Una terra per tutti

Area di Gaza bombardata da Israele / Reproduction Telegram
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da TOMMASO PIKETTY*

Chiudendo un occhio sulle violazioni del diritto internazionale e dando priorità agli interessi finanziari a breve termine, l’Unione europea ha contribuito a indebolire la sinistra israeliana

Le atrocità commesse durante l’operazione terroristica di Hamas e la risposta israeliana in corso nella Striscia di Gaza sollevano la questione delle soluzioni politiche al conflitto israelo-palestinese e il ruolo che altri paesi possono svolgere nel tentativo di promuovere sviluppi costruttivi. Possiamo ancora credere in una soluzione a due Stati, resa obsoleta, secondo molti, dall’estensione della colonizzazione da un lato, ma anche, dall’altro, dal desiderio di negare l’esistenza stessa di Israele ed eliminare dei suoi cittadini? , che ha appena assunto la sua forma più barbara con gli omicidi e i sequestri di ostaggi degli ultimi giorni?

Possiamo ancora sognare uno Stato binazionale, o non è forse giunto il momento di immaginare una forma originale di struttura confederativa che permetta a due Stati sovrani di vivere un giorno in armonia? Tale soluzione è sempre più evocata dai movimenti cittadini che riuniscono israeliani e palestinesi, come la coalizione Una terra per tutti: due stati, una patria, che ha elaborato proposte innovative e dettagliate. Spesso ignorati all’estero, questi dibattiti meritano di essere seguiti da vicino.

I territori palestinesi contano circa 5,5 milioni di abitanti, di cui 3,3 milioni in Cisgiordania e 2,2 milioni a Gaza. Israele ha una popolazione di poco più di 9 milioni di abitanti, di cui circa 7 milioni di cittadini ebrei e 2 milioni di arabi israeliani. Complessivamente Israele e Palestina contano una popolazione di oltre 14 milioni di abitanti, di cui circa la metà ebrei e l'altra metà musulmani, oltre a una piccola minoranza di cristiani (circa 200.000).

Questo è il punto di partenza del movimento Una terra per tutti: le due comunità hanno più o meno la stessa dimensione e ciascuna di loro ha buone ragioni storiche, familiari ed emotive per considerare la terra di Israele-Palestina come propria, la terra delle proprie speranze e dei propri sogni, al di là dei confini arbitrari e intricati lasciati dai confini militari cicatrici del passato.

Soluzione politica

Idealmente, vorremmo immaginare uno Stato veramente binazionale e universalista, che un giorno riunisca questi 14 milioni di abitanti e garantisca a tutti gli stessi diritti politici, sociali ed economici, indipendentemente dalle loro origini, credenze o pratiche religiose. Ma prima di arrivarci dovremo fare molta strada per ristabilire la fiducia, nella speranza che la strategia abietta dei terroristi non abbia annientato questa possibilità.

la coalizione Una terra per tutti propone inizialmente la coesistenza di due Stati: l'attuale Stato ebraico e uno Stato palestinese che succederebbe all'Autorità Palestinese creata nel 1994. Quest'ultimo, già riconosciuto come Stato membro osservatore presso le Nazioni Unite dal 2012, eserciterebbe finalmente la piena sovranità sulla Cisgiordania e su Gaza.

La novità è che i due Stati sarebbero legati da una struttura federale che garantirebbe soprattutto la libertà di insediamento tra i due Stati, simile alle regole applicate nell'Unione Europea. Ad esempio, gli attuali coloni israeliani potrebbero continuare a stabilirsi in Cisgiordania, purché rispettino le leggi palestinesi, il che implicherebbe la fine delle espropri sommarie. Allo stesso modo, i palestinesi potrebbero lavorare e stabilirsi liberamente in Israele, purché rispettino le norme in vigore. In entrambi i casi, le persone che scegliessero di risiedere nell'altro Stato avrebbero il diritto di voto alle elezioni locali.

Gli autori della proposta non nascondono le difficoltà, ma mostrano come possono essere superate. In particolare, affermano di ispirarsi esplicitamente all’Unione Europea che, dal 1945, ha permesso di porre fine, attraverso il diritto e la democrazia, a un secolo di guerre e spargimenti di sangue tra Francia e Germania. Si fa riferimento anche al caso complesso della Federazione bosniaca creata nel 1995.

la coalizione Una terra per tutti Insiste inoltre sul ruolo fondamentale dello sviluppo socioeconomico e sulla riduzione delle disuguaglianze territoriali. Lo stipendio medio è inferiore a 500 euro a Gaza, rispetto a più di 3.000 euro in Israele. L’entità federale che riunirà i due Stati dovrà stabilire norme comuni in materia di diritto del lavoro, condivisione dell’acqua e finanziamento delle infrastrutture pubbliche, educative e sanitarie.

Tutto questo ha qualche possibilità che accada? Dopo aver spesso fatto affidamento in passato su Hamas per dividere e screditare i palestinesi, la destra israeliana ora sembra determinata a distruggere l’organizzazione terroristica. Ma dopo non si accontenterà di rimettere il coperchio e chiudere le torri di osservazione nei territori palestinesi. Sarà necessario trovare interlocutori e rilanciare un processo politico.

È qui che il resto del mondo ha un ruolo da svolgere, in particolare l’Europa, che assorbe quasi il 35% delle esportazioni israeliane (rispetto al 30% degli Stati Uniti). È giunto il momento che l’Unione europea utilizzi la sua arma commerciale e chiarisca che offrirà regole più favorevoli a un governo guidato da una soluzione politica che a un regime gettato in putrefazione.

Garantendo alla destra israeliana le stesse regole commerciali qualunque cosa faccia, l’Unione Europea ha di fatto incoraggiato la colonizzazione. Chiudendo un occhio sulle violazioni del diritto internazionale e dando priorità agli interessi finanziari a breve termine, l’Unione Europea ha contribuito a indebolire la sinistra israeliana.

Ma esiste una sinistra vivace e innovativa in Israele e Palestina, soprattutto tra i giovani. Questi giovani si sono spesso trovati soli di fronte all’indifferenza dei governi, sia del Nord che del Sud, collusi con una destra israeliana sempre più nazionalista e cinica. E’ giunto il momento di sostenere la parte della pace e penalizzare quella della guerra.

*Thomas Piketty è direttore della ricerca presso l'École des Hautes Études en Sciences Sociales e professore presso la Paris School of Economics. Autore, tra gli altri libri, di Capitale nel XNUMX° secolo (Intrinseco).

Traduzione: Fernando Lima das Neves.

Originariamente pubblicato sul giornale Le Monde.


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