre possibilità, senza il quale rimane solo un'immagine astratta, un costrutto formale, come temeva Marx? Infine, è anche necessario considerare una "paternità" per tale problematizzazione. Da dove viene questo tema? Chi serve? Come funziona?

Non si può non considerare l'ipotesi che porre il problema solo sul piano della feroce difesa della democrazia sia esattamente la forma di problematizzazione voluta dalle stesse forze che si vogliono affrontare. Non sarebbe tipico della destra più di destra incollare i propri oppositori all'immagine di una democrazia astratta/fragile per squalificarla in nome di altri valori?

Da tutto ciò, e anche dai risultati stessi delle recenti elezioni, si configura questa spinosa questione, se la qualificazione della democrazia, o anche se la democrazia in sé stessa sia una costruzione rilevante per molti brasiliani e brasiliane. Così, sembra poco incidere, in buona parte, se l'intenzione ultima sia quella di recuperare o sopprimere la democrazia, poiché in fondo poco andrebbe perduto, dato il suo grado di astrazione. Ciò potrebbe rivelarsi, allora, contrariamente a quanto sembra, una metodologia che potrebbe aiutare e non svuotare le prospettive politiche dell'estrema destra populista – questa che si rafforza proprio perché più attenta ai problemi concreti della vita quotidiana dei maggioranza della popolazione.

La sinistra (o quel che ne resta) viene così spinta verso un tema o un problema che, in fondo, può interessare (o preoccupare) poco il grosso della popolazione. Una triste verità della politica brasiliana è certamente il fatto che dove c'è il popolo non c'è la democrazia – un valore ancora astratto per loro (il popolo), e non solo dall'attacco di domenica ai simboli democratici.

SÌ. Anche in politica ci mostriamo un po' come un'immensa Belindia: da una parte la difesa 'belga' della democrazia, dall'altra un''India' che nemmeno accompagna o è interessata a seguire il dibattito intorno a questo nozione.

Di fronte a tutto questo vale la pena recuperare una formula del già citato Gilles Deleuze: in politica si tratta di spostare (e non correggere). È uno spostamento radicale di cui abbiamo bisogno, e anche in relazione ai nostri attuali 'problemi', eventualmente declassati, inadeguati, improduttivi, se non altro perché non siamo stati noi, i cosiddetti progressisti, a proporli di fatto.

 

2.

Eppure, rispetto a questo quadro molto complesso, il neoeletto governo sembra puntare su soluzioni semplici, ripetendo il suo precedente passaggio. Tutto sembra pensato come l'ultima volta.

Rispetto ai fatti di domenica, ad esempio, il governo tende a privilegiare un all'unisono 'viva la democrazia', gettando nel campo opposto tutte le espressioni contrarie. Qualcosa come 'chi non è con me, è contro di me' (o, in questo caso, contro un 'sistema' – il sistema della democrazia, dello stato di diritto, ecc…). Di fronte all'impatto degli eventi, l'obiettivo è quindi quello di caratterizzare un avversario che sarebbe, per così dire, direttamente responsabile di lui, solo rafforzando il proprio antagonismo e polarizzazione nei suoi confronti. Ma, a rigor di termini, nulla è politicamente costruito in questo modo. La sensazione che rimane è che si cerchi solo di (ri)affermare nuove elezioni - ora necessariamente immaginarie -, durante il mandato stesso. L'orizzonte chiaramente dovrebbe essere diverso.

C'è un modo in cui funziona bene?

Forse... Se c'è ancora uno sforzo, un compito più grande. Se il governo osa di più e cerca di essere una sorta di Big Bang, il processo radicalmente disparato di un progetto veramente nuovo, con maggiore chiarezza sul futuro della società che si desidera: un nuovo governo, da cancellare dai cuori e dalle menti, non appena come tempo possibile, gli ultimi anni di distruzione, condensati simbolicamente negli atti dell'8 gennaio.

Non ancora. C'è la sensazione di una condizione negativa, di assenza di lavoro. Il governo sembra voler chiarire soprattutto i propri limiti. Dopo le elezioni, non c'è stato molto da presentare come novità politica e sociale – la campagna elettorale si è concentrata sull'importanza di salvare gli anni d'oro delle prime amministrazioni Lula (si tenga presente che l'1% di differenza nelle elezioni è dovuto tanto a bolsonarista l'immanenza reazionaria non è stata superata.E poi, c'è da chiedersi perché tanta difficoltà contro un avversario in linea di principio così mediocre).

È difficile vedere che al PT manca ancora una rottura, un'autocritica. Autocritica politica, che un certo orgoglio sembra bloccare. A quanto pare, il PT e i suoi alleati non capiscono nemmeno, per eccesso di moralismo e manicheismo, il fenomeno estremista reazionario di cui il bolsonarismo è sintomo, e non causa. Il grande rischio è evidente: diventare ostaggi – invece che protagonisti – nel processo di riaffermare tale democrazia imprecisa/formale.

Si vede che il governo è appena iniziato ed è già stato messo contro le mura di Brasilia. Niente di tutto questo poteva essere previsto, evitato? In fondo, non si tratta più solo di difficoltà dovute alla forza dell'avversario, sconfitto alle elezioni, ma frutto della fragilità nel presentare o convincere la popolazione di un progetto conseguente (situazione osservata anche da qualche ignaro membri del PT, che gli ufanisti dogmatici non vogliono o non possono capire).

Tutto indica che verranno quattro anni molto difficili, imprevedibili, ma di impossibile ottimismo.

Certo, questa imprevedibilità non è puramente negativa. Implica il fatto innegabile che la storia è dinamica. Possono sempre scoppiare nuovi eventi. E davanti a loro sono sempre possibili atteggiamenti e atti nuovi. In questo quadro generale – e considerando che la vittoria alle elezioni del 2022 è stata una vittoria parziale e provvisoria sulla tendenza protofascista – a qualcosa si può ambire. Non si tratta di ottimismo, ma di sapere che è ancora possibile chiedere al governo ea noi, politicamente distratti, maggiore attenzione e concentrazione per stabilire un vero attraversamento in questo momento politico che stiamo affrontando.

Dobbiamo esigere dal governo e da noi stessi, come società, l'elaborazione di una chiara strategia per il cambiamento all'interno dello spazio democratico apparentemente evidente e unanime. Strategia per aprire qualcosa nella sequenza degli eventi, approfittando dell'imprevedibilità – i due tempi che i greci chiamavano Cronos e Aion.

In realtà è piuttosto il terzo tempo – il tempo di Kairos – quello che ci manca di più. Tempo in cui prendiamo per noi gli avvenimenti e imprintiamo loro il nostro significato, secondo i nostri desideri. Così anche per l'idea democratica stessa.

Kairós è tempo reso opportuno per qualcosa, tempo che sarà associato, secoli dopo, al virtù del filosofo fiorentino Machiavelli. UN virtù sarebbe la capacità dei governanti di sfruttare le opportunità nell'affrontare le avversità politiche.

Dobbiamo quindi mantenere attenzione e concentrazione, ma anche modestia e fermezza. Attenzione alla gravità politica della situazione attuale (non sottovalutare gli ideali dell'avversario), e concentrarsi su ciò che si desidera. Ma ancora, modestia e fermezza, per far decollare il Paese, in modo da poter andare avanti definitivamente.

Qui, infatti, si mostra forse un altro cronico problema del PT: è diventato un partito di adesso, senza domani. Non più tardi. Povertà di pragmatismo e domande del momento. Il governo ha bisogno di molta più audacia e dialogo. Ha bisogno di concepirsi come ciò che, di fatto, può essere: un governo di transizione, il cui compito principale è mantenere, sì, chiarezza sugli scopi democratici, ma lavorando attivamente per un progetto paese.

Occorre agire insieme ai settori che minacciano la legalità costituzionale (forze armate e polizia, agroalimentare, economia dominata dal 'mercato' ecc...), ma senza stigmatizzarli, e presentandone la funzione e la posizione in un quadro che voglia mossa. È importante imparare una lezione machiavellica fondamentale: negoziare sotto pressione, ma senza mai rinunciare al suo potere politico di azione efficace e reinvenzione/espansione dello spazio democratico.

Invece di sorteggiare sin dall'inizio le posizioni e trovare conveniente ogni e qualsiasi convivenza politica (che forse anticipa solo una crisi di egemonia), tocca, al contrario, richiamare più vicino la popolazione e, insieme ad essa, rilanciare una democrazia come progetto ancora incompiuto, e ciò a prescindere dalla prosecuzione del partito o del governo, come già tre decenni fa sosteneva il sociologo Florestan Fernandes.

Per concludere: speriamo che quanto accaduto l'8 gennaio 2023 possa essere letto come l'ennesimo monito che occorre concepire il terzo mandato di Lula (qualcosa di inedito nella nostra storia repubblicana) come un governo di transizione di fronte a una gravissima crisi politica che abbraccia quasi un decennio. Dal 2013 abbiamo assistito a un fallimento della leadership politica e a un declino della politica in generale. Questo è soprattutto il bersaglio da affrontare.

Si tratta di concepirsi con modestia, ma con chiarezza e fermezza, senza vantarsi. Un'umiltà necessaria per chi ha bisogno di mettere in ordine la propria casa, prima di ogni altra cosa.

Fondamentale non dimenticare che Lula – con tutta la sua popolarità e capacità – è stato eletto con una minima differenza, e l'opposizione, rafforzata soprattutto nelle camere legislative, sarà permanente; in questo senso, continuiamo all'interno di un vuoto politico, nel bel mezzo di uno dei momenti più tristi di incredulità nella possibilità di nuove idee. Ora abbiamo un'occasione in più per credere di nuovo, e per far credere che la democrazia sta per essere inventata; un'altra occasione per virtù.

Forse, la più grande mancanza è nell'assenza dell'affermazione di idee forti che modellano il nostro campo democratico. A cosa si mira in definitiva? Dove vuoi portare il paese? Non basta dire che siamo per la democrazia, né brandire le qualità di Lula o del PT. Il Brasile del momento attuale ha un disperato bisogno di nuove idee. E anche una nuova idea di te stesso.

Gran parte della migliore intelligence del paese, così come le sue forze più generose, sono solidali con l'attuale governo. Sta a noi cogliere questa opportunità unica per fare un decisivo passo avanti. O almeno da qualche altra parte. Un'occasione da non perdere, sotto il maggior rischio, non solo del ritorno al potere dell'estrema destra, ma di un nichilismo politico generalizzato in cui il motto 'viva la democrazia' ci dirà ben poco.

*Leonardo Maia È professore presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell'UFRJ..

*Paolo Domenech Oneto Professore alla School of Communication dell'UFRJ.

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