da LUIZ RENATO MARTIN*
La precoce empatia di Van Gogh con la vita proletaria e il suo apprezzamento per l'etica del lavoro produssero una significativa nuova economia.
Mudanças
Van Gogh (1880-1853) all'inizio, abbozzando i suoi primi tentativi artistici, che risalgono ai primi anni Ottanta dell'Ottocento, denota (come Cézanne [1890-1839]) il provenire dal fecondo tronco comune del romanticismo e del realismo; tronco che ebbe in Daumier (1906-1808) un ramo cruciale e paradigmatico, e un punto di riferimento morale.
Van Gogh, all'inizio della sua carriera, aggiunse la luminosità drammatica di Rembrandt (1606-69) ad aspetti tratti dal realismo, da Daumier e Courbet (1819-1877), e dalla rusticità rurale della pittura, da Millet (1814- 75) e il gruppo di Barbizon. Adottò anche punti di vista esplicitamente anticapitalisti e attribuì tratti eroici al lavoratore in generale.[I]
Si sa, per inciso, che Van Gogh tentò l'investitura religiosa prima di definirsi una formazione artistica a partire dal 1880. Così, per circa due anni, tra il 1878 e il 1880, si dedicò all'evangelizzazione dei minatori di carbone nel Borinage, in il sud del Belgio.
Qualche anno dopo, quando si fa riferimento all'ormai famoso I Mangiatori Di Patate (I mangiatori di patate, aprile 1885, olio su tela, cm 82 x 114, Amsterdam, Van Gogh Museum), opera della sua prima produzione realizzata in Olanda, evidenzia il pittore (in una lettera al fratello Theo, del 30.4.1885) l'enfasi data al dipinto nelle mani delle figure, fattori infatti cruciali del dinamismo centripeto del dipinto.[Ii] Così il pittore lodava il lavoro manuale dei contadini e il fatto che, per questo, si guadagnassero da vivere onestamente, come diceva lui.
Mentre viveva nei Paesi Bassi, l'impegno di Van Gogh nei confronti dei lavoratori comprendeva uno stile pittorico orientato al realismo, ma con forti accenti romantici e influenze letterarie, da Hugo e altri autori del periodo.[Iii] Questa prospettiva, con aspetti idealistici, si trasformò e acquisì rapidamente nuove caratteristiche dopo che Van Gogh si trasferì in Francia nel 1886.
In quel paese, più industrializzato, cosmopolita e dinamico dell'Olanda di allora, Van Gogh entrò in contatto diretto con le opere di Manet (1832-1883), nonché con l'impressionismo e il simbolismo.
Il cambiamento ha avuto forti conseguenze per il suo lavoro, che è stato aggiornato alla luce di queste recenti esperienze francesi, ed è stato rielaborato in termini molto diversi dal periodo precedente, in Olanda. Tuttavia, allo stesso tempo, secondo un orientamento non così diverso dal precedente come molti autori vorrebbero far credere, soprattutto quelli di orientamento simbolista e formalista.
Quest'ultimo, in generale, proponeva uno stacco assoluto tra il primo periodo della sua opera e la celebre e prolifica produzione di Van Gogh nel quadriennio successivo (1886-90), fino alla prematura morte.
Ora, intendo mostrare proprio il contrario: che l'opera matura di Van Gogh corrispondeva a una sintesi realistica tra aspetti dell'opera precedente, realizzata in Olanda, ed elementi della nuova situazione. E che questo processo si è sviluppato proprio intorno a un'analisi radicale della pittura, inscindibile da un approfondimento critico ed efficace della questione sociale e del concetto di lavoro.
Pathos e redenzione
Il carattere della prima produzione di Van Gogh era sentimentale e compassionevole. Così, ha unito una drammatica luminosità al pathos identificativo che ha comandato la scelta dei temi.
Le scene raffigurate, già di per sé eloquenti dei sacrifici quotidiani dei lavoratori, si convertono nelle opere di Van Gogh in immagini di severa dignità che conferiscono in termini pittorici un austero riscatto alla sofferenza umana; questo, molto più auto-organizzato ed esteticamente elaborato della rassegnata e pia sdolcinatezza di Millet, uno dei primi standard di Van Gogh.
I suoi colori densi evocavano uno sforzo eccessivo, il peso della materia e la possibilità di riscatto – ancora lontana –, rifratta da dure e fitte avversità. Una tale visione era organicamente romantica. Il linguaggio dimostrava unità e ricercava veemenza. Il suo procedere era governato dal dolore e dallo spirito di compassione che guidava i movimenti del pennello, e alternava toni cupi a colori cupi, alludendo alla scarsità.
Dalla periferia al centro
A sua volta, l'impatto del contatto di Van Gogh in Francia con la pittura impressionista-simbolista si fa subito evidente nel mutamento dei motivi, oltre che nella tavolozza – radicalmente rinnovata nei colori –, ben visibile in diverse tele elaborate nel corso del 1887.[Iv]
Spazialità e volumi, che già dall'Olanda si erano presentati secondo la tradizione realista, in calchi compatti e disposti in poca profondità – ma poi costruiti attraverso l'uso del chiaroscuro –, hanno lasciato il posto alla rappresentazione di una spazialità ordinata in termini cromatica e praticamente ravvicinata. Quasi superficiali o privi di profondità, questi dipinti erano segmentati in fasce orizzontali che evidenziavano, nei contrasti cromatici, la discontinuità pittorica.[V]
Se i dipinti di Van Gogh, all'inizio del suo periodo francese, si distinguevano già da quelli dell'impressionismo – anche se sotto il suo impatto –, ciò era dovuto alle sue pennellate un po' veementi. Irruenza, tuttavia, filtrata dalla sobrietà dei modi, che costituiva “la regola della casa” (francese).
Tuttavia, a fare la differenza di fronte all'influenza del programma impressionista, si potrebbe notare l'impatto su Van Gogh dell'esempio di Manet (quest'ultimo, molto più vicino, nel suo linguaggio, a Daumier che agli impressionisti) – così come come, su un altro polo, le ripercussioni del contatto del nuovo arrivato con Seurat (1859-1891). Questo colpisce, forse anche per il contrasto quasi antitetico “nello spirito e nella lettera” con il quadro precedente di Van Gogh, praticato in Olanda. Inoltre, il desiderio di esacerbati contrasti cromatici allontana Van Gogh anche dal nucleo originario dell'impressionismo, lanciandolo nella direzione della dissidenza del movimento: Seurat, Signac (1863-1935), Gauguin (1848-1903).
Da allora Van Gogh verrà definito dalla maggior parte dei suoi interpreti come un membro in più del gruppo simbolista, annullando come questione superata, per molti, la sua precedente identificazione con gli operai.
Così, in un articolo del 1890, forse il primo a distinguere con audacia il valore dell'opera di Van Gogh, il giovane critico simbolista Albert Aurier (1865-1892), che scriverà anche di Gauguin[Vi] l'anno successivo distingue Van Gogh come “un uomo isolato”. Aurier ha presentato Van Gogh, come ha riassunto Shiff, come “un artista che, in un disperato bisogno di ringiovanimento spirituale, si era liberato dalle preoccupazioni materiali della civiltà occidentale. L'arte di Van Gogh avrebbe (così) raggiunto la purezza emotiva e intellettuale del simbolo.[Vii]
Aurier osservava che Van Gogh, concependo la linea e il colore non come elementi “imitativi” ma “espressivi”, e come “procedimenti di simbolizzazione”, aveva sviluppato “una specie di linguaggio meraviglioso, destinato a tradurre l'Idea”.[Viii]
La linea interpretativa che dissociò Van Gogh dalla questione del lavoro e ne enfatizzò il legame con il simbolismo continuò con Roger Fry (1866-1934) e Desmond MacCarthy (1877-1952), nel testo “The Post-Impressionists”, per il catalogo dalla mostra del 1910 alle Grafton Galleries di Londra.
La stessa posizione è stata presentata anche in analisi più recenti, come quelle di John Rewald (1912-94), Post-Impressionism from Van Gogh to Gauguin (1962), e di Sven Loevgren (1921-80), The Genesis of Modernism ( 1971).[Ix]
potere della vernice
Tuttavia, come abbiamo visto (precedentemente in questo capitolo) in relazione all'opera di Cézanne, l'opera matura di Van Gogh può essere considerata attraverso una prospettiva diversa da quella del simbolismo; e in essa, poi, trovare un linguaggio diverso da quello della materia convertita in Idea, come voleva Aurier.
Così, secondo l'impatto derivante dalla sconfitta militare e dallo sterminio della manodopera qualificata nel maggio-giugno 1871, che consentì la radicale separazione tra lavoro intellettuale e lavoro fisico e svolse un ruolo cruciale nel processo di ristrutturazione capitalista dei rapporti di lavoro in Francia, vedremo che l'opera di Van Gogh, parallela e complementare a quella di Cézanne, sviluppa proposte estetiche legate all'obiettivo di salvare e riscattare il lavoro manuale. Del resto, questo era un problema attuale per l'autore, come abbiamo visto, fin dalla sua giovinezza.
Tra gli aspetti nuovi emersi nella pittura di Van Gogh al suo arrivo in Francia, l'intensificarsi del dialogo colore-sensazione raggiunse, dal 1887 in poi, un grado senza precedenti tra i suoi coetanei.
I rapporti cromatici netti, senza transizione e fondati su opposizioni, si intensificarono, cominciarono ad interferire con il lavoro dell'occhio e si stabilirono in termini così contrastanti che si poteva trovare qui un secondo caso al quale sembrava opportuna l'applicazione del “principio di opposizione violenta” ., concepito da Francastel come per Manet. [X]
Ma non solo questo era evidente. L'esacerbazione degli effetti cromatici non è venuta isolata. Essa infatti si aggiungeva al rafforzamento dell'impasto e all'uso della pennellata come elemento strutturale della composizione – che dispiegava e intensificava la strategia, avviata da Manet, di legittimare la spontaneità corporea come principio produttivo.
Le pennellate di Van Gogh, dal 1887-88 in poi, comprendenti, come metafora materica, dosi molto pesanti di vernice appena disciolta, indicavano che era coinvolto non con idee e significati o con la malleabilità di materiali iperflessibili comunemente usati come veicoli di pensiero – , pennello, inchiostro, tela, ecc. –, ma piuttosto di fronte all'opacità della massa solida, come un operaio che sfida la materia prima.
Spazzola per ascia, spazzola per zappa, spazzola per trascinamento, spazzola per legna da ardere, spazzola per falce
Em Il frutteto in fiore (Primavera 1888, olio su tela, 72,4 x 53,3 cm, New York, The Metropolitan Museum of Art) di Van Gogh compaiono due strumenti: una falce e una falce, entrambe appoggiate ai piedi di un albero. I denti della falce, designati ciascuno da una singola pennellata, danno luogo a parallelismi tra la trazione e gli effetti della falce e del pennello.
Allo stesso modo, in un dipinto di Van Gogh di due anni dopo, Paesaggio al crepuscolo (giugno 1890, olio su tela, cm 50,2 x 101, Amsterdam, Van Gogh Museum), che mostra un paesaggio agreste in cui una strada taglia campi coltivati, ogni pennellata suggerisce di avere a che fare con una materia pesante, il che implica un atto fisico equivalente di lavorare la terra o maneggiare la pala. Corrispondentemente, grosse quantità di inchiostro, opache e solide, appaiono depositate sulla tela. Accatastati e con la ruvidezza di una catasta di legna da ardere, sfidando l'osservatore a decifrare il motivo dell'eccesso, somigliano a linee di contorno, di un pendio ripido e accidentato… A cosa sarebbe dovuto un simile ammasso di materiali sulla tela?
Quantità di pigmento e di inchiostro, di colori contrastanti e di scintillii pulsanti – in porzioni quasi consistenti –, rifrangono la luce ricevuta (ora, non sussunta o velata, ma trasformata in forza), presto convertita in effetto materico della pittura, come se la tela funzionava come una macchina-prototipo delle opere contemporanee dell'argentino Julio Le Parc (1928).
In questi termini, per chi aveva occhi per essa, si è verificata una riarticolazione materialistica della pittura, cioè un cambiamento radicale della nozione di spazio pittorico, ora trasformato in supporto. Questo, certamente, non è il risultato dell'azione isolata di un uomo solo e isolato. Come un'eco, al centro di questa trasformazione, la forza del lavoro vivo si confronta con la tragedia, evocando, nel suo ardore e mimica gestuale, si potrebbe dire, i giorni titanici della Comune. In effetti, lo slancio unico delle pennellate di Van Gogh, in un modo o nell'altro, riecheggia un nuovo “assalto al cielo”, secondo l'espressione di Marx sull'eroismo delle azioni dei comunardi, che gli ricordava il mito greco.
lavoro di pittura
Da oggetto di interesse o motivo privilegiato, ereditato e rielaborato dalla tradizione realista olandese, la forza corporea dell'opera diventa, quindi, per Van Gogh, principio estetico fondamentale. Pur vivendo in piena belle époque (macabro risultato di genocidio sociale), il pittore inizia a concepire l'atto del lavoro come la capacità di dare all'arte la sua regola (come il lavoro in generale che conferisce al mondo nel suo insieme e tutte le cose fatte nella loro misura più efficace)'.[Xi]
Questo nuovo livello, frutto della determinazione reciproca, in ambito estetico, delle nozioni di arte e lavoro, provocò in Van Gogh una riflessione sull'arte e sulla soggettività autoriale che giunse ad iscrivere la pittura tra le altre pratiche di trasformazione della materia attraverso lo sforzo umano.
In questo modo le pennellate di Van Gogh, nel loro galoppo, perdevano ogni somiglianza con l'opera impressionista, che veniva elaborata in piccoli e delicati tocchi sulla tela. Il modo di dipingere di Van Gogh abbandonò anche l'economia divisionale rigida e intellettualistica di Seurat, che lo aveva molto interessato al suo arrivo in Francia, come dimostrano soprattutto alcune tele del 1887.[Xii]
In sintesi, la riformulazione della pratica pittorica implicava un vigore che evocava un lavoro quasi manuale. Le pennellate, date con la furia fisica di maneggiare un martello, un'ascia o una falce, hanno lasciato dei solchi sulla tela. Principalmente dal 1889 in poi, uscirono da un lembo della tela per scomparire nell'altro, quasi a fare del quadro un mero incidente di percorso, di fronte a forze maggiori che, dall'esterno della tela, e irriducibili alle sue forme, sembrava occuparlo.[Xiii]
Infine, in un modo o nell'altro, in questa proposta inedita della pittura come prodotto dello sforzo corporeo, c'era un netto dissenso rispetto all'opzione impressionista di privilegiare gli effetti ottici, combinati con la manipolazione cosmetica del pennello, secondo la modalità illusionistica di ritocco. .
Analogamente, l'azione visiva, nelle opere di Van Gogh, invece che depurata dalle altre facoltà, come voluto dall'otticismo e dalla dottrina della “visualità pura”, di Fiedler (1841-1895) e altri, si combinava sinteticamente con l'altra facoltà, pratiche corporee. La visione, staccata dalla mente e deviata dai percorsi del potere dell'immaginazione astratta, si è riallineata al corpo, più vicina alla scala del braccio e del passo.[Xiv] La struttura del campo visivo, che nell'impressionismo era ampio, è stata rielaborata nell'opera di Van Gogh come campo materiale e limitato.
In questi termini, si è compiuto un passo significativo e concreto verso il superamento critico della nozione storicamente indeterminata di “genio” – un tempo attribuita ora alla Natura, secondo Shaftesbury (1671-1713), ora alle facoltà del soggetto trascendentale, secondo Kant (1724).-1804) –, così che, secondo il nuovo quadro, si otteneva il contenuto di una forza storico-sociale.
Il fondamento vivente della trasformazione
In tal modo le pennellate di Van Gogh non solo trasformavano gli strumenti del lavoro pittorico o il valore proprio del corpo fisico in pittura, ma acquistavano, per così dire, l'insieme, mediando l'appropriazione affettiva-pulsionale e la corrispondente metamorfosi delle cose, raggiungendo la gli alberi, gli steli di grano, gli ortaggi che crescono, i volti ei loro affetti; e anche le correnti del vento, il pulsare delle stelle, il ritmo delle durate...
Proiettandosi dall'ambito della tela e delle scene narrate, l'opera, come la definì Van Gogh, iniziò nelle tele successive a irradiarsi illimitatamente attraverso le azioni umane e il cosmo, trasformandosi, come una potenza prometeica, in una forza trasformatrice e multipotenza. Vale a dire, l'opera viva, nella sua origine metabolica o energetica invocata da Van Gogh, emergeva così concretizzata e moltiplicata come misura e causa, fattore di immaginazione e riflessione.[Xv]
In questo senso il pennello di Van Gogh mimava, metabolizzava e trasformava le forze corporee, sintetizzandole con le cose del mondo. Costituiva, quindi, la sensazione rivelata come forza lavoro e tradotta in forza produttiva.
Infine, nelle opere del 1889-90, la potenziale capacità della forza lavoro di farsi fondamento di un nuovo processo storico di appropriazione e trasformazione del mondo si trasmetteva anche alle forze avventizie della morte, se si crede al sentimento franco di un lettera al fratello. In esso, commentando il suo dipinto Campo di grano con mietitore (luglio-settembre 1889, olio su tela, cm 73,2 x 92,7, Amsterdam, Van Gogh Museum), il pittore annota che il mietitore (figura superstite, probabilmente, del religioso iconografia che conobbe nel suo primo periodo in Olanda), evocata sulla tela come una figura verde-turchese anonima e senza volto, dello stesso colore opaco del cielo e in mezzo a un radioso campo giallo oro – questa, esuberante immagine sintetica del lavoro – era, per lui, una figura allusiva alla morte. Resta che Van Gogh riassume e sintetizza cosmicamente questo mietitore, come forza legata (cromaticamente) al cielo, come si evince dalle pennellate decise e impavide.[Xvi]
Così, in un modo o nell'altro, come metafora della vita e della morte, abbracciando ogni tipo di trasformazione, gioiosa o tragica, i dipinti di Van Gogh mostravano la natura ritagliata dall'opera e, lo facevano in termini opposti a quelli degli impressionisti, la cui pittura era però legata alla scena-feticcio del paesaggio bucolico. Notiamo, tuttavia, che tale opposizione non è né semplice né priva di conseguenze.
Contro il grano della “belle époque” e la dittatura di classe della borghesia
Certo, la negatività dialettica della pittura di Van Gogh (al tempo stesso tanto vicina quanto lontana da quella degli impressionisti) portava anche contenuti specifici dello stato arretrato, in quel momento, dell'economia olandese. Questa non fu solo una ritardataria dell'industrializzazione, ma anche guidata dal sistema schiavista in vigore nei suoi possedimenti fino al 1873! Di qui la fondamentale centralità etica, per Van Gogh, del lavoro manuale – investito di una sorta di riscatto pittorico sia come tema che come pratica – nonché il valore evidente e assiale di un'iconografia impregnata di valori contadini.
Tuttavia, questa combinazione di forme diseguali, in cui forme economiche arretrate (rurali e manuali) si articolano con pratiche pittoriche e critica d'avanguardia (quest'ultima, nata da un'economia – quella francese – in corso di modernizzazione accelerata), due questioni cruciali emergono nel démarche (del dispendio energetico o metabolico) di Van Gogh: il primo è che, sebbene su un piano diverso e diverso da quello dell'intellettualismo di Cézanne, in fondo i due dipinti sono unificati dialetticamente al di là delle differenze di risorse e di termini specifici . Così, va notato, l'uno come l'altro, entrambi realizzano ugualmente, e in contrappunto, l'affermazione sovrana dei valori del lavoro vivo – quest'ultimo (dopo l'eccidio della Comune) negato e condannato dal manu militari annientamento dell'artigianato, come pratica produttiva, finora diffusa.
In tal modo, nonostante le rispettive differenze pittoriche, si presentava una controparte sul piano estetico, o artistico in senso lato, e quanto alla scelta di principio e di senso storico, una similitudine riguardante la ricerca nell'arte di un futuro nata dalla negazione del lavoro alienato, dato come condanna per tutti i lavoratori, e destino sociale di massa.
In secondo luogo, tale negazione, da parte di Cézanne e da parte di Van Gogh, è in sé e al di là del momento attuale (quello della “belle époque” o della dittatura della borghesia), portatrice di un'affermazione impegnata a la politica e l'etica della società della rifondazione; rifondazione basata, questa volta, sui valori e sui parametri del lavoro vivo, di cui le due opere sono emblematiche. In questo senso, ciò che risalta con tutta l'evidenza della pittura di Van Gogh è che anche gli elementi – a quel tempo ancora non toccati dall'industria umana – come il cielo e le stelle, si trasfiguravano nella sua pittura come prodotti del lavoro.
Eroismi della sensazione
Insomma, l'iniziale empatia di Van Gogh con la vita proletaria e il suo apprezzamento etico del lavoro produssero finalmente una nuova significativa economia, basata d'ora in poi sulla materialità delle risorse e sul ruolo del corpo come soggetto di enunciazione pittorica (A andatura di Freud non sarebbe lontano da questa strada). Qualche decennio più tardi, anche le (epiche) gesta gestuali di Picasso (post-cubista), André Masson (1896-1987) e Jackson Pollock (1912-1956) verranno a collocarsi sulla scia degli eroismi della sensazione, del che i dipinti di Van Gogh rimangono come punti di riferimento iconici.
All'epoca, in un modo o nell'altro – e anche se in termini a prima vista più vicini ai modi di Cézanne che a quelli di Van Gogh – per i cubisti della generazione successiva, la determinazione reciproca (tra categorie e pratiche) della pittura e della il lavoro dovrebbe già essere posto come dato esplicito e modello di azione in corso.
Si può anche concludere che la “cultura dei materiali” di Tatlin (1885-1953), strutturata dall'equilibrio dinamico delle sue componenti, abbia avuto (prima del laboratorio cubista) anche il suo primo lampo in Van Gogh; folgorazione, proprio radicata nell'originalità del pathos e nuova epopea, inerente a un “eroismo della vita moderna”, come proponeva Baudelaire (nel 1846), poco più di quarant'anni prima.
*Luiz Renato Martins è professore-consulente di PPG in Storia economica (FFLCH-USP) e Arti visive (ECA-USP). Autore, tra gli altri libri, di Il complotto dell'arte moderna (Haymarket/HMBS).
Estratto dal brano finale della versione originale (in portoghese) del cap. 9, “La pittura come forma-opera”, dal libro La Conspiration de l'Art Moderne et Other Essais, edizione e introduzione di François Albera, traduzione di Baptiste Grasset, Lausanne, Infolio (2023, primo semestre, proc. FAPESP 18/26469-9).
note:
[I] Vedi, per esempio, Van Gogh: Donna che cuce (marzo-aprile 1885, Amsterdam, Van Gogh Museum); Filato di bobina della donna (marzo 1885, Amsterdam, Museo Van Gogh); I Mangiatori Di Patate (I mangiatori di patate, aprile 1885, Amsterdam, Van Gogh Museum); Testa di donna (marzo-aprile 1885, Amsterdam, Van Gogh Museum); recensione (1884, Boston, Museo delle Belle Arti). Nota: ad eccezione dell'ultimo, tutti i dipinti sopra menzionati, così come la stragrande maggioranza di quelli menzionati di seguito (eccetto i dipinti di Boston e Dresda), sono documentati in Richard KENDALL, I van Gogh di Van Gogh: Capolavori dal Museo Van Gogh, Amsterdam, per esempio. cat., National Gallery of Art, Washington, DC, 4.10.1998 – 3.1.1999; Los Angeles County Museum of Art, 17.1 – 4.4.1999, New York, Abrams, 1998.
[Ii] Per un foriero della nuova organizzazione dinamica che fu attuata da Van Gogh, quando rifonda in seguito la pittura non più da una prospettiva mentale, ma dal ruolo assiale del corpo, ci si può confrontare con il dinamismo circolare (che caratterizza la struttura di questa tela ) alla monumentale immobilità circolare di La Vergine col Bambino e i Santi (La Vergine col Bambino e Santi, circa. 1472/5, Milano, Pinacoteca di Brera), di Piero della Francesca (ca. 1416/7 – 1492), data da una struttura geometrica, che induceva l'osservatore, così disposto, ad un atteggiamento di contemplazione.
[Iii] leggere van gogh Les Misérables (1862), di Victor Hugo, nel 1870, e venne a rileggere il libro nel 1883. Vedi TJ CLARK, La pittura della vita moderna/Parigi nell'arte di Manet e dei suoi seguaci, Princeton, Princeton University Press, 1989, n. 4 a pag. 273.
[Iv] Vedi, per esempio, Van Gogh: Autoritratto con cappello di feltro (1887, Amsterdam, Museo Van Gogh); Madre da una culla, Ritratto di Leonie Rose Davy-Charbuy (marzo-aprile 1887, Amsterdam, Van Gogh Museum); Boulevard de Clichy (1887, Amsterdam, Museo Van Gogh); La Senna con il Pont de la Grande Jatte (estate 1887, Amsterdam, Van Gogh Museum); Rive della Senna (aprile-giugno 1887, Amsterdam, Van Gogh Museum); Ristorante ad Asnières/ Esterno di un ristorante ad Asnières (estate 1887, Amsterdam, Van Gogh Museum); Coppie in corteggiamento nel Parco Voyer d'Argenson ad Asnières/Giardino con coppie in corteggiamento: Square Saint-Pierre (Primavera-Estate 1887, Amsterdam, Van Gogh Museum); Alberi e sottobosco (estate 1887, Amsterdam, Van Gogh Museum); Un parco in primavera (1887, Amsterdam, Museo Van Gogh).
[V] Si può comparativamente seguire lo sviluppo dell'ordinamento cromatico dello spazio dai dipinti del 1887, citati nella nota precedente, a quelli successivi. In quest'ultimo, la notazione cromatica dei volumi e dello spazio si fa sempre più incisiva, così come l'organizzazione pittorica secondo assi compositivi orizzontali, segnalando discontinuità. Vedi, di Van Gogh: Il frutteto in fiore (Primavera 1888, New York, The Metropolitan Museum of Art); Campo di grano (giugno 1888, Amsterdam, Van Gogh Museum); The Harvest (giugno 1888, Amsterdam, Van Gogh Museum); Il mare a Les Saintes-Maries-de-la-Mer (giugno 1888, Amsterdam, Van Gogh Museum); Barche da pesca sulla spiaggia di Les Saintes-Maries-de-la-Mer (giugno 1888, Amsterdam, Van Gogh Museum); La casa gialla / La strada (settembre 1888, Van Gogh Museum, Amsterdam); Campo di grano con un mietitore (luglio-settembre 1889, Van Gogh Museum, Amsterdam); Giardino di Daubigny (giugno 1890, Van Gogh Museum, Amsterdam); Case a Auvers (1890, Boston, Museo delle Belle Arti); Paesaggio al crepuscolo (giugno 1890, Amsterdam, Van Gogh Museum); Campo di grano con corvi (Luglio 1890, Amsterdam, Van Gogh Museum).
[Vi] Cfr. A. AURIER, “Le Symbolisme en peinture: Paul Gauguin” (1891), Opere postume, Parigi, intr. Rémy de Gourmont, 1893, pp. 211-3, apud Riccardo SIFF, Cézanne e la fine dell'impressionismo / Uno studio sulla teoria, la tecnica e la valutazione critica dell'arte moderna, Chicago, The University of Chicago Press, 1986, pag. 7 e n. 15 a pag. 233.
[Vii] Cfr. R. SHIFF, on. cit., P. 162. Cfr. A. AURIER, “Les Isolés: Vincent Van Gogh” (1890-2), in idem, Opere postume, nota di Rémy de Gourmont, Parigi, ed. du Mercure de France, pp. 262-3, apud spostare, idem, ib., nota 1 a p. 280.
[Viii] Cfr. A. AURIER, “Les Isolés:…, p. 262, apud R. SHIFF, on. cit. P. 7, n. 23 a pag. 234.
[Ix] Cfr. R. SHIFF, on. cit. P. 159, n. 16-7 a pag. 279. Vedi John Rewald, Postimpressionismo da Van Gogh a Gauguin, New York, 1962; Sven Loevgren, La genesi del modernismo, Bloomington, 1971.
[X] Vedi Pierre Francastel, Storia della pittura francese, vol. II, Parigi, Mediazioni/Gonthier, pp. 108-9.
[Xi] Secondo Kant in “§ 46. L'arte bella è l'arte del genio” di Critica del giudizio (1790), "Genio è il talento (dono naturale) che dà all'arte la regola. Poiché il talento, in quanto facoltà produttiva innata dell'artista, appartiene esso stesso alla natura, potremmo anche esprimerci così: genio è la disposizione innata (ingenio), da cui la natura dà all'arte la regola. Cfr. Immanuel Kant, Critica del giudizio, trad. Rubens Rodrigues Torres Filho, in idem Testi selezionati, sel. da testi di Marilena Chauí, São Paulo, Os Pensadores/ Abril Cultural, 1980, p. 246. Ciò che il parallelo cerca di suggerire è che, esemplificando un cambiamento storico, la pittura di Van Gogh ha dato il via alla sostituzione della natura con l'opera, come paradigma per l'arte.
[Xii] Vedi, per esempio, Van Gogh: Autoritratto (1886-7, Chicago, Art Institute di Chicago); Coppie in corteggiamento nel Parco Voyer d'Argenson ad Asnières/Giardino con coppie in corteggiamento: Square Saint-Pierre (primavera-estate 1887, op. cit.); Alberi e sottobosco (Estate 1887, op. cit.); Un parco in primavera (1887, op. cit.).
[Xiii] Vedi, per esempio, Van Gogh: Quittenstilleben (ca.1888, Dresda, Staatliche Kunstsammlungen); Il seminatore [da Millet] (1889, Otterlo, Rijksmuseum Kröller-Müller); Un paio di zoccoli in pelle (Autunno 1889, Amsterdam, Van Gogh Museum); Uliveto (giugno-luglio 1889, Amsterdam, Van Gogh Museum); Sottobosco (giugno-luglio 1889, Amsterdam, Van Gogh Museum); Giardino di Daubigny (giugno 1890, op. cit.); spighe di grano (giugno 1890, Amsterdam, Van Gogh Museum); Paesaggio al crepuscolo (giugno 1890, op. cit.); Campo di grano con corvi (luglio 1890, op. cit.).
[Xiv] Anni prima di Van Gogh, si può dire che Manet si fosse già mosso in questa direzione ridefinendo e ridimensionando in termini fisici e tattili, nei suoi quadri, la prospettiva e il senso della profondità, secondo un punto di vista messo in maniera corporea . Una simile proposizione è stata suggerita dalla nota su di lui dell'amico Mallarmé (tradotta liberamente qui): “Ricordo che disse, allora, così bene: 'L'occhio, una mano...', che continuo a pensare” (“Memoria, il disait, alors, si bien: 'L'oeil, une main..' che je risonge). Cfr. Stéphane MALLARMÉ, “Édouard Manet” in Divagazioni, idem, Igitur, Divagazioni, Un Coup de Dés, pref. d'Yves Bonnefoy, Parigi, (Poésie) Gallimard, 1976, p. 160.
[Xv] Argan spiegò il passaggio della pittura di Van Gogh, dai temi delle “polemiche sociali”, a un nuovo livello stilistico, non in termini di abbandono dell'ideologia socialista per quella simbolista, come intesero i critici simbolisti e formalisti, ma piuttosto come una sintesi : “ A contatto con i movimenti francesi d'avanguardia, lui (Van Gogh) ha capito che l'arte non deve essere uno strumento, ma un agente per trasformare la società e (…) l'esperienza che l'uomo ha del mondo. L'arte deve inserirsi nell'attivismo generale come forza attiva, ma di segno opposto: scintillante scoperta di verità contro la crescente tendenza all'alienazione e alla mistificazione. Anche la tecnica della pittura deve cambiare, opporsi alla tecnica meccanica dell'industria, come a Fazer etica dell'uomo contro Fazer meccanico di macchina. Non si tratta più di rappresentare il mondo superficialmente o profondamente: ogni segno di Van Gogh è un gesto con cui si confronta con la realtà per coglierne e appropriarsi del suo contenuto essenziale, la vita. Quella vita che la società borghese, con il suo lavoro alienante, spegne nell'uomo”. Cfr. GC ARGANO, Arte moderna / Dall'Illuminismo ai movimenti contemporanei, pref. Rodrigo Naves, trad. Denise Bottmann e Federico Carotti, San Paolo, Cia das Letras, 1993, pp. 124-5; L'Arte Moderna/ 1770/1970, Firenze, Sansoni, 1981, pp. 157-8. In un altro testo, in cui analizza la pittura di Van Gogh, anche alla luce dell'idea di opera non alienata, Argan osserva: “...i segni colorati non seguono più i contorni o i piani della figura e dell'oggetto rappresentato , ma ritmi e cadenze di un dinamismo psicosomatico dell'artista. La sua modalità pittorica non è solo l'opposto del meccanismo del lavoro industriale, ma anche del funzionamento artigianale, progettato e controllato (…)”. Cfr. GC Argan, “L'Arte del XX Secolo”, in idem, Da Hogarth a Picasso/ L'Arte Moderna in Europa, Milano, Feltrinelli, 1983, p. 387.
[Xvi] “Vedo in lui l'immagine della morte, nel senso che l'umanità può essere il grano che falcia (…). Ma non c'è niente di triste in questa morte, va avanti, in pieno giorno, con il sole che inonda tutto, con una luce d'oro puro. Cfr. Vincent VAN GOGH, “Lettera 604”, in Lettere complete di Vincent Van Gogh, Londra, 1958, ristampa. 1991, pag. 202, apud Richard KENDALL, I van Gogh di Van Gogh: Capolavori dal Museo Van Gogh, Amsterdam, per esempio. cat., National Gallery of Art, Washington, DC, 4.10.1998 – 3.1.1999; Los Angeles County Museum of Art, 17.1 – 4.4.1999, New York, Abrams, 1998, pp. 119-20.
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