da BIANCO CHICO*
Dobbiamo trovare modi democratici per affrontare la piaga della depoliticizzazione e della disinformazione, in modo che i profittatori non gonfino le maggioranze opportunistiche
Nella prima settimana di ottobre, chi era interessato alle sorti del Paese ha avuto la buona notizia che la mini-riforma elettorale, approvata dalla Camera dei Deputati, non sarebbe stata discussa dal Senato in tempo per essere inserita nelle prossime elezioni comunali del 2024. È stato il risultato dell’azione di diverse organizzazioni della società civile e di un fronte parlamentare, contro “una riforma elettorale per coloro che legiferano per la propria causa” – come è stata classificata – e che, inoltre, è stata irta di inaccettabili battute d’arresto .
Un’altra condizione di questa azione vittoriosa è stata meno raccontata: una “petizione” digitale contro questa riforma, attraverso la piattaforma Change.org, ha raccolto in 72 ore più di mille firme – 1.178 per l’esattezza – di cittadini consapevoli della necessità di esprimere la propria opposizione alle distorsioni del processo elettorale, strumento centrale della democrazia. Una reazione civica così rapida e coerente a quanto proposto non è stata decisiva per la sconfitta della miniriforma, ma ha indubbiamente giocato un ruolo importante, come pressione dei cittadini su chi avrebbe deciso al Senato.
In effetti, il diritto universale al voto è stato una delle grandi conquiste della democrazia. Ma la destra sa da tempo che gran parte dell’elettorato è depoliticizzato e disinformato, inconsapevole del proprio immenso potere di scegliere chi lo governa o lo rappresenta nel processo legislativo. Inoltre ha molti pregiudizi e crede facilmente alle bugie.
Prova di ciò sono state le elezioni in cui le moderne tecnologie, per indirizzare messaggi a persone che potevano essere ingannate, hanno dato la vittoria alla Brexit, a Donald Trump e a Jair Bolsonaro. Non parliamo nemmeno dei rischi che correranno gli argentini nel girone di ritorno, a novembre, con l'inaspettato e incredibile Javier Milei, che fonda anche un pericoloso discredito in politica. Ma è triste vedere come nel 2022 i Mourões, Moros, Pazuelos, Damares, Salles e Tarcisios della vita siano stati facilmente eletti qui, partner del disastro che ha colpito il Brasile dal 2018 al 2022.
Per evitare tutto questo non basta inveire come quello degli spagnoli che gridavano “non ci rappresentate!” Né si possono considerare soluzioni autoritarie, come se esistessero i “buoni tiranni”. Dobbiamo trovare modi democratici per affrontare la piaga della depoliticizzazione e della disinformazione, in modo che i profittatori non gonfino, nei parlamenti, maggioranze opportunistiche che impongono i propri interessi rispetto al soddisfacimento dei bisogni sociali. Anche per impedire la già antica pratica della compravendita di voti, usata e abusata dai politici per i quali è meglio che più persone bisognose siano.
È in questa prospettiva che quanto accaduto con la mini-riforma elettorale dimostra che esistono anche altre tecnologie moderne – come le cosiddette “petizioni” su Internet – create senza intenzioni manipolative. Molti considerano queste petizioni diseducative, perché non stimolano la riflessione, e danno la possibilità, con la semplice pressione di un pulsante, di sfuggire rapidamente alle pressioni politiche e sociali, che impediscono di pensare solo a ciò che realmente gli interessa... Ma se se articolati con altre operazioni di informazione e diffusione, come quelle necessarie nei plebisciti e nei referendum, possono portare a risultati migliori, oltre ad aiutare la formazione politica che ci manca. E creano quello che potremmo chiamare “voto partecipativo”.
Ogni plebiscito o referendum richiede una spiegazione di ciò che si vuole o non si vuole con una determinata politica, e non solo la propaganda delle qualità e della gentilezza dei candidati a rappresentanti politici. E la decisione da prendere riguarda qualcosa che potrebbe diventare legge, o cominciare ad essere fatto concretamente dal governo. Quante barbarie a San Paolo, ad esempio, si sarebbero evitate se per ogni opera di alto valore o di notevole impatto ambientale si fossero svolti i plebisciti autorizzati più di 30 anni fa in uno degli articoli della Legge Organica del Comune? , di fatto, mai regolamentato né dai nostri consiglieri né dai sindaci (i tentativi sono stati tre o quattro, ma le grandi opere possono portare anche a grandi commissioni, e non si sa con certezza se per questo non si è arrivati a nulla).
Gli svizzeri tengono plebisciti quasi settimanali, dal livello comunale a quello federale. Il Paese è conservatore e non darebbe mai il suo “sì” a nuove misure e pratiche di vita come quelle richieste per evitare la fine delle condizioni di vita sulla Terra a causa dell’avidità, del petrolio o dell’energia nucleare… Ma almeno garantiscono miglioramenti nella situazione condizioni di vita della loro maggioranza, che, di fatto, vivono già molto meglio anche dei nostri piccoli ceti medi…
Sarebbe quindi molto opportuno “plebiscitare” ciò che il Senato deciderà nel corso del 2024 e del 2025, nella stesura in corso del Codice elettorale di cui abbiamo bisogno, per entrare in vigore nelle elezioni del 2026. ”, ben intenzionato, ma burocratico e senza efficacia vincolante, già adottata dal Legislatore federale. Si tratta di iniziare a utilizzare il “voto partecipativo” nelle “petizioni” proposte dalla società. Per fortuna c'è già chi comincia a pensarci, sulla base di quanto accaduto con la miniriforma non approvata dal Senato. Sarà un grande contributo per andare avanti, nella nostra fragile democrazia.
*Chico Whitaker è un architetto e attivista sociale. È stato consigliere a San Paolo. Attualmente è consulente della Commissione brasiliana di giustizia e pace.
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