Una reliquia d'amore

Edvard Munch, Vampiro, 1895
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da BARRETO DI LIME*

Cronaca inedita scoperta dal ricercatore Alexandre Juliete Rosa[I]

Bastos Tigre

         Era davvero vecchio! Aveva superato da tempo i sessant'anni... Per quasi cinquant'anni la sua vita fu solo un'idea... All'inizio, nei primi anni, ci furono lotte e ostacoli; poi, la serenità del pensiero che si è già padroni, e si espande naturalmente nell'opera, segnando ogni pagina, ogni paragrafo, ogni riga... Una grande vita, dice Alfredo de Vigny, è un pensiero della giovinezza realizzato nella vecchiaia maturo... l'avevo fatto...

         Ma quali svolte aveva dovuto prendere, per raggiungere il suo obiettivo, pienamente, con tutta autonomia e indipendenza...

         Analizzò se stesso e la sua vita, lì, tra i suoi libri, in una triste mattina d'agosto.

         Mattinata nebbiosa. I contorni delle montagne non si vedevano e le case vicine si dissolvevano nell'indecisione di quell'ambiente friabile; tuttavia, vedeva il suo passato con i suoi desideri e le sue lotte, tutto molto chiaramente.

         La sua infanzia e adolescenza furono uguali a quelle di tutti gli altri. Università, colleghi, esami: tutto sulla stessa scala di qualsiasi altro. Dopo i vent'anni, quelle disgrazie domestiche, l'umiliazione di chiedere, il bisogno di tacere le opinioni, di avere opinioni che non avevo... Ma, soffrendo, sono diventato migliore, più umano, più capace di comprendere gli altri, di perdonare e soprattutto di essere coraggiosi! Come è avvenuta questa trasformazione in lui che era timido, nemico di ogni violenza? Non lo sapevo! Era come Marco Aurelio, il pio amico di tutti gli uomini dei suoi “Pensieri”, che, per il caso della vita, lo rese generale e vittorioso…

         Poi, si ricordò delle riproduzioni dei bassorilievi che ornano l'Arco di Trionfo di questo stoico imperatore... Dovrebbe guardare alle sue vittorie con la stessa pietà con cui guardava, dall'alto del suo cavallo, i barbari che gli ha chiesto perdono...

         Il grande storico e sociologo, in quella mattinata nebbiosa, ricordava con fastidio le sue vittorie, e, se non fosse stato per la necessità di procurarsi mezzi per comunicare i suoi pensieri, che erano grandi, si sarebbe vergognato del suo trionfo...

         Aveva questa come una missione superiore, un dovere sacerdotale; era necessario rimuovere ancora un altro ostacolo alla perfetta intesa tra gli uomini; e, sapendo come, dovette farlo, attraverso l'arte della scrittura, utilizzando, apparentemente, i mezzi più diversi e opposti al suo temperamento, perfino l'empietà.

         Povero uomo, conoscendo l'audacia del suo pensiero che avrebbe presto ferito lo studioso più onesto che potesse aiutargli la carriera, dovette diventare popolare, attirare l'attenzione su di sé, mascherando tutto ciò con lo scopo di compiere azioni futili, 'piccole' pezzi di intelligenza", affinché il grande pubblico, di qua e di là, si abituasse, abituandosi alle sue apparenti banalità, affinché, quando fosse arrivata la grande opera, la cercasse anche lui e gli editori non si rifiutassero di correre il rischio di pubblicarlo.

          Ci sono stati dai dieci ai vent'anni di finzione, finzione di ignoranza e abitudini, di vizi e virtù, di capacità e incapacità. Intanto lui, quello vero, marciava sul fianco, studiava, meditava. Tutte le scienze ardue, tutte le ricerche particolari, tutte le teorie nebulose, le ho lette, rilette e assimilate.

         Il critico più sagace non scoprirebbe nei piccoli opuscoli che pubblicava, di volta in volta, il mercato, queste finalità e queste letture.

         L'uno o l'altro amico o compagno, tuttavia, poteva intuire questo pensiero nella sua mente, ma nessuno di loro si aspettava che lo realizzasse se non nel modo più o meno frammentario in cui lo faceva.

         Di tutte le sciocchezze dei letterati e dei loro servi si rivestì; tra tutte le sue piccole verità, cercava di dimostrare di avere ambizione; ma non voleva niente di tutto ciò, niente di tutto ciò gli teneva alto il morale nelle dispute e nelle dispute vernacolari.

         La popolarità in sé non era il suo fine; Il suo scopo era quello di pubblicare l'opera costosa, sognata quando aveva appena vent'anni, quando il dolore del mondo lo colse e vide meglio gli uomini e le cose.

         Sicuro di potercela fare, le si consegnò anima e corpo. Non aveva solo bisogno di leggere e studiare; erano anche viaggi, domande on-site, riproduzioni attraverso le arti grafiche – tutti lavori molto costosi e pazienti.

         L'aveva fatto ed era finita. I volumi erano lì e tutti avevano già salutato lo stupore con cui ricevettero il primo. La sua missione nella vita era completa.

         Non avevo più un parente stretto; Gli amici erano qua e là, in posizioni diverse, ma già molto diverse da quelle di una volta.

         Solo nel mondo, con i rapporti cerimoniosi del suo lavoro, la vita non gli pesava, nonostante il suo isolamento quasi totale. Aveva fatto il suo dovere; aveva fatto ciò che un ragazzo aveva sognato, senza lusinghe, senza bassezze e senza sminuire i suoi alti pensieri. Galileo, questa volta, non aveva sconfitto Giuliano.

         Ricco, considerato, avendo potuto passare per tutte le posizioni, aveva ottenuto molte cose che non voleva, ma sentiva una piccola mancanza, quella di un compagno, uomo o donna, per ricordare in lui i sacri entusiasmi e gli oscuri scoraggiamenti dei suoi primi anni di attività mentale.

         Forse sarebbe già morto, forse vivrebbe ancora a lungo – ma chi conserverebbe quei libri, quegli appunti, quelle carte intime?

         La sua erede, una nipote, non portava più il proprio nome, ma quello di suo padre, suo cognato; e i bambini lì. Madre e figli sembravano non avere nulla di serio in mente e si ricordavano di lui solo per adornarsi di parentela, come se indossassero una spilla o un cammeo costoso.

         Quando vennero a casa sua, non risparmiarono nemmeno uno sguardo amichevole ai suoi libri, alcuni dei quali suo padre gli aveva regalato da bambino, prima che potesse capirli; e lui li aveva capiti, amati, studiati con profitto...

         Si ricordò di aver cercato le sue carte più intime e più antiche. Cose di quasi quarant’anni fa che non toccavo da più di trenta…

         Trovò subito il pacchetto, alcune strisce, con alcuni appunti di diario:

'Oggi, 14 ottobre 18... sono stata a casa di T., giovane e famoso poeta. Mi ha letto una storia in versi. Non sentivo la sostanza della poesia; È tutta apparenza, ricche rime, enjambments e non so cos'altro. Lui è se stesso: molto gentile, molto piacevole, ma incapace di sentimenti profondi e ampi. Il lavoro è dell'uomo, ma di un uomo che non può interessare a nessuno.'

         Non continuò a leggere la pagina del diario incompiuto e aprì un taccuino in cui c'era di tutto: note spese, indirizzi dei compagni, consigli sui libri, ecc. Nel mezzo di tutto questo, trovò questa nota:

         'Parlando con ACM qualche giorno fa, nella sua stanza, non so a quale scopo, mi ha detto:

         – La scienza, Malvino, lo dimostra…

         – Hai mai pensato, risposi, a dimostrare la certezza della scienza?

         Lui, quasi interrompendomi, si oppose:

         – Vieni con i tuoi paradossi.'

         Nello stesso taccuino trovò anche quanto segue, dal titolo bizzarro:

         'Il mio decalogo. Non sono interessato a nessuna donna; non desiderare il denaro; evitare di socializzare con i potenti, meno di quelli che stimo; non frequentare più alcuna istruzione superiore; ecc. ecc."

         Chiuse il taccuino, irritato da queste sciocchezze della sua prima giovinezza; Stava per rimettere a posto il fascio di carte e rilegarlo, quando una grande busta chiusa e sigillata, con dentro qualcosa di ingombrante, attirò la sua attenzione. Ruppe il sigillo, aprì la busta e trovò un fiore, una rosa appassita, con questa etichetta legata al peduncolo: 'Questa rosa mi è stata regalata da H., nel pomeriggio di Natale del 18...'

         Posò sul tavolo la sua 'curiosità' e pensò:

         - Chi era?

         Sforzava la memoria, ricordava fisionomie, fatti pubblici e privati ​​di quei tempi e di cui era stato testimone...

         Si chiese ancora:

         – Chi era la H di quella rosa?

         Non aveva scritto il suo nome per intero, né la presenza di quella reliquia era capace di stimolare la sua memoria al punto da fargliela ricordare in quel momento.

         - Chi era?

         Non lo sapevo assolutamente più.

Lima Barreto (1881-1922) è stato giornalista e scrittore. Autore, tra gli altri libri, di Triste fine di Policarpo Quaresma.

Nota


[I] Si tratta di una cronaca inedita di Lima Barreto, mai pubblicata in libro. L'ho trovata sul giornale umoristico Dom Chisciotte, la cui idealizzazione e direzione provenivano dal suo amico Bastos Tigre, a cui è dedicata la cronaca. Questo è un testo molto importante. Oltre ad essere un vero e proprio testamento intellettuale e letterario, tocca temi estremamente delicati per l'autore: la solitudine (nonostante sia un ragazzo estremamente socievole) e l'idea dell'Amore.

Lima Barreto non si è sposata, non è mai uscita con qualcuno. I pochi riferimenti che troviamo sui rapporti con le donne parlano solitamente di incontri rapidi o di passaggi in case di prostituzione. Ovviamente il testo ha un contorno fittizio: l'uomo di cui il cronista delinea ha sessant'anni... era un grande storico e sociologo...

Chiunque conosca un po' la biografia e l'opera di Lima Barreto, il modo in cui si compenetrano, potrà, senza troppi sforzi, riconoscere quest'uomo, pienamente consapevole che non era un perdente nella vita, come molti iniziarono a dire di lui. Potrebbe essere che nella tua vita sia mancato un grande amore, o almeno non si sia materializzato.


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